Gialappa’s Band – Gherarducci (Sette – febbraio 2017)
0 commenti(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 10 febbraio 2017)
La Gialappa’s Band è un marchio televisivo fatto di voci. Voci sbertuccianti, voci meneghine, voci goliardicamente ruvide. Tre voci: cioè Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducci. Da anni sono dietro le quinte di trasmissioni cult: Mai dire gol, Le Iene, Drive In. Nel loro spazio catodico è stata incubata una fortunatissima genia di comici (Teo Teocoli, Gene Gnocchi, Aldo Giovanni e Giacomo, Antonio Albanese) e una schiera di presentatrici ridanciane (Simona Ventura, Ellen Hidding, Alessia Marcuzzi). Hanno ridimensionato a colpi di sfottò i concorrenti dei reality show (Mai Dire Grande Fratello, Mai Dire Reality) e dissacrato il mondo del pallone con rubriche leggendarie: “Il gollonzo della settimana” con le azioni più goffe, il “Pippero” con classifica dei giocatori più scarsi, “Le interviste possibili” con la raccolta grottesca di dichiarazioni incomprensibili in gergo calcistico. Da un paio d’anni la Gialappa’s ha lasciato la galassia Mediaset ed è sbarcata in Rai. Ora sta per prendersi il prezioso spazio dopo il Tg2 della sera con un nuovo format: Rai Dire Niùs.
L’intervista si svolge su Facetime. Gherarducci risponde per tutti. La voce rimbomba dallo schermo dello smartphone con cadenza lievemente lumbard. Quando gli chiedo se compra i giornali in edicola o spulcia le notizie online, confessa: «Non compro un quotidiano cartaceo da qualche anno». Domando: «Proverete a marcare stretto l’Edicola Fiore, altro format in cui la radio si fa tv parlando d’attualità?». Replica: «La nostra trasmissione non c’entra niente con Fiorello. Anche perché, diciamolo, lui è bravissimo, ma lì si canta dall’inizio alla fine».
Da voi, invece…
«Ha presente come sono divise le notizie sui siti web delle principali testate giornalistiche? A sinistra la parte seria, a destra… le cazzate. Ecco, giocheremo su questo dualismo».
I conduttori sono Mia Ceran e il Mago Forest: la seria e il faceto.
«Le news saranno il pretesto per mandare in onda i filmati assurdi che si trovano sul web. Daremo spazio a uno dei problemi più dannosi della Rete».
Quale sarebbe?
«Le bufale. I complotti».
Soprattutto sui social network impazza la cosiddetta post verità, post truth. Ma c’è anche chi dice, come Beppe Grillo, che la post verità è quella che hanno raccontato per anni i grandi quotidiani e le tv.
«Sicuramente negli ultimi sessant’anni sono state raccontate molte cazzate. E la stampa non ha sempre fatto bene il suo lavoro. Però in questo momento le bufale sono debordanti. La gente crede a stronzate pazzesche».
Un esempio?
«Beh, quella di Libero che ha raccontato l’esistenza delle museruole per le donne islamiche si è rivelata una puttanata clamorosa. E però è divenuta virale, a causa di un fenomeno abbastanza preoccupante: su dieci persone che non credono alle bufale, almeno tre le ri-postano o ri-twittano. È un po’ come quando i bambini capiscono che Babbo Natale non esiste, ma vogliono continuare a crederci».
Gli italiani si stanno rimbecillendo?
«Napalm51, il personaggio di Maurizio Crozza che insulta tutti sui social, è una delle cose più centrate degli ultimi anni: certa gente si attacca alle bufale per giustificare e alimentare un odio che in realtà dipende dalle proprie frustrazioni».
Trump è stato accusato dai fan clintoniani di essere arrivato alla Casa Bianca inondando la Rete di bufale. Lui sarà oggetto delle vostre attenzioni?
«Trump: per la prima volta l’Italia si può dire venti anni avanti agli americani».
Voi eravate a Mediaset nel 1994, quando Berlusconi si candidò per la prima volta in politica.
«Ci fu qualche scontro».
L’azienda vi invitò a endorsare il Cavaliere?
«Sapevano tutti che noi non avremmo mai appoggiato Forza Italia. Commentammo a modo nostro la dichiarazione di voto pro Berlusconi di Raimondo Vianello. Noi avevamo un ottimo rapporto con Raimondo. Io lo considero un genio della tv. Ci rimase male, ma capì anche che aveva fatto una cazzata».
Le cronache raccontano che a Mediaset ci sono stati tentativi pesanti di censura nei vostri confronti.
«In realtà un paio di volte in ventotto anni: ci hanno tagliato uno sketch su Maurizio Gasparri e un servizio su Cesare Previti».
Nella Rai renziana…
«Con Ilaria Dalla Tana, direttrice di Raidue, non abbiamo mai avuto problemi. E neanche con Antonio Campo Dall’Orto. Finora tutto bene. Ma insomma, noi venivamo da dieci anni con Luca Tiraboschi…».
Direttore di Italia1 fino al 2014.
«I suoi miti sono Pino Insegno ed Enrico Papi. La sintonia con lui era difficile».
Mediaset ha mai provato a farvi tornare all’ovile?
«Sì, l’anno scorso. Ci hanno offerto: Le Iene, Mai Dire Grande Fratello e Mai Dire l’Isola dei Famosi. Cioè, a parte Le Iene, tutto quello che ci avevano rifiutato nel 2015».
Differenze macroscopiche Mediaset-Rai.
«La Rai è un’azienda grandissima, con vincoli legislativi e problemi burocratici incredibili: per ottenere una penna devi prima organizzare una gara d’appalto. A Mediaset ci facevano lavorare poco: prendevamo più soldi lì per fare solo Le Iene che in Rai per fare tre trasmissioni».
Sbaglio o a Quelli che il calcio le voci della Gialappa’s sono solo due?
«Il Signor Carlo non c’è».
E perché?
«Perché la domenica non vuole lavorare. Vuole riposare. In una trasmissione così ce la caviamo benissimo in due e allora gli abbiamo detto: “Se devi venire svogliato, non venire proprio”. In linea di massima tutti e tre cerchiamo di tutelare grandi spazi di vita. Ci piace fare altro. Non siamo come alcuni colleghi della tv che vedono le famiglie solo qualche ora nei week end».
Fuori i nomi.
«Antonio Ricci, Maria De Filippi… Molti in tv vivono per il lavoro. Per noi non è mai stato così».
Vi frequentate fuori dalle redazioni e dagli studi televisivi?
«Pochissimo. Con Carlo, che è ultra vegano, è anche complicato andare a cena fuori».
Scrivete tutto o improvvisate?
«Dipende: le trasmissioni sui Mondiali o sugli Europei sono completamente improvvisate. Altre sono più scritte: il Mago Forest che ha un’aria cialtrona, in realtà ogni volta arriva in studio con sessanta battute pronte. Ci lavora ore. Poi magari ne dice solo dieci e le altre le improvvisa».
Voi collaborate ai testi dei comici che partecipano alle vostre trasmissioni?
«In alcuni casi i testi sono proprio nostri. Quelli di Aldo, Giovanni e Giacomo, quelli di Teo Teocoli…».
Teo Teocoli a Mai Dire Gol interpretava Felice Caccamo, cronista vesuviano indolente.
«Di Caccamo noi scrivevamo tre pagine, Teo se ne ricordava una e per il resto improvvisava battute anche più divertenti di quelle che avevamo scritto».
Avete mai pensato di fare una trasmissione in cui si vedono le vostre facce?
«No, anche perché non aspiriamo ad avere fan che chiedono di fare selfie per strada».
Lei ha mai chiesto di farsi un selfie con qualche star?
«È successo recentemente con Bruce Springsteen. Ma sono giustificato. È una passione trentennale. Il mio primogenito si chiama Filippo Bruce. Quando me lo sono ritrovato in palestra sulla mia panca, gli ho detto: “Sto sognando o cosa?”. Poi gli ho chiesto una foto insieme. È stato molto cortese».
Torniamo alla Gialappa’s e alle conduzioni non solo vocali.
«Recentemente siamo apparsi cazzeggiando a Rischiatutto. In realtà abbiamo sempre considerato inutile se non dannoso farci vedere: quando si accendono le telecamere perdiamo molta della nostra spavalderia».
È vero che quando avete cominciato eravate in quattro?
«Avevamo anche noi un nostro Pete Best…».
Best, il batterista che lasciò i Beatles.
«Quando ci chiamarono da Mediaset per collaborare con Quel fantastico tragico venerdì, con noi c’era anche Sergio Ferrentino».
Storico conduttore di Radio Popolare.
«La trasmissione durava tre ore. Era un miscuglio incredibile: c’erano Paolo Villaggio, Carmen Russo… Costava un botto. Pensavamo fosse seguitissima. Quando arrivarono i primi dati Auditel scoprimmo ascolti minuscoli. Ci chiusero poco dopo».
Avete lavorato con decine di artisti…
«… artista è una parola che andrebbe ridimensionata».
Ok. Avete lavorato con star della tv e comici di ogni tipo…
«… fare l’autore vuol dire anche improvvisarsi psicanalisti».
Capricci, sfuriate. La leggenda narra che con Teo Teocoli il rapporto non si sia chiuso benissimo.
«Avevamo scritto uno sketch corale. Lui non volle partecipare. Mentre lo riguardavamo insieme, disse che quella scena non sarebbe dovuta andare in onda. Beh, la trasmissione era nostra, della Gialappa’s. Gli spiegammo che lo sketch sarebbe andato in onda, eccome. Allora lui prese e se ne andò. Ora però ci siamo riappacificati. Noi scegliamo i comici anche in base al feeling umano. Poi certo, ognuno ha le sue fisime».
Fisime.
«I comici si dividono in due categorie: quelli che dicono “cazzo che figata che ho fatto” anche quando a volte non fanno ridere, e quelli che qualsiasi cosa facciano poi commentano “era una merda”».
Un esempio della categoria “cazzo che figata” e uno della categoria “produco solo merda”.
«Teo è abbastanza un ultra sicuro. Fabio De Luigi è l’emblema di quelli che “non funzionerà mai”. Una volta intervistai Woody Allen e gli sottoposi questa distinzione tra i due tipi di comici. Lui mi disse di appartenere alla seconda categoria e che quelli della prima sono spesso esseri umani che recitano sempre, anche nella vita».
Sta dicendo che Teo Teocoli recita anche nella vita?
«No, Teo è uno molto vero. Ma ci sono effettivamente tanti comici che indossano una maschera e difficilmente se la tolgono».