Virginia Raffaele (Sette – agosto 2016)

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(Intervista di copertina, pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 12 agosto 2016).

Roma. Appuntamento in un bar del quartiere Prati. È ora dell’aperitivo. Virginia Raffaele parla svelta e con lieve cadenza romana. Le portano il suo Moscow mule in un bicchiere di metallo accompagnato da alcuni pezzetti di zenzero fresco. Ne ingolla uno. Le va di traverso. Simula di proseguire l’intervista con voce strozzata: «Me…gh… spiasce». Appena evoco una delle sue parodie si trasforma: cambia tono, storce il collo, inarca la spina dorsale, cinguetta, toscaneggia. Fioccano personaggi. Boschi che sbatte gli occhioni e ipnotizza “concrethamente” il cronista che le sta di fronte. La Fracci étoile altezzosa con la esse sibillina che stende la rivale con un rond de jambe. La Versace stilista dal volto di gomma che perde pezzi. La Minetti e i suoi amici chips. La Ferilli che per sbaglio alle Comunali di Roma dà la sua preferenza a Garrison, coreografo di Amici. Belén che propone selfie ai passanti piegandosi in un cascqué spezzaschiena: «L’osteopata mi ha detto che è una posizione innaturale e che dovrei evitarla».
Dopo l’ultima apparizione sanremese, Virginia ha ricevuto offerte urbi et orbi: ha rifiutato un ruolo importante in un film, nel 2017 realizzerà un suo programma per la tv di Stato e sta preparando la seconda tournée del suo one woman show Performance. In autunno sarà ospite fissa della trasmissione Rai condotta da Mika. «Per ora l’ho sentito una sola volta al telefono. Ero in treno, la linea barcollava e lui parlava… alla Mika. Non ci ho capito niente. Gli ho urlato: “Mikaaa. Vedemose prestooo”. Non so che cosa si aspettino da me. Mi piace essere coerente con gli spazi che mi ospitano. Non sarebbe male cantare insieme». Virginia, oltre alle parodie, ha creato una serie di caratteri/mostri italiani che fa vivere nei suoi spettacoli o nelle grandi ospitate: la poetessa trans Paula Gilbert Do Mar, autrice del verso immortale «Deponi le armi e mostra l’ardore, zero alla guerra e cento all’amore», o Giorgiamaura, aspirante cantante da talent, che è riuscita a duettare con Emma Marrone alla corte di Maria De Filippi. «Mi piace dare un respiro reale ai personaggi immaginari. Giorgiamaura ha un suo profilo Twitter con ventimila follower. Magari potrebbe pubblicare un album. Il modello per questi tipi umani è Carlo Verdone: ironia e amarezza. Mi vorrei evolvere sempre di più in questa direzione. Preferisco la satira di costume a quella politica». Già. Nel frattempo però Virginia ha collezionato le proteste del parlamentare Pd Michele Anzaldi, che due anni fa ha scritto alla presidenza della Rai per denunciare l’imitazione del ministro delle Pari opportunità, e quelle di Daniela Santanchè e di Micaela Biancofiore per gli sfottò napoletaneggianti su Francesca Pascale: «Mi hanno dato della razzista! Assurdo, anche perché so che la Pascale si è divertita. La Boschi è pure venuta a vedermi in teatro».
La criminologa Bruzzone, che nella parodia raffaeliana è una valchiria catodica, ha minacciato querela.
«Fa molto ridere la criminologa che querela, no?».
Anna Oxa, negli studi di Amici, si è indispettita per la parodia di Jessica Rabbit.
«In conferenza stampa ha dichiarato: “Prendo le distanze da Jessica Rabbit”. Loredana Bertè, che è un genio, ha replicato: “Io da Topolino”. La meravigliosa Carla Fracci, invece, è venuta al mio spettacolo. Alla fine le ho consegnato dei fiori e imitandola ho detto: “Ecco il mazo”. Lei ridendo mi ha bisbigliato all’orecchio: “Cazzo”. Ha fatto la parodia della mia parodia. Dopo l’imitazione della Fracci a Sanremo, comunque, le proteste dei parodiati si sono fermate».
Genesi di una parodia.
«Alla Fracci ci pensavo da un annetto. La Minetti è nata dopo aver ascoltato le intercettazioni… In generale cerco di non fare una semplice imitazione. M’impossesso del personaggio».
Chi scrive i testi?
«Io, insieme con il mio autore Giovanni Todescan. L’idea, il giro comico, la chiave interpretativa, però, deve partire da me».
Per la Ferilli, la Versace e la Vanoni serve parecchio trucco.
«Lavoro col numero uno: Bruno Biagio. Ogni volta che lo chiamo, trema. Risponde preoccupato: “Drago sulla schiena?”. Sa che se telefono gli può sempre arrivare tra capo e collo una richiesta impossibile. Lui ha il calco di ogni parte del mio corpo. Quando ha terminato la lavorazione vado da lui, nel laboratorio di Sesto San Giovanni, e facciamo le prove. La Vanoni è una protesi intera, senza indossarla quasi non riesco a fare la parodia».
La Vanoni non ha apprezzato.
«Mi ha chiamata e mi ha detto: “Guarda che non sono mignotta come mi descrivi tu”. Dopo quella telefonata ha smesso di arrabbiarsi. Io ci sono cresciuta con le imitazioni della Vanoni. Me la faceva mia madre. Mia nonna, invece, era specializzata nella macchietta di Ettore Petrolini».
Infanzia attoriale?
«Infanzia al luna park».
La leggenda vuole che lei a cinque anni già lavorasse.
«Come tutti i figli dei giostrai. Stavo al tiro al Cinzano: reggevo i fucili, raccoglievo i proiettili di gomma colorata, accudivo i pesci rossi. Non cambierei la mia infanzia con quella di nessun altro».
Il luna park è chiuso da dieci anni. È vero che lei ogni tanto torna da quelle parti a rimuginare?
«Sì, quando ci passo mi viene mal di pancia. Qualche anno fa mi sono intrufolata scavalcando la recinzione per recuperare le scimmie di peluche della nostra giostra. Ora ho la casa piena. Anche se riaprissero, ormai è finita un’epoca. Le facce della mia famiglia allargata non le rivedrò più: Bruna dei bagni, Luisa dei palloncini, Aldo delle giostrine, Mario della nave pirata, invidiatissimo perché aveva un microfono con cui reclutare clienti».
Ecco la Virginia malinconica.
«Malinconia is the new black».
Lei quando ha deciso che avrebbe lavorato nel mondo dello spettacolo?
«Da bambina ballavo sul letto guardando Fantastico. Quando avevo otto-nove anni Marcello Mastroianni venne a girare Verso Sera tra le nostre giostre. E qualche anno dopo arrivò Francesco Nuti con Il signor Quindicipalle. Con lui feci pure una comparsata. A quel punto ero segnata».
Che studi ha fatto?
«Liceo artistico a Tor Marancia, borgata di Roma Sud. Ho trascorso l’adolescenza a compilare book fotografici e a far provini. Mio padre mi scarrozzava da una parte all’altra e io venivo scartata, anche con pretesti grotteschi: “Te se muove troppo ‘a faccia”. Poi mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti, indirizzo scenografia. Ma proprio quando stavano per cominciare le lezioni, mi chiamarono per una mini-parte nel Plautus con Carlo Croccolo. Scelsi di andare in tournée».
Da lì a Sanremo tutto in discesa.
«Ma quando mai! Per molto tempo sono stata quella in panchina. Si ammalava un attore e io al volo dovevo imparare la parte. Mi presero per fare Sottobanco di Domenico Starnone, in sostituzione di Gabriella Silvestri. Nel frattempo con due amici avevamo composto il trio comico “Due interi e un ridotto”. Passavamo giornate e giornate a scrivere. Coi compensi ci pagavamo a malapena la benzina dei viaggi».
Vi sono mai capitate platee poco reattive?
«Certo. Una volta ad Ascoli Piceno il manager del bar dove ci esibivamo ci accolse così: “Oh, se piacete al proprietario, pizza gratis”. Facemmo uno sketch con delle finte televendite. Il pubblico rimase impietrito. Dopo lo spettacolo e dopo la cena, il proprietario si avvicinò al nostro tavolo e… “sono trenta euro”. Fuori trovammo pure la nostra locandina strappata. Una vera umiliazione».
La prima apparizione in tivvù?
«Con Lillo e Greg a Bla bla bla, facevo una medium abbastanza grottesca. Poi partecipai a un provino con Pippo Baudo in via Asiago per la trasmissione Domenica In/7 Giorni. Mi presero grazie allo sketch della telefonista con parlata meccanica sincopata e dizione claudicante a scatti. Vedere Baudo fu abbastanza un colpo… Lui, Arbore, Boncompagni, sono quelli con cui sono cresciuta».
Da ragazza lei aveva dei miti tra i comici?
«Gigi Proietti. Una sera, dopo essere stata con i miei genitori a vedere A me gli occhi, please, lo vidi allontanarsi con una Saab scura. Presi la targa e nelle settimane successive mi aggirai per le strade di Roma controllando tutte le Saab. In camera avevo appeso un disco con l’audio di un suo spettacolo con la sua foto in copertina».
Ha mai incontrato Proietti?
«Conoscendo la mia fissazione, Lillo e Greg mi hanno tormentato per un’intera stagione teatrale bisbigliandomi all’orecchio, mentre ero in scena, che c’era Proietti in seconda fila».
Crudeli.
«Io li insultavo. Poi un giorno venne davvero. E quando lo incontrai mi misi a piangere per la tensione. Con Greg e Lillo eravamo un trio meraviglioso. Greg è l’uomo degli scherzi. Durante uno sketch in cui io e Lillo dovevamo restare immobili con gli occhi spalancati, ci tirava proiettili di carta con la cerbottana. Certe breccole! E una volta, mentre eravamo in volo per raggiungere un teatro, disegnò una hostess a gambe aperte, una roba parecchio volgare. Poi mise la penna in mano a Lillo che stava dormendo e appoggiò il disegno sul suo tavolino. Quando la hostess arrivò per chiederci se volevamo bere qualcosa, Greg diede una botta a Lillo che si svegliò con la penna in mano e venne fulminato dallo sguardo della hostess indignata».
Se le proponessero un cinepanettone…
«Le offerte di lavoro sono tutte importanti. Per quanto riguarda quel tipo di commedia, bisognerebbe riuscire a incastrarci la propria comicità. Allo stesso tempo però oggi non mi andrebbe di fare il film del comico che gira il lungometraggio con i suoi personaggi abituali».
Niente pellicole alla Checco Zalone?
«Non lo so. M’interrogo tutti i giorni. Certo se mi chiamasse Pedro Almodóvar…».
Un regista italiano da cui vorrebbe essere diretta?
«Paolo Sorrentino. O Paolo Virzì. Ma anche Nanni Moretti… Con lui ho inanellato una bella serie di gaffe».
Dove lo ha conosciuto?
«A casa del regista Giovanni Veronesi. A tavola ero agitatissima. Se me lo avesse chiesto gli avrei portato l’acqua con le orecchie. Mi sarei brasata un braccio per sfamarlo. Mentre mangiavamo, Domenico Procacci, che di solito è taciturno, ebbe la bella idea di dirgli che avevo appena cominciato a condurre Striscia la notizia. A quel punto Moretti ha cominciato a massacrarmi: “Posso cambiare posto? Devo stare per forza accanto a questa ragazza?”. Mi venne un crampo per quanto ero tesa. Dopo un po’ di tempo andai a vedere un amico al teatro Brancaccio. C’era anche Moretti. Gli passai davanti pensando che non mi avrebbe riconosciuta. Sentii la sua voce: “Che fai? Non saluti?”. E io: “Ah, ma si ricorda?”. E lui: “Pensi che sia rincojonito?”. Insomma, non credo che mi chiamerà. Immagino che mi consideri una comicarola da quattro soldi».
Una comica… che?
«Comicarola. È un modo romanesco di chiamare i comici del cabaret. Anna Marchesini ha raccontato che Federico Fellini la reputava la più grande comicarola del Ventunesimo secolo. E aveva ragione».
Anche Anna Marchesini rientra tra i suoi miti comici?
“Certo. Lei era lei. Ha segnato un’epoca. La sua scomparsa mi ha fatto arrabbiare e addolorare. Ma resta un insostituibile punto di riferimento per chi vuole intraprendere questo mestiere».
Un attore con cui le piacerebbe duettare?
«Elio Germano, eccezionale in Come Dio comanda».
Un film che non girerebbe mai?
«Un porno».
Pensavo che mi citasse qualche personaggio ultra crudele.
«Scherza? Sono i migliori. E poi tutti noi nascondiamo qualche perversione».
Il film preferito?
«Ne posso dire uno solo? C’era una volta in America».
La canzone?
«Una? Ma come si fa? Space Oddity di David Bowie».
Il libro?
«Il barone rampante di Italo Calvino».
Che cosa guarda in tv?
«Tutto. La Gruber, i tg… M’ipnotizza il momento della ghigliottina durante L’eredità».
A cena col nemico?
«Che cos’è questo imborghesimento? Mi risultava che col nemico si andasse a letto!».
Con l’imprenditore che ha chiuso il luna park dei suoi nonni andrebbe a cena?
«Se lo incontro je meno».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Non aver studiato un po’ di più e non aver mai scritto o registrato i racconti di mia nonna».
Ha un clan di amici?
«Ho due angeli custodi: Claudia e Diana, due donne speciali. Ma in realtà gli angeli custodi sono quattro. Ci sono anche mia madre, Paola, e mio padre, Marione. Lei è la cantante della famiglia, teatralissima. Mio padre ha tempi comici pazzeschi. Quando gli ho detto che mi avevano chiesto di fare Sanremo lui ha fatto la faccia sghicia, di quello che conosce il mondo, e ha esclamato: “Lo sapevo io!”. Mamma, invece, prima mi ha minacciata: “Su ‘ste cose non si scherza… Se è un’altra delle tue cazzate…”. Poi si è messa a gridare e a battere le mani. In realtà io non ero sicura di accettare».
Perché?
«Perché Sanremo è un azzardo. Se va male t’ariva ‘na sveglia… Rischiavo di tornare alla mia tournée teatrale e di trovare i forni».
I forni?
«È gergo teatrale. I forni sono i teatri vuoti, le platee deserte».
Le è mai capitato un forno?
«Per ora no, tiè».
Vittorio Zincone

Categorie : interviste
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