Don Francesco Soddu (Sette – settembre 2015)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera, il 4 settembre 2015).
Don Francesco Soddu, 56 anni, sassarese, è il direttore della Caritas italiana. Orgoglio sardo e occhi sorridenti sempre puntati sulla perduta gente. L’intervista si svolge a Roma. Quando entro nella sua stanza è in compagnia di padre Samir, un sacerdote curdo che viene da Erbil e che cerca di aiutare quotidianamente decine di profughi e di sfollati vittime dell’avanzata dell’Isis in Iraq. Si fanno una foto insieme e prima dello scatto don Francesco si sistema il colletto: «Aspetti, aspetti… Mi vesto da prete».
Soddu è reduce dal MigraMed, il meeting organizzato dalla Caritas per discutere di profughi e di migranti nel Mediterraneo. Si è svolto a Tunisi dopo l’attentato al Museo del Bardo, ma prima della strage sulla spiaggia di Sousse. Dice: «La sicurezza è importantissima. Ma l’accoglienza viene prima». Lui odia i muri. Quando deve descrivere quel che sta avvenendo tra l’Africa, il Medio Oriente e l’Europa tira fuori un’immagine scioccante: «È in corso un’emorragia. Molti europei pensano che la si possa tamponare semplicemente chiudendo le frontiere e arroccandosi. Invece andrebbero capiti i motivi dell’emorragia. Altrimenti il tamponamento rischia di far morire il corpo che perde sangue. Oggi si dovrebbe sentire forte la voce dell’Onu».
Si alzano muri e si srotolano chilometri di filo spinato.
«Perché guardare che cosa succede veramente dall’altra parte del muro è sgradevole, non comodo. Invece di giudicare e respingere chi arriva, bisognerebbe andare a visitare i luoghi della disperazione da cui provengono queste persone. Sarebbe educativo per tutti, soprattutto per i politici e per gli operatori dell’informazione che soffiano sul fuoco dell’intolleranza. Gli italiani comunque sono meglio di come li si dipinge».
In che senso?
«La loro natura è accogliente. Prendendo spunto dalla Prefettura e dal Comune di Torino, Caritas Italiana ha rilanciato in una decina di diocesi il progetto “Rifugiato a casa mia”. Un’esperienza importante».
Quante famiglie hanno aderito?
«Una ventina».
Pochine.
«È un inizio. Anche i vescovi del Triveneto vorrebbero organizzare qualcosa di simile. Ma c’è chi vuole nascondere la potenzialità di una famiglia accogliente: chi accoglie cresce. Il confronto fa crescere. Ce lo dice la storia del nostro Continente: è assurdo parlare di Europa escludendo le migrazioni».
Matteo Salvini, la Lega e altre forze politiche dicono: «Prima ci dobbiamo occupare degli italiani».
«Ahahahah».
Ride?
«Da sardo. Una risata sardonica. Eheh. Rido della stupidità di certe affermazioni vuote: si fomenta la rivalità tra gli italiani più poveri e i migranti disperati, ma in realtà si vuole catalizzare l’attenzione sulle proprie posizioni politiche. E poi per i poveri non si fa nulla, li si strumentalizza, ma senza sporcarsi mai le mani. E questo vale a destra, a sinistra e anche all’interno della Chiesa. Non faccio distinzioni».
La Caritas e i poveri.
«I nostri centri di ascolto sul territorio ci dicono che anche tra gli italiani continuano a crescere i poveri. Noi ci occupiamo di tutti. E fortunatamente ora siamo meno soli. Il tema della povertà è al centro del pontificato di Papa Francesco: Cristo che privilegia i poveri per portare il suo messaggio».
Lei ha mai incontrato Papa Francesco?
«Sì. A cena a casa di Monsignor Giovanni Becciu, il sostituto Segretario di Stato. C’erano anche altri sacerdoti e tutti abbiamo raccontato al Santo Padre la nostra esperienza con i poveri».
Lo hanno soprannominato “il Papa comunista».
«E lui ha risposto egregiamente: occuparsi dei poveri è parte dei valori evangelici. Ci sono diritti che appartengono a ogni essere umano. Non si tratta di concederli o di riconoscerli, la persona umana ce li ha per natura. Durante il Concilio Vaticano II venne detto chiaramente: “Non si dia per carità ciò che è dovuto per giustizia”. Più chiaro di così».
Diritti. Lei è favorevole all’approvazione in Italia di una legge sulle unioni civili?
«Sì. Io credo che il Parlamento abbia perso un’occasione quando non vennero approvati i Dico».
I Dico: i diritti e i doveri delle persone stabilmente conviventi, raccolti in un ddl del governo Prodi del 2007. Ora una parte della Conferenza episcopale è ripartita alla carica contro il riconoscimento delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
«Non parliamo necessariamente di gay, ma anche di coppie eterosessuali, di situazioni come quella tra il parroco e la perpetua. Non è giusto che ci siano cittadini di serie A e di serie B».
Il cardinale Camillo Ruini ha detto che la Comunione va negata agli uomini e alle donne risposati che non vivono in regime di castità.
«Non vorrei commentare le parole di altri».
Che senso ha nel 2015 negare la comunione a due fedeli che per varie vicissitudini si sono ritrovati a sposarsi due volte?
«Papa Francesco ci ha chiesto di discutere di questi temi durante il prossimo Sinodo, in ottobre. Dobbiamo farlo togliendoci le fette di prosciutto dagli occhi. Dobbiamo uscire dal pantano in cui ci troviamo e tornare a immergerci nella società».
Lei quando ha incontrato la fede?
«Prestissimo, attraverso le preghiere che mi ha insegnato mia madre. A dieci anni poi sono entrato in seminario».
Che studi ha fatto?
«Il liceo Azuni, a Sassari, lo stesso di Enrico Berlinguer e di Francesco Cossiga. Poi Teologia a Cagliari».
Era adolescente negli anni Settanta.
«In quel decennio le presenze nel seminario che frequentavo crollarono da cinquanta a otto. Il vescovo che mi ha ordinato sacerdote nel 1985, mi chiese: «Come sei passato indenne attraverso gli anni Settanta?».
Già, come?
«Sono stato fortunato. Ho trovato amici e professori che hanno assecondato le mie scelte».
Lei è stato per molti anni parroco della Cattedrale di Sassari. Avrebbe concesso un funerale come quello dei Casamonica?
«Probabilmente no, perché avevo l’abitudine di informarmi bene su chi e come voleva celebrare una funzione nella mia parrocchia. Ma non vorrei che a pagare per quell’episodio ora fosse solo il parroco. Davvero avevamo bisogno dell’elicottero dei Casamonica per capire quanto è vulnerabile Roma?».
Sicurezza e legalità.
«A me non piace soprattutto quando queste categorie vengono sbandierate per alzare muri e allontanare chi ha bisogno di aiuto. Vorrei che chi fa allarmismo si occupasse anche della sicurezza dei cittadini che vivono nelle regioni devastate dalle mafie e della legalità dei tanti evasori».
A cena col nemico?
«Ceno davvero con chiunque».
Incrocerebbe la forchetta anche con Matteo Salvini?
«Incontrare e confrontarsi porta sempre qualcosa di buono».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Ne faccio tanti tutti i giorni. La fesseria più grande credo che sia non utilizzare bene il tempo».
Lei non è su Twitter.
«Appunto. E nemmeno su Facebook. Trascorro già abbastanza ore a rispondere alle email. Però ho un gruppo di WhatsApp con i vecchi compagni di scuola».
Sa che cosa dice l’articolo 7 della Costituzione?
«Mi fa l’interrogazione? È quello sulla Chiesa?».
Sì. Sa quanto costa un litro di benzina?
«La diesel sta a un euro e quaranta circa».
I confini di Israele?
«Egitto, Giordania, Siria…».
Che cosa guarda in tv?
«Quando sono a Roma nulla. Dato che mi sveglio spesso approfitto delle ore notturne per pregare».
Il film preferito?
«È tanto che non ne vedo uno. Diciamo La vita è bella di Roberto Benigni».
Il libro?
«Leggo molti saggi per la mia formazione. Tra i romanzi Nurkaron di Tito Sechi: ci sono tutti i sapori, gli odori e i suoni della Sardegna».
Orgoglio sardo.
«È difficile che un sardo non parli della Sardegna».

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