Lodovica Comello (Sette – novembre 2015)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 6 novembre 2015).
I musical. Tre stagioni da coprotagonista di Violetta, la soap Disney planetaria per ragazzini. Un mini tour mondiale da cantante solista con tanto di balletti. E ora l’approdo come presentatrice negli studi sgargianti di Italia’s Got Talent (in onda a marzo su Sky). A venticinque anni Lodovica Comello ha polverizzato le tappe dello show business. Battuta pronta e autoironia a pallettoni. Generazione “post-Muro”: poche ideologie e news quanto basta: «I talk show non li guardo. So che il premier Renzi è d’accordo». La politica? «Non mi ha mai interessato. L’unico voto che ho dato è stato quando ho compiuto diciotto anni». Parliamo delle Politiche del 2008. Berlusconi o Veltroni? «Quello con la V».
Lodovica è cresciuta local nella campagna del Nordest verdeggiante, ma è diventata presto giramondo. Dice: «Ormai a San Daniele del Friuli ci torno solo per ristorarmi».
I duecentoquaranta episodi di Violetta le hanno fruttato un marito (Tomas Goldschmidt, che lavorava nella produzione della serie), tre milioni di “mi piace” sul profilo di Facebook e un milione di followers su quello di Twitter. A un certo punto le chiedo conto dei testi delle canzoni del suo album Mariposa: roba decisamente pop-melensa. Replica candidamente: «Sto ancora surfando sull’onda di Violetta. Per me stessa scrivo testi un po’ più cupi, ma non è il caso di traumatizzare i ragazzini».
Chi sono i tuoi modelli? Le altre star ex Disney come Miley Cyrus o Britney Spears?
«No, no. Mi piace l’immagine del cantautore. Hai presente? Una chitarra, un microfono…».
Un’immagine desueta.
«In Italia oggi c’è Carmen Consoli. Io sarò la prossima!».
Nel frattempo ti sei concessa alla tv. Se ti andasse bene…
«Lo so. Rischio di abbandonare il percorso musicale. Cercherò di fare del mio peggio, allora! Ahah. In realtà faccio tv anche per allargare il mio target».
Quando hai cominciato con la musica?
«Presto. Mio padre mi faceva ascoltare Bruce Springsteen e Fabrizio De André. A un certo punto mi misi in testa che avrei imparato a suonare come David Gilmour, il chitarrista dei Pink Floyd».
A che età?
«A sei anni. C’è una canzone dei Pink Floyd che ha perseguitato la mia infanzia: Lost for words. Quando chiesi a mio padre di fare un corso di chitarra, lui scherzando mi disse che mi avrebbe iscritta solo se poi gli avessi suonato l’assolo di quella canzone».
L’hai imparato?
«Ehm… Mai».
Le tue prime esibizioni in pubblico?
«A scuola. Ho suonato e cantato con molti gruppetti giovanili. Il più popolare si chiamava i Cly-to-ride. Diciamo che era un omaggio al corpo femminile. Facevamo cover. A diciotto anni, poi, mi sono iscritta al Mas».
L’accademia Music Arts & Show di Milano.
«Otto ore al giorno per studiare canto, jazz, rock».
Tipo Fame, la leggendaria scuola newyorkese della serie tv.
«Quando sono entrata la prima volta c’era gente che improvvisava pezzi di musical nei corridoi».
Il tuo primo lavoro nello show business?
«Il tour italiano e quello spagnolo del musical Il mondo di Patty. Ero nel corpo di ballo e cantavo come corista. Si sputava sangue. L’anno successivo ho partecipato al casting per Violetta. Serviva una ragazza versatile. Mi hanno presa al primo colpo».
Un volo per l’Argentina e via. Tentennamenti?
«Certi treni passano una volta sola».
Vita a Buenos Aires.
«Tutti gli attori di Violetta vivevano nello stesso edificio. Sveglia alle 6. Alle 7 l’autista ci passava a prendere. Trucco, parrucco e subito sul set per circa dieci ore al giorno. Poi si tornava a casa: cena, lettura dei copioni del giorno dopo, doccia e nanna. Una routine che amavo».
Quanti episodi giravate a settimana?
«Giravamo una ventina di scene al giorno, ma non dello stesso episodio. Il sistema produttivo è serratissimo. Violetta è una mini Beautiful virata sul modello della novela argentina. Un giorno le esterne nel parco, un altro le scene nella sala musicale, un altro ancora nel bar. Senza fermarsi mai. Poteva capitare di recitare nel giro di pochi minuti episodi lontanissimi tra loro, senza capire bene quale fosse il contesto. Al massimo il regista ti diceva, sceneggiatura alla mano, che cosa era successo subito prima e che cosa sarebbe successo subito dopo».
Com’era Violetta, cioè Martina Stoessel?
«Una bomba. Quando è arrivata la prima volta sul set aveva circa quattordici anni. Talmente piccina che le mancava un dente. Si portava una capsula in una scatoletta e la montava prima di girare. Dopo il ciak si trasformava. Era inarrestabile».
Perché hai deciso di lasciare quel mondo?
«Ero di fronte a un bivio: fare l’ultimo tour mondiale al servizio di Violetta con il mio piccolo spazietto tra un balletto e l’altro… o rischiare?».
Hai rischiato.
«Sono decisamente ambiziosa».
Non hai paura di perdere i fan da star planetaria che ti garantiva il mondo Disney?
«No. La normalità ritrovata mi piace molto. Sotto casa dei miei genitori arrivano ancora ragazzini col megafono per cantarmi una canzone. Mio padre li accoglie a bicchierate d’acqua».
I fan…
«Sono sommersa dai peluche. Sanno che mi piacciono le candele e mi lasciano biglietti con accanto un lumino. Ogni tanto sono un po’ macabri. Ahahah. Una volta in Guatemala sono entrata nella camera del mio hotel e ci ho trovato un ragazzo che mi aspettava».
Paura?
«Beh sì. Era un adolescente tremante. Ho urlato e la sicurezza se lo è portato via. Poi mi sono pure sentita in colpa».
Da qualche mese lavori a Italia’s Got Talent. La differenza principale tra il mondo Disney e la galassia Sky?
«Io ho conosciuto la Disney in Argentina. Lì sono molto professionali, ma anche molto rilassati. Quelli di Sky hanno un po’ più di pepe nel… Ci siamo capiti!».
Qual è la scelta che ti ha cambiato la vita?
«Partire per Milano. Quando ho deciso di trasferirmi lì da San Daniele, ero consapevole che non avrei più fatto una vita normale e che non avrei lavorato nel negozio di abbigliamento dei miei genitori».
Che cosa guardi in tv?
«Soprattutto le serie tv. Ora sto seguendo Lilyhammer con Steven Van Zandt, il leggendario Little Steven che suonava con Bruce Springsteen. Ma ammetto che dopo aver visto Breaking Bad tutte le serie sembrano inutili. Un po’ come quando torni dall’Argentina e mangi la carne italiana: sembra stupida».
Il film preferito?
«Il favoloso mondo di Amélie. Io sono Amélie».
Non sembra proprio.
«Anche io sono una incorreggibile Peter Pan».
Hai venticinque anni, lavori come un mulo e sei sposata.
«Ma ho l’incubo delle cose da grandi: andare dal commercialista… Quelle robe lì».
Un regista con cui vorresti lavorare?
«Se Woody mi manda uno script, gli do una letta. Giuro!».
La canzone?
«Sulla schiena, sotto al collo, ho tatuata una chitarra Fender e la scritta Born to run che è il titolo di un pezzo del Boss. Ma ho anche un altro tattoo che è una citazione di Un matto di Fabrizio De André: “…e neppure la notte ti lascia da solo, gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro”. Direi una di queste due».
Il libro?
«Just Kids di quella meravigliosa rocker che è Patti Smith. L’ho letto un paio di anni fa mentre ero a New York».
Conosci l’articolo 3 della Costituzione?
«Uhm. No».
Dice che siamo tutti uguali davanti alla legge.
«Mi pare una definizione imprecisa».
Sai quanto costa un litro di latte?
«Aspetta… Ehm… Un euro e mezzo?».
Sì. I confini dell’Ungheria?
«Cavolo, speravo che mi chiedessi quelli dei Paesi nordafricani».
Prova con l’Ungheria.
«So che recentemente hanno alzato dei nuovi muri. Ma non so su quale confine. Comunque io sono per l’accoglienza. Io stessa ho accolto un argentino extracomunitario in casa: mio marito, il gaucho, il mio bel manzo, ahahah».
Hai un clan di amici?
«Ho quelli antichi di San Daniele. Con la mia famiglia contribuiscono ogni giorno a tenermi con i piedi ben piantati a terra».
Come?
«Quando sono a casa dei miei genitori apparecchio e lavo. Mi mandano pure a comprare il prosciutto!».
A cena col nemico?
«Te lo dico se non fai un titolo in cui sembra che aspiro a diventare una narcotrafficante».
Prometto.
«Avrei cenato volentieri con Pablo Escobar».
Il re della cocaina? Il trafficante più ricco della storia?
«Mio marito è un appassionato della sua storia e insieme ci siamo visti serie tv e documentari che parlano di lui. Tra i cattivissimi è di sicuro uno di quelli con le palle più quadrate».
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