Melita Cavallo (Sette – febbraio 2016)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 26 febbraio 2016).
Melita Cavallo, giudice, per quarantaquattro anni ha cercato di migliorare la vita di migliaia di bambini e di ragazzi: vittime di bullismo, scippatori in erba, figli confusi di coppie scoppiate, bambine abusate, giovani che convivono con anziani egoismi. Il suo ultimo incarico è stato quello di Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma, ma ha lavorato anche a Napoli e a Milano, e ha diretto la Commissione per le adozioni internazionali. Sta scrivendo le sue ultime sentenze. Ha una competenza solida, ma pacatissima: parla con lieve cadenza campana, senza mai alzare la voce. La incontro nella sua abitazione romana.
Cavallo ha da poco dato alle stampe un libro, Si fa presto a dire famiglia (Laterza), gonfio di storie: c’è il suo percorso in magistratura e ci sono i casi esemplari di cui si è occupata. Ogni capitolo una piccola immersione nei pozzi affettivi degli italiani. Al centro, i minori. Intorno, gli adulti, spesso inadeguati come genitori, o pietrificati dai pregiudizi e dai rancori. C’è anche la storia di un padre che cerca disperatamente di rintracciare la figlia rapita dalla madre scappata all’estero. Mi spiega che purtroppo è stato assassinato. Le si arrossano gli occhi: «Ogni volta che ci penso…».
Mentre parliamo le Agenzie di Stampa battono le ultime notizie dal Senato: guelfi e ghibellini del Terzo Millennio si affrontano a palazzo Madama sullo scabroso tema del maxi emendamento marsupiale al ddl Cirinnà. Urlano. Volano insulti. Puro teatro della politica. Cavallo commenta: «Credo che ci sia anche molta cattiva informazione. Una confusione montata ad arte per distogliere l’attenzione dall’obiettivo fondamentale, che è il benessere psico-fisico dei bambini, e per riportare a galla i peggiori pregiudizi degli italiani».
La stepchild adoption…
«Facciamo chiarezza: qui non si parla di stepchild adoption, che è l’adozione del figlio del marito o della moglie, perché non c’è né una moglie, né un marito. Qui si discute dell’adozione da parte del genitore sociale. Per le coppie eterosessuali c’è già una legge, la 184 del 1983. Ora si sta decidendo se consentire alla compagna di una madre di adottarne il figlio».
Molti cattolici insorgono.
«Sbagliano, e non tengono conto di una realtà già esistente. I bambini vedono il mondo con occhi innocenti. Una ragazzina che riconosce una seconda mamma e sta bene, può avere meno diritti della figlia di una famiglia etero? No. Il Tribunale per i Minorenni di Roma ha già deciso una decina di sentenze favorevoli a questo tipo di adozioni».
Dopo la pubblicazione della prima, nell’estate 2014, Carlo Giovanardi, ha avuto da ridire.
«Mi ha insultata pesantemente. Ma ho ricevuto i complimenti di Stefano Rodotà, ben più rilevanti. Quella sentenza ha passato il giudizio d’Appello. Ora c’è il vaglio della Cassazione. A quel punto tutti i tribunali italiani dovranno adeguarsi».
A che cosa serve una legge come la Cirinnà se i giudici potranno e dovranno adeguarsi alla sua sentenza?
«A rendere omogenei i giudizi prima che la Cassazione si pronunci. Tutto qui».
Lei come è arrivata a queste sentenze favorevoli all’adozione del genitore sociale nelle coppie gay?
«Conosco bene la legge e prima ancora la nostra Costituzione. Le Convenzioni Internazionali e le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo. E poi ci sono le valutazioni sulle persone e sul bambino, effettuate con l’aiuto di psicologi, pediatri e assistenti sociali. Parliamo di verifiche molto approfondite, durate oltre un anno. Per questo sono contraria alla proposta alternativa di affidamento rafforzato: nel caso di specie non ha alcun senso!».
Ci sono sentenze che hanno riguardato anche coppie di uomini. In questi casi spesso c’è stato un utero in affitto.
«Respingo quell’espressione coniata per sottolineare gli aspetti negativi. La dizione giusta è maternità surrogata o maternità per altri».
Lei è favorevole?
«Perché lo scandalo scoppia solo ora che si parla di coppie omosessuali? Sa quante coppie eterosessuali che avevano provato invano ad adottare, poi si sono presentate in tribunale con un bambino, partorito casualmente all’estero? Ci sono spesso donne che non hanno potuto portare avanti una gravidanza ed è evidente che c’è stata una “gestazione per altri”. Nella maggior parte dei casi i Tribunali concedono l’adozione. Queste coppie si presentano quando il bambino è già cresciutello, sta bene, è amato e ben curato. Che cosa dovremmo fare?».
C’è chi propone di sottrarre questi bambini ai genitori.
«Solo chi non pensa al benessere del bambino può immaginare una cosa simile. Tutti contestiamo lo sfruttamento del corpo di una donna, l’idea della mercificazione dell’utero è inaccettabile e va combattuta. Ma in molti Paesi la gestazione per altri è gestita in modo corretto e ben organizzato. Io sono contro il commercio di bambini e ho fatto lotte durissime anche contro le adozioni clandestine. So che avere un bambino non è un diritto, ma è un desiderio grandissimo connaturato alla donna, e penso anche che se le biotecniche possono aiutare una coppia che si ama, non mi scandalizzo, anche perché nessuno subisce un danno».
Si dice: perché non dare la precedenza a una legge che faciliti le adozioni? È vero che oggi è più facile un’adozione all’estero che un’adozione in Italia?
«Era così fino a dieci anni fa. L’adozione nazionale subisce riduzioni perché è forte la pressione del legislatore sulla necessità di recuperare la famiglia naturale. La lista di attesa si allunga sempre di più perché i bambini adottabili sono molto pochi rispetto alla domanda: il rapporto è di 12 ad 1! Ma è anche vero che ormai i bambini adottabili dall’estero hanno quasi sempre special needs: sono problematici, spesso hanno subito abusi. Non è per niente facile e ci sono molte restituzioni».
Che fine fanno i bambini adottati “restituiti”?
«Nella maggior parte dei casi vengono collocati nelle case-famiglia e si tenta un affidamento familiare».
Ogni tanto sui quotidiani si legge di case-famiglia non molto ospitali.
«Ci sono strutture eccellenti. Ma può capitare qualche brutta eccezione. Ci dovrebbero essere controlli più frequenti. Io ho ottenuta la chiusura di una comunità da un giorno all’altro. Purtroppo era gestita da un prete».
Il suo libro è un viaggio nelle patologie delle famiglie italiane.
«È un malessere che cresce. Sono aumentate le coppie miste, ma queste spesso non funzionano anche perché alcune etnie sono di una violenza estrema».
Lei scrive: le coppie di censo elevato sono quelle più litigiose.
«La gente semplice non ha soldi per gli avvocati né tempo da perdere. Senza generalizzare: negli ultimi anni ho incontrato con molta frequenza mamme anaffettive in carriera. Si stancano dei mariti, pretendono tanti soldi e affidamenti esclusivi, ma poi non hanno mai tempo per i figli…».
Lei quando ha cominciato a occuparsi di minori?
«Da subito. Mio padre era penalista, mia madre insegnante. Io inizialmente ho tentennato tra i due mestieri. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ho insegnato storia e filosofia in un liceo, per un breve periodo. Avevo gli incubi, perché temevo di non essere preparata su Kant. Poi ho vinto il concorso in magistratura».
Primo incarico?
«Tirocinio a Napoli, al tribunale minorile. Ne ho viste talmente tante in quel periodo che poi ho deciso di occuparmi di bambini e di ragazzi anche quando ho dovuto scegliere la mia prima sede e sono andata a Milano».
Lei si occupa anche di bullismo?
«Certo. I ragazzi in gruppo perdono il senso del limite».
Come si può deviare l’energia negativa dei bulli in qualcosa di positivo?
«Ci vuole carisma. Spesso basta un adulto carismatico, una persona che dia fiducia ai ragazzi, anche se hanno fatto molti errori».
Che cosa pensa delle polemiche di Matteo Renzi sui giudici a cui vanno tagliate le ferie?
«Io ho utilizzato spesso le ferie per scrivere le sentenze. Mi pare una polemica un po’ pretestuosa. Dopodiché è vero che certe situazioni sono insostenibili: quando sono arrivata alla guida del Tribunale minorile di Roma, nel 2009, c’erano fascicoli del 2000 abbandonati e i ragazzi di cui ci si sarebbe dovuti occupare erano diventati maggiorenni. C’era un collega che tutti compativano perché cardiopatico. Non faceva più nulla. Ripeto: nulla. Gli ho fatto comprendere che se non avesse chiesto immediatamente il pensionamento lo avrei segnalato per un provvedimento disciplinare al Csm. Pochi giorni dopo è andato via».
Che cosa guarda in tv?
«Che tempo che fa, Piazzapulita, i tiggì… E poi Il commissario Montalbano».
La canzone preferita?
«Amo le vecchie melodie napoletane: Voce ‘e notte, cantata da Luciano Pavarotti».
Il film?
«Parla con lei di Pedro Almodòvar».
Il libro?
«I classici. I miserabili di Victor Hugo, lo leggo periodicamente e ci trovo sempre cose diverse».
Sa quanto costa un litro di latte?
«Certo, faccio la spesa. Costa due euro circa».
I confini della Siria?
«L’Iraq?».
Lei ha sempre detto di amare i viaggi.
«In Siria non sono stata. Come presidente dell’Associazione per le Adozioni Internazionali, ho conosciuto molti Paesi. Più che visitarli ho avuto modo di vedere come lavorano».
Il modo di lavorare più sorprendente?
«In Cina. Il mio omologo aveva poco più di trent’anni e aveva studiato le nostre regole in maniera molto approfondita».
A cena col nemico.
«Non mi sento di avere nemici. In ogni caso, perché dovrei cenare col nemico? Per una conciliazione?».
Con Carlo Giovanardi dividerebbe un pasto?
«No».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Mia figlia Luisa abita a pochi metri da me. I maschi, Renato e Francesco, invece, sono a Londra, dove si sono trasferiti dopo la laurea. Mi capita di pensare se non sia stato un errore spingerli così tanto verso lingue e culture diverse. Ma poi mi rendo conto che in Inghilterra hanno raggiunto vette che qui si sarebbero potuti solo sognare».

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