Walter Quattrociocchi (Sette – marzo 2017)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 24 marzo 2017).
Il suo lavoro ha persuaso il Washington Post a sospendere la colonna settimanale del fact-checking. La Presidente della Camera, Laura Boldrini, l’ha voluto tra i firmatari di un documento sulle fake news. E il World Economic Forum si appoggia ai suoi studi per affrontare la minaccia globale della misinformation. Walter Quattrociocchi, 36 anni, ricercatore (“a tempo determinato”) all’Imt School for Advanced Studies di Lucca, informatico, esperto in scienze cognitive, sguazza da anni nel mare burrascoso della post verità. Spiega: «La definizione che preferisco di post-truth è: quando tutti hanno la pretesa di spiegare senza capire in realtà di che cosa si sta parlando». L’intervista si svolge via Skype. Parla svelto: alterna tecnicismi socio-informatici a espressioni decisamente romanesche. Alle sue spalle si intravede uno stendino con i panni stesi.
Gli chiedo quale sarebbe il nemico con cui andrebbe a cena. Non esita: «Con Donald Trump». Perché? «Perché la sua elezione è la reificazione, l’incarnazione, di tutti i processi che abbiamo studiato: una classe dirigente che non intercetta la voglia di cambiamento, un candidato che si presenta come elemento di rottura col passato, la polarizzazione totale dell’informazione e delle opinioni sui social-network, l’uso bipartisan di fake news». Obietto: «È soprattutto Trump quello accusato di far circolare informazioni false». Replica: «In realtà le usano tutti. «È marketing politico e non è una prerogativa di una parte politica». Insisto e racconto a Quattrociocchi la scena (apparsa in tv) del giornalista che sbugiarda Trump dimostrando che alcune sue affermazioni sui dati elettorali sono palesemente false. Dichiaro: «Di fronte all’evidenza dei dati, tutti si saranno convinti che Trump ha mentito». Mi spiazza: «Tutti chi? Chi detesta Trump già pensava che fosse bugiardo, chi invece lo appoggia avrà pensato che quel giornalista è il solito rompicoglioni che manipola i dati». Morale quattrociocchiana: «Il confirmation bias è molto più potente del fact checking. Il pregiudizio di conferma è più forte del controllo sui fatti. La tendenza planetaria è quella di considerare credibili solo le informazioni che confermano la concezione del mondo che già abbiamo. Di più: il debunking, e cioè il tentativo di smontare una bufala, crea spesso un effetto di back fire». Che cosa sarebbe? «Di fronte alla negazione di quello che si è convinti che sia vero, il pensiero paranoide si struttura ancora di più. E si arriva quasi sempre alla conclusione che chi ha cercato di negare le nostre convinzioni, per farlo abbia manipolato le informazioni». In pratica viviamo in un incubo informativo, dove poli contrapposti si rinfacciano continuamente di sparare balle e risultano impermeabili alle obiezioni reciproche.
Come sei arrivato a questa conclusione?
«Parto dall’inizio?».
Certo.
«Stavo cominciando a studiare l’echo chamber effect in Rete, cioè il modo con cui le persone si influenzano a vicenda. Mi sono imbattuto nel sito di Beppe Grillo e leggendo i commenti ho intravisto la tendenza a fornire e acquisire informazioni essenzialmente per confermare le credenze della comunità. Poco dopo nacque una pagina Facebook…».
Di seguaci grillini?
«No, di gentisti. La pagina si chiamava “Siamo la gente, il potere ci teme”. Scimmiottavano il comportamento grillino. Poi cominciarono a nascere altre pagine che mettevano in circolazione notizie goliardiche anti-casta, o slogan politici contraffatti».
Un esempio?
«La storia di Senatore Cirenga, un parlamentare inventato che proponeva rimborsi milionari agli ex deputati. Oppure la citazione di Sandro Pertini sui governi impopolari da cacciare con le pietre. Tutte bufale. Ma pian piano qualcuno ha cominciato a prendere sul serio le fake news. E allora ho deciso di concentrami su questo meccanismo. Insieme con il mio gruppo ho monitorato 55 milioni di follower, divisi tra seguaci dell’informazione scientifica e sostenitori di tendenze complottistiche. Abbiamo preso in analisi 50 mila post».
Il risultato?
«Su 10 milioni potenziali di complottisti entrati in contatto con un’informazione dedicata al debunking, solo cinquemila ne hanno tenuto conto e il tenerne conto li ha portati ad approfondire altre fonti complottistiche. Abbiamo ripetuto l’esperimento anche su altri argomenti tra lettori di testate giornalistiche. Stesso risultato: nel mare magnum informativo, ognuno sceglie solo le news coerenti con la propria comunità e ci si infogna. Durante il referendum costituzionale del 4 dicembre è successo anche tra i renziani e i tra sostenitori del No».
Di qui la deduzione sull’inutilità del fact checking.
«Il fact checking è utile, ma solo a chi fa già parte di una comunità, a chi è predisposto a ricevere una determinata informazione».
Viene in mente il leggendario personaggio di Maurizio Crozza, Napalm51: ogni cosa che legge, rafforza i suoi pregiudizi…
«Divertente, ma fino a un certo punto. Lui bullizza i complottisti ed è anche questa una presa di posizione identitaria. Anche perché ci sono teorie complottistiche che negli anni si sono rivelate vere».
Come si è arrivati a questa assurda polarizzazione dell’informazione?
«Un po’ c’è sempre stata…».
C’è chi da sempre legge “Il Giornale” e chi “il manifesto”…
«Esatto. Negli ultimi anni è aumentata la sfiducia nei confronti della narrazione main stream e dei corpi intermedi, quelli che avrebbero dovuto spiegare la crisi e trovare soluzioni…».
Politici, giornalisti…
«…professori e docenti universitari… Hanno perso credibilità».
Grillo ha proposto una sorta di tribunale del popolo per giudicare la veridicità delle notizie.
«Follia».
Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, invece, ha proposto un ente terzo di controllo.
«Altra follia. Aggiungo: non credo che Facebook interverrà davvero sulle fake news. Facebook è un social media, specchio della società contemporanea, dove giustamente l’informazione circola libera. Se si volesse applicare all’estremo la teoria di chi vuole censurare le fake news bisognerebbe chiudere anche la pagina del Vaticano, o quelle dedicate a Padre Pio o quelle dei santi…».
Tu analizzi e dipingi una situazione drammatica su come circolano le informazioni. Hai anche un suggerimento su come uscire da questa folle polarizzazione tra sordi?
«Abbassare i toni. Rieducare all’ascolto. Ridare dignità ai corpi intermedi. Molti giornalisti, convinti di avere la verità in tasca, in realtà spesso non sanno di che cosa parlano. E sono vittime di un pregiudizio identitario o del loro ego. Il narcisismo di Andrea Scanzi…».
Che cosa ha fatto di male Scanzi?
«È solo un esempio…Lui come altri suoi colleghi ha la tendenza a scrivere in funzione di come viene percepito dalla comunità dei lettori. Come i giornalisti/blogger che scrivono per ottenere like e non seguendo la propria deontologia. Ci vorrebbe più spirito di servizio e meno coltivazione del proprio ego. Meno irriverenza, che piace tanto, e più competenza».
Come sei arrivato allo studio dei comportamenti umani sui social network? Che studi hai fatto?
«Ho cominciato a studiare informatica a Roma, a Tor Vergata, poi ho chiuso il Triennio a Siena e mi sono trasferito a Parma per la specializzazione».
Italian trotter.
«Non è finita: per il dottorato in logica matematica mi sono diviso tra Canada e Stati Uniti».
Hai avuto dei maestri?
«Ho collaborato al Cnr con Rosaria Conte, che era una psicologa sociale eccezionale, e al Network Science Institute di Boston con il fisico Alessandro Vespignani. Li considero i miei genitori scientifico/professionali».
Hai un gruppo di lavoro?
«Sì, è composto da Michela Del Vicario, Fabiana Zollo e Antonio Scala».
Hai un clan di amici?
«Ho amici antichi, come Elisa, che fa l’architetto».
L’errore più grande che hai fatto?
«Sottovalutare l’impatto delle scelte professionali su quelle personali».
Sei sposato?
«No, e non ho figli».
Che cosa guardi in tv?
«RealTime. Cerco la leggerezza. Spesso finisco su Youtube a guardare i filmati di Maccio Capatonda».
Il film preferito?
«This must be the place di Paolo Sorrentino».
La canzone?
«Just breathe dei Pearl Jam».
Il libro?
«Winter Journal di Paul Auster».
Sai quanto costa un pacco di pasta?
«Non avendo un gran stipendio devo fare attenzione. Quindi… certo che lo so: un euro. Anche se poi dipende dalla qualità!».
L’articolo 12 della Costituzione?
«Boh».
È quello che descrive la bandiera dell’Italia. Che cos’è per te il Tricolore?
«È una bella cosa. Il verde della speranza, il bianco della purezza e il rosso del sangue che è stato versato».
I confini della Siria?
«Turchia… e boh. Iraq?».
Sì. E Giordania e Israele… L’Isis, oltre a colpire in Siria e in Iraq, ha fatto proseliti nei Paesi Occidentali con un uso spregiudicato della Rete.
«L’Isis ha messo in atto le dinamiche tipiche del pregiudizio identitario: i terroristi islamici hanno proposto a persone emarginate e sociopatiche una determinata narrazione e sono riusciti così a ricollocarle contro il mondo Occidentale».

Categorie : interviste
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