Enrico Zanetti (Sette – gennaio 2015)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera, il 16 gennaio 2015).
Quando gli chiedo come mai un commercialista neopolitico in grisaglia, indossi dei vistosi occhiali sgargianti con una montatura rossa, sorride e spiega: «È un piccolo vezzo. La dimostrazione che tutto sommato sono vivo e vitale. E che il mio stile elegante è una scelta e non la spia di un’incapacità relazionale». Enrico Zanetti, 41 anni, venessiàn, è il sottosegretario civico all’Economia, che per primo ha denunciato “l’affaire 3%”: la gabola della delega fiscale che avrebbe salvato molti frodatori, tra cui Berlusconi, e che è stata interpretata dai commentatori più maliziosi come un modo del premier Renzi per entrare a manina tesa nel match per la conquista del Colle. Zanetti, che per molti anni ha diretto il centro studi del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, è netto: «Quella depenalizzazione della frode documentale è una follia».
Tra qualche giorno lui cercherà di scalare la segreteria di Scelta Civica, il partito che fu di Mario Monti e che è uscito con percentuali lillipuziane dalle urne europee. Parla come se avesse già sul petto le stellette del vincitore: «Il congresso sarà un passaggio fondamentale per poi poter interloquire con tutta la galassia liberal-democratica».
Lo incontro in via XX Settembre, nella sua stanza al Mef, all’ombra di un grande Tricolore. Ha una lieve cadenza veneta e un Dna politico piuttosto padano: «A inizio anni Novanta ho avuto la tessera della Lega. Era un partito di rottura. Poi sono stato attratto dal Cavaliere e mi sono iscritto a Forza Italia, per afflato liberale e anticomunista. Ma già nel 1996 avevo capito che nel partito non c’era democrazia. Quindi ho lasciato».
A un certo punto, mentre parliamo dei suoi libri preferiti, Zanetti tira fuori una passione adolescenziale per J.R.R. Tolkien, l’autore de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli. Racconta: «Ora sono un po’ arrugginito, ma da ragazzo avrei potuto partecipare a un quiz di Mike Bongiorno senza sbagliare una risposta su elfi e draghi. Frequentavo pure i raduni dei fan. Mi è capitato di andarci travestito da Gimli, il nano guerriero». Gli propongo un gioco: abbinare il nome di un politico a quello di un personaggio della saga tolkieniana. Prima mi dice che è troppo difficile perché la politica è il luogo delle mediazioni, mentre i personaggi di Tolkien hanno caratteri netti. Poi cede e infila due similitudini politicamente rivelatrici: «Berlusconi è Vermilinguo, uno dei personaggi più negativi de Il Signore degli Anelli. Renzi potrebbe essere Aragorn». L’avventuriero che diventa re e salvatore? «Sì, ma come tutti rischia di innamorarsi troppo del potere e di trasformarsi in Saruman, stregone del male!».
Andrea Romano, ex capogruppo di Scelta Civica alla Camera, è passato con Renzi. Evidentemente questo rischio non lo vede.
«Romano non ha preclusioni rispetto alla tradizione socialista».
Lei, sì?
«Sì. Credo che Renzi stia facendo un ottimo lavoro sul suo partito e che stia portando avanti anche molte scelte coraggiose, ma io ho un’altra matrice culturale. E poi è anche per colpa del Pd se non si va spediti su certe riforme».
Un esempio?
«Ho trovato una certa disattenzione sul taglio delle partecipate pubbliche: vanno ridotte, anche perché sono spesso il luogo dove si annidano inefficienza, opacità e corruzione».
Le piace il Jobs Act?
«Il premier ha fatto uno sforzo da riformista, ma anche lì… Scelta Civica è più netta del Pd sulla licenziabilità dei dipendenti pubblici».
Depenalizzazione della frode documentale a parte, lei difende l’impianto della delega fiscale approvata il 24 dicembre e che tornerà in Consiglio dei ministri il 20 febbraio. L’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, invece, l’ha stroncata.
«Ho trovato molto demagogiche le sue critiche e quelle di Stefano Fassina».
Visco in pratica sostiene che ci sia una sorta di “liberi tutti” sulle fatture false sotto i mille euro.
«Vengono depenalizzate. Ma le sanzioni amministrative restano molto pesanti. Per questo dico che è demagogico. E poi senta, negli ultimi venti anni le politiche fiscali hanno avuto due padri: Visco e Tremonti. I risultati sono noti. Ora basta! Possiamo smettere di ascoltare i loro consigli. O quelli di Berlusconi che oggi propone la flat tax. Ma non è lui che ha governato l’Italia per nove anni?».
Critica la sinistra democratica… non le piace più Berlusconi…
«Mi trovo più a mio agio a discutere con chi frequenta oggi il Pd che con gran parte del sedicente centrodestra, nelle cui file la qualità media è pessima».
Lei ha qualche critico anche all’interno del suo partito. Linda Lanzillotta, Pietro Ichino, Irene Tinagli, Benedetto Della Vedova e altri hanno scritto una lettera per fermare il congresso del 31 gennaio che la dovrebbe incoronare segretario.
«Invece lo faremo e sarà un bel congresso».
Il nome di Lanzillotta circola per la candidatura al Colle. Lei la voterebbe?
«Non ho preclusioni».
La voterebbe?
«Il congresso serve anche per capire come orientare i voti del partito e dei nostri parlamentari sul Quirinale. Per smettere di essere un club di competenze e individualità che si muovono in ordine sparso».
Lei come è entrato nel club?
«Dentro Scelta Civica? Passando per Italia Futura».
Il think tank montezemoliano.
«Montezemolo s’è interessato a me mentre ero al centro studi dell’Ordine dei Commercialisti. Mi chiamarono Nicola Rossi e Andrea Romano. Poi nel 2013 i circoli veneti mi scelsero come possibile candidato alla Camera con i montiani».
Uno dei ministri montiani, Corrado Passera, sta per dar vita a un nuovo partito, Italia Unica, che vi farà concorrenza. Passera è molto critico col governo di cui lei fa parte.
«Quelle di Passera mi sembrano critiche di stampo salviniano, fatte per esigenza di visibilità. Se fosse un manager che non ha mai fatto politica e spara sul Palazzo, gli darei la scusante della buona fede. Ma Passera è stato ministro… I suoi attacchi mi infastidiscono abbastanza».
Lei è coetaneo di Renzi. Anche lei ha avuto un’adolescenza scout e una passione per i telefilm?
«No. Da ragazzo, pur venendo da una famiglia di rugbisti, giocavo a calcio e a Dungeons & Dragons».
La sua infanzia?
«Felice. Mio padre era radiologo e mia madre insegnante. Sono nato e cresciuto al Lido di Venezia. Lì vivono mia moglie Barbara e i miei gemelli dodicenni, Mario e Giovanni».
È vero che lei aspira a fare il sindaco della Serenissima?
«Guidare una città come Venezia sarebbe interessante. Ma ora penso di essere nel posto giusto. Vorrei restarci, ma con un peso politico maggiore: adeguato a imporre una determinata linea».
Lei è passato dal mondo delle partite Iva ai corridoi ministeriali. Come è stato l’impatto?
«Duro. Ma ho avuto la fortuna di scegliere un capo della segreteria molto in gamba, la dottoressa Algina Ferrara. Conosce perfettamente la macchina del dicastero e ha una gran voglia di fare».
Andrebbe più volentieri a cena con il lib-lib-lib Michele Boldrin, o con il democratico Cesare Damiano?
«Con Boldrin, anche se è un personaggio tosto. Non ricordo una sola dichiarazione di Cesare Damiano con cui mi sono trovato d’accordo».
Con Oscar Giannino o con Stefano Fassina?
«Stimo Fassina, ma andrei con Giannino».
Lei ha un clan di amici?
«Quelli con cui sono cresciuto al Lido di Venezia».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Ne ho fatti tanti, piccoli e non memorabili».
Che cosa guarda in tivv?
«Soprattutto il calcio. Sono blandamente juventino. E sono abbonato al Venezia da venti anni».
La canzone preferita?
«Il cantante di cui ho più cd è Ligabue. Ma ora la canzone che ascolto più spesso è Molto calmo di Neffa».
Il film?
«Forrest Gump».
È vero che lei, come il protagonista, corre molto?
«Sì, non potendo più giocare a calcio a causa di un paio di legamenti rotti, corro. Vado dritto».
Conosce i confini del Mali?
«Algeria, Niger, Mauritania…».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Ogni tanto faccio la spesa, ma non saprei…».
Circa un euro. Che cosa dice l’articolo 41 della Costituzione?
«Sono ferratissimo sull’articolo 53, quello sul sistema tributario, ma il 41 non lo ricordo».
È quello che dice che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale.
«Lo condivido. Anche se non va inteso troppo in termini dirigisti e forse potrebbe essere sfumato per dare un segnale di maggiore centralità della libertà di intrapresa economica».
Da veneto, lei è anche un po’ indipendentista?
«No. E mi sento più veneziano che veneto. Le Regioni, per come sono oggi, andrebbero abolite e sostituite».
Sostituite con che cosa?
«Con dieci-dodici macro Regioni. Nessuna a statuto speciale».
Vorrebbe che fosse inserita questa modifica nel Patto del Nazareno nato per modificare la Costituzione?
«Guardi, noi il Patto del Nazareno non solo non lo amiamo, ma lo subiamo. C’è sin troppa attenzione e interlocuzione nei confronti di chi, come Berlusconi, furbescamente vuole influenzare Renzi, senza pagare le conseguenze in termini di consenso dell’azione di governo».

Vittorio Zincone

Categorie : interviste
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