Alessandro Cattelan (Sette – febbraio 2016)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 5 febbraio 2016).
A un certo punto l’intervista viene interrotta. C’è da girare uno spot di EPCC. Alessandro Cattelan si avvicina ai suoi autori: «Che cosa devo fare?». Loro: «Fingi di correre, ti fermi, ti aggiusti la cravatta e te ne vai». Il tutto avviene su uno sfondo verde. In post produzione, poi, verrà aggiunto il video-contesto della scenetta. Ciak. Finite le riprese chiedo: «Mi puoi anticipare quali immagini verranno appiccicate dietro la tua corsa?». Lui sorride: «Non ne ho idea». Cattelan gioca un po’ al conduttore inconsapevole. In realtà dentro E poi c’è Cattelan (EPCC), la trasmissione di seconda serata appena ripartita su SkyUno, c’è tutta la sua ultra-professionale capacità di cazzeggiare. Dice: «Tutto quello che mi piace fare ce lo butto dentro. EPCC sono io al 100%». Nelle scorse stagioni, questa è la terza, ha gareggiato con il centauro Valentino Rossi sui cavallucci a dondolo, si è travestito da He-Man e ha sfidato il centrocampista Claudio Marchisio nel tiro al barattolo, si è fatto insegnare a suonare la fisarmonica da Francesco De Gregori e ha giocato a “per un pugno di schiaffi” con l’attrice Miriam Leone concludendo la sfida a scarabocchi in faccia. La citazione del film Toro Scatenato che si è tatuato una decina di anni fa, spiega tutto: “That’s entertainment”. Cattelan ha 35 anni ed è in tv da 14: ha condotto trasmissioni per bambini, per giovani rockettari, per neofiti del mondo dell’arte, per sportivi goliardi. Imperversa quotidianamente su RadioDeejay e negli spot di una azienda dell’elettricità. Ha appena condotto la trasmissione culto XFactor. Quando gli chiedo chi fossero i suoi miti tv giovanili, racconta: «La Gialappa’s Band. Cercando vecchie immagini per una delle prossime puntate, ho trovato una foto della mia cameretta degli anni Novanta. C’era anche un poster di Simona Ventura ai tempi di Mai dire gol». La Ventura è la conduttrice che lo strappò a Mtv per portarlo a Quelli che il calcio. I più maligni per un po’ hanno detto che Cattelan era il suo cocco. Sbuffa: «Sono gli stessi che mi trattano da eterno ragazzo nonostante io abbia fatto decisamente molte ore di volo». Domando: «Hai già condotto sei edizioni di XFactor, quante altre ne farai?». Si prende la testa tra le mani e risponde tra l’ironico e lo sconsolato: «Una? Due? Nel mio mondo ideale vorrei fare solo EPCC».
Vorresti un EPCC quotidiano invece che settimanale?
«Magari. I miei modelli sono Jimmy Fallon e Dave Letterman. Ho provato ad andare a vederli dal vivo a New York, ma sono stato rimbalzato. Il massimo ottenuto è stato affacciarmi all’ingresso».
Costringi i tuoi ospiti a giochi rocamboleschi.
«In realtà spesso sono loro stessi a proporre qualcosa da fare. Vengono in redazione. Ci parlo e gli sottopongo una lista di possibili spunti. A me non piace l’idea del conduttore che deve costruire tranelli per mettere in difficoltà l’ospite o per farlo inciampare. Faccio intrattenimento».
Non hai mai ospiti politici.
«Un ministro o un parlamentare, al momento, sarebbero di difficile gestione. Non credo che riuscirei a trattarli come faccio con gli altri o a contenere i loro pipponi politici».
A Renzi, a Salvini e a Grillo che cosa faresti fare?
«I tre maschi della serie Friends. Gli farei cantare la sigla».
Hai mai fatto politica?
«No».
Te ne occupi?
«Poco. Ho avuto una fase adolescenziale durante la quale non me ne fregava nulla. Tra i 23 e i 28 anni ho sentito il bisogno di portare il fardello del disgusto per certi incomprensibili atteggiamenti della politica. Ora evito l’argomento».
Che cosa voti?
«Negli ultimi anni non ho votato. In passato ho messo la X sul nome di Fini, di Prodi…».
Come ti informi?
«Sono in una fase di rigetto delle opinioni. Un po’ è colpa dei socialnetwork dove tutti si sentono in dovere di dire qualcosa su argomenti che nel 99% dei casi non conoscono».
Già. La riforma del Senato…
«Ne so poco. Perché chiedono a me di approvarla con un referendum? Non è il loro mestiere progettare bene le riforme?».
Sei cattolico. Hai un Cristo tatuato sulla spalla. Che cosa pensi del dibattito sulle Unioni civili?
«Come si fa a non essere favorevoli ai matrimoni gay? Vuol dire essere ottusi. Io cerco di attenermi al buon senso».
Le adozioni da parte di coppie gay…
«È più complicato. La natura ci direbbe che un bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Ma è anche evidente che un bambino stia meglio con due padri che gli vogliono bene piuttosto che con due genitori disattenti».
Hai una figlia, Nina, di tre anni. Che padre sei?
«Presente. Il periodo peggiore è questo, quando sono concentrato su EPCC, ma riesco comunque ad accompagnarla a scuola. Non credo di aver saltato alcuno step: assistenza al parto, cambiamento pannolini, coliche, notti insonni…».
Tuo padre era carabiniere. Che educazione hai avuto?
«Solida. Di quelle che ti insegnano a stare al mondo. Ora che si è parlato di ristoratori che non vogliono far entrare i bambini nei loro locali, mi è tornato in mente che quando andavamo in pizzeria io restavo immobile e cercavo di non dar fastidio. A mio padre bastava fare i suoi “crazy eyes”, lo sguardo che ti frizza, per farmi capire che stavo facendo qualcosa di sbagliato».
La leggenda vuole che tu abbia conosciuto tua moglie Ludovica allo stadio.
«Non è una leggenda. È la verità».
Sei molto tifoso?
«Sono al fianco dei nerazzurri fino all’ultimo secondo della partita. Non sono come quelli che escono dallo stadio cinque minuti prima per paura del traffico».
Hai annunciato: vorrei giocare un minuto in serie A.
«Ci ha provato anche Gene Gnocchi. Al momento milito nel Bruzzano, in Seconda Categoria».
Meglio un minuto in serie A o EPCC al 20% di share?
«Tutta la vita il minuto in serie A».
Scherzi?
«Non mi sveglio la mattina con l’ansia della percentuale di ascolto. Capita spesso che puntate riuscitissime siano meno viste di puntate riuscite peggio».
A cena col nemico?
«Con Andrea Agnelli».
Il presidente della Juventus.
«È bravo. Penso che i bianconeri vinceranno anche quest’anno, purtroppo. La mia Inter al massimo sarà la “sorpresa”».
Hai un clan di amici?
«Esco poco. C’è un gruppo milanese e poi ci sono quelli antichi di Tortona. Quello che vedo e sento di più è Deri. Gli sottopongo gli sketch. Molte idee le scriviamo insieme. Quest’anno lo porterò anche in studio».
Checco Zalone qualche settimana fa ha detto a Sette che lui non fa spot per aziende perché sarebbe un tradimento nei confronti dei suoi fan. Tu sei testimonial in una pubblicità…
«Occupiamo spazi mediatici diversi. Io sono consapevole di essere una persona molto spendibile dal punto di vista pubblicitario e cerco di mantenere una credibilità. Ma non potevo rifiutare l’offerta economica dell’Enel. In compenso ho sempre evitato le proposte non all’altezza».
Ne arrivano tante?
«Ti offrono migliaia di euro per pubblicare una foto su un socialnetwork in cui compari tu e si vede di striscio un prodotto».
L’errore più grande che hai fatto?
«Una trasmissione di cui mi sono vergognato per molti anni».
Quale?
«Ziggie su Italia1».
Era una trasmissione per bambini.
«All’inizio avevo paura, dopo le produzioni “pane e salame” di Viva, Mediaset mi sembrava un salto pazzesco. In realtà c’erano persone fantastiche, ma ogni volta che si cominciava a girare mi veniva la morte nel cuore».
Perché?
«Me ne stavo lì, vestito come un cretino, con accanto un drago di gommapiuma, e pensavo alle reazioni dei miei amici a Tortona».
Che cosa guardi in tv?
«Calcio e serie tv».
La serie tv culto?
«In passato Friends. Ora House of Cards o Narcos».
Il libro preferito?
«Il vagabondo delle stelle di Jack London. Recentemente mi sono preso una scuffia incredibile per Fedor Dostoevskij. A scuola non leggevo mai, ora sono ossessivo».
La canzone?
“Beatles, Beatles. Ho dovuto smettere di ammucchiare memorabilia dei Fab Four, perché casa mia sembrava il covo di un maniaco”.
Sei mai riuscito a conoscere uno dei Beatles?
«No, ma ho assistito al concerto di Paul McCartney e Ringo Starr. Il più bello della mia vita».
Sai quanto costa un pacco di pannolini?
«Dipende dal peso del pupo».
Conosci l’articolo 12 della Costituzione?
«No».
È quello che descrive il Tricolore. Che cosa è per te la bandiera dell’Italia?
«È qualcosa che lego alla mia infanzia. Mi commuovo quando lo vedo sventolare dopo un’impresa sportiva. Sarà l’influenza paterna: da bambino mio padre mi insegnò anche che quando c’è l’Inno ci si alza in piedi, ci si mette la mano sul petto e si canta».
È anche per questo che ti sei fatto tatuare la data della finale dell’ultima vittoria ai mondiali dell’Italia?
“No, quella è stata una scommessa sciocca fatta prima che cominciassero i rigori. Urlai: se vinciamo lo faccio! E così…».
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