Raffaele Cantone – 3 (Sette – aprile 2015)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 17 aprile 2015).
C’è chi lo ha paragonato al Gigante del Carosello in tivvù, quello invocato dagli abitanti di un villaggio per contrastare le malefatte del perfido Jo Condor: «Gigante, pensaci tuuuu». Marianna Rizzini, sul Foglio, lo ha definito «la divinità antropomorfa cui affidare le sorti del Paese dell’Expo, del Giubileo e delle presunte mille piccole nuove Tangentopoli». Ogni volta che si libera un incarico che abbia anche solo lontanamente a che fare con la lotta al malaffare, spunta il suo nome: Raffaele Cantone. Lui ha 51 anni, vive tra Roma e la sgarrupatissima Giugliano (Napoli, Italia), ha un passato nella guerra contro i Casalesi e da dodici mesi guida l’Anac, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione.
In perfetto stile “Repubblica del selfie” (copyright by Marco Damilano) Cantone ha scoperto di aver ricevuto l’ incarico guardando la televisione. Glielo ha comunicato Matteo Renzi per interposto Fabio Fazio. Lo racconta lo stesso Cantone nel volume che ha appena scritto con il giornalista de L’Espresso Gianluca Di Feo (Il male italiano, Rizzoli): «Era una domenica di marzo…Gli mandai un sms: “Scusa, ma di che cosa si tratta?”». Nel libro, parlando delle aspettative nazionali riguardo al suo incarico, Cantone dice anche: «L’Autorità che guido non può arrestare né intercettare: non può bloccare le tangenti». Come dire: «Non sono Superman». Poi chiarisce: «Non bisogna nemmeno incorrere nell’errore opposto. E cioè pensare che l’Autorità non serva a nulla».
L’intervista si svolge nella sede romana dell’Anac: un palazzetto di proprietà di Unicredit, che ha ospitato per anni l’ex boss della Banca di Roma, Cesare Geronzi. Mentre parliamo arriva la notizia della sparatoria nel Tribunale di Milano. Cantone: «Un gesto folle, commesso nel tempio laico della Giustizia, presidio della lotta alla corruzione».
Lui per lottare contro la corruzione ha a disposizione uno squadrone di 330 persone. Scandisce i compiti dell’Autorità: controllo dei lavori pubblici, vigilanza sulla trasparenza e sulla corruzione. Proprio a Milano, però, Cantone guida anche l’unità operativa speciale per l’Expo, con poteri di commissariamento degli appalti sospetti.
Mancano due settimane all’inaugurazione dell’Expo. Quanti sono gli appalti che avete commissariato?
«Due. Grossi. Quello di Architetture di Servizio e quello di Vie d’Acqua».
Li avete proprio bloccati?
«No, anzi. I lavori vanno avanti. Ognuno è gestito da un commissario ad hoc. Il Giorno ha scritto che sono i due appalti che procedono più spediti».
L’Anac ha avuto da ridire anche sull’appalto diretto per la gestione di ottomila metri quadri e di venti ristoranti assegnato a Oscar Farinetti e alla sua Eataly.
« In quel caso si tratta di un’irregolarità. Ma non ci sono profili di illegittimità. Expo ha avuto un forte potere di deroga sul codice dei contratti».
Le deroghe usate come acceleratori.
«Quando nel maggio 2014 è scoppiato lo scandalo delle Tangenti Expo, di costruito c’era davvero poco o nulla. E si è rischiato seriamente che saltasse tutto».
Si disse: «Dobbiamo andare avanti per evitare all’Italia una figura pessima a livello internazionale».
«Qualcuno temeva che il nostro tutoraggio “anti-corruzione” avrebbe rallentato i lavori. È successo il contrario. Detto ciò, ora bisogna abbandonare il sistema delle deroghe che ha caratterizzato tutti i lavori pubblici degli ultimi venti anni. Il nuovo Codice degli appalti mi sembra che vada nella giusta direzione. L’importante è lasciare la strada del “fare” a tutti i costi”».
In che senso, scusi?
«“Il “fare” è stato il faro della politica e dell’imprenditoria dalla fine degli anni Novanta in poi. Fare, fare, fare. Indipendentemente dal “come” fare. Si fosse almeno raggiunto qualche risultato! A 14 anni dalla Legge Obiettivo sulle grandi opere, ne è stato realizzato solo l’8%. Qualcuno arrivò a dire che pur di “fare” si doveva trovare il modo di convivere con la mafia».
Fu Pietro Lunardi, ministro delle Infrastrutture berlusconiano nel 2001. Precisò che si era trattato di una battuta infelice.
«Figlia dei tempi. Quando venne cambiata la legge sul falso in bilancio non si trattò di una semplice scelta proposta da singoli politici: c’era un’intera classe dirigente imprenditoriale che premeva in quella direzione».
La filosofia del fare era la reazione all’Italia dei mille lacci e lacciuoli burocratici.
«La corruzione sguazza nell’assenza di regole e nell’eccesso di leggi. Bisogna avere poche regole certe e procedure semplificate».
Si è stupito del fatto che nell’inchiesta sulle tangenti Expo siano spuntati i nomi dell’ex Dc Gianstefano Frigerio e dell’ex Pci Primo Greganti, già colpiti da Mani Pulite?
«Tutti e due si muovevano alla luce del giorno. Fa parte di una sottovalutazione culturale molto italiana dell’importanza della legalità. Frigerio è stato eletto in Forza Italia nel 2001, pur essendo stato condannato per corruzione e concussione. All’epoca non c’è stata alcuna sollevazione popolare».
Non c’è stata nemmeno tra i campani che hanno votato Vincenzo De Luca alle primarie per le Regionali.
«È un segnale anche quello. Ma De Luca è stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio. Frigerio ha una condanna definitiva per corruzione durante Tangentopoli».
Tangentopoli oggi è in tv con la fiction “1992!”.
«Mi piace molto. Lo spaccato socio-culturale mi sembra molto fedele».
Ne Il male italiano lei dice che il rapporto tra politica e tangenti è cambiato rispetto a quel periodo.
«Chi vuole corrompere ha capito che ormai è inutile rivolgersi ai partiti: sono gusci vuoti. Dalle carte di Mafia Capitale emerge una situazione drammatica: le bande d’affari criminali si rivolgono direttamente ai singoli politici, li coltivano e così si garantiscono la loro fedeltà».
Lei è favorevole a un ritorno al finanziamento pubblico dei partiti?
«Sì. Si è passati da finanziamenti pubblici mastodontici e incontrollati a una specie di deregulation dei finanziamenti privati. Perché non è possibile sapere come vengono spesi i soldi delle Fondazioni che fanno capo ai politici? Mi pare una follia. Servono regole».
Regole. Qual è l’articolo 1 della Costituzione?
«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Di questi tempi si sente sempre più spesso dire che il lavoro non è un diritto.
«Non credo che il posto di lavoro possa essere un diritto. Ma tutti devono avere l’opportunità di trovarne uno».
Il premier sta accelerando per cambiare la Costituzione e si grida alla deriva autoritaria. Anche alcuni suoi colleghi magistrati sostengono che si stiano dando troppi poteri a un futuro capo del governo.
«Il sistema attuale, con le leggi che rimbalzano dieci volte da una Camera all’altra, funziona? No. E allora una riflessione era dovuta. La riforma comunque sarà sottoposta al voto degli italiani».
A cena con Massimo Carminati o con Salvatore Buzzi?
«Con nessuno dei due».
Molti politici hanno cenato con Buzzi.
«Con tutto il rispetto… Vista la condanna per omicidio… Meglio astenersi».
Con Maurizio Lupi o con Vincenzo De Luca?
«Con Lupi fino a quando era ministro ho collaborato in modo corretto. Facciamo così: arriva l’estate e ho problemi di forma, meglio saltare i pasti, eheh».
L’ex ministro socialista Claudio Signorile ha detto che quelli come Ercole Incalza (il capo della Struttura di Missione del ministero guidato da Lupi, ora agli arresti), fanno funzionare bene le Infrastrutture.
«È una sua opinione. Io credo che al di là delle responsabilità penali che andranno accertate, in questo caso c’è un proprio un problema di scelta politica».
E cioè?
«È giusto che alcuni posti chiave vengano gestiti dalla stessa persona per così tanti anni?».
Incalza ha guidato la Struttura di missione delle Infrastrutture sotto vari ministri.
«Persone così diventano indispensabili. E di conseguenza anche un po’ pericolose, nel senso che senza di loro non si può andare avanti. Io sono d’accordo con la rotazione degli incarichi dirigenziali. Lo sono stato anche nel caso dei vigili urbani a Roma».
I vigili per protesta hanno scioperato.
«La rotazione c’è anche in magistratura e funziona. Quando è stata introdotta si disse che spostando alcuni procuratori sarebbe finita l’Antimafia. E invece… Spesso i nuovi arrivati portano una ventata di energia».
Rotazioni. Il Csm ha appena impedito a Nino Di Matteo di accedere alla Procura Nazionale Antimafia.
«Non è una novità».
A lei è stato impedito di tornare alla Procura di Napoli.
«E Giovanni Falcone non divenne Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo per volontà del Csm. Facendo le debite differenze… Non mi stupisco di nulla».

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