Enrico Ianniello (Sette – gennaio 2015)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera, il 9 gennaio 2015).
Enrico Ianniello, 44 anni, è casertano e, vivendo a Barcellona, un po’ catalano. È allo stesso tempo attore e scrittore. È appena tornato in tivvù nelle vesti del commissario Vincenzo Nappi al fianco di Terence Hill nella fiction dolomitica Un passo dal cielo 3, e ha dato alle stampe il suo primo romanzo: La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin (Feltrinelli). Sussurra: «La copertina gialla ha già vinto la medaglia d’oro della New York Society of Illustrators. Ma non so se si può dire».
Il libro: storia immaginifica di un bambino che voleva cambiare il mondo “urlafischiando” e che all’improvviso non riesce più a parlare. Ancora: è anche la storia di una famiglia bislacca immersa nella pasta fresca e di uno scombiccherato lessico familiare. E di un padre sindacalista che coltiva il talento del figlio curando le parole e i valori di un tempo: le regole, la giustizia… Si respira pure profumo di Sandro Pertini e di Enrico Berlinguer. Ianniello: «Non voglio raccontare un’Arcadia, un mondo che non c’è più. Mi interessa ritrovare il linguaggio dell’innocenza che oggi sembra perduto e un codice di valori che dovrebbe essere ancora vivo». Chiedo: c’è qualcosa di autobiografico nel libro? Risponde: «Quando ero bambino a Caserta passavo spesso davanti a un salumiere che aveva un merlo. Anche io, come Isidoro, ne imitavo il verso con la voce. Urlafischiavo».
L’attore/scrittore, che poi è anche traduttore e regista, parla con lieve cadenza campana. Lo incontro in una galleria d’arte di Roma centro.
Quando trovi il tempo di scrivere?
«Scrivo quando posso, ma per mettermi sul testo tre ore ne perdo almeno sei facendo ricerche o leggiucchiando gli appunti».
Le letture giovanili che ti hanno formato?
«Fedor Dostoevskij su tutti. Un grande Scorpione, come me, ahahah».
Il libro che avresti voluto scrivere?
«Morte a credito di Louis-Ferdinand Céline. Mi piace la febbrilità della sua narrazione. Il libro che vorrei tradurre, invece, è Vida Privada di Josep di Maria de Sagarra, del 1932».
Hai già tradotto due drammaturghi catalani, Pau Miró e Jordi Galcerán.
«Miró lo porto in scena a Roma in primavera».
Hai attori o registi in famiglia?
«No. I miei avevano un bar a Caserta. Quando si ammalarono per un po’ mi misi io dietro il bancone, ma ero un disastro».
La prima volta che hai recitato?
«A quindici anni. Una farsa di Eduardo Scarpetta: Li nepute de lu sinneco. Ero in seminario».
Volevi farti prete?
«Era il mio modo per affermare la mia identità. Poi ci ho ripensato».
Quando?
«Nel 1986. Ero a Roma per la prima Giornata Mondiale della Gioventù. Eravamo stati chiamati per servire messa a Giovanni Paolo II. Ci lasciarono liberi un pomeriggio e io andai in giro per la Capitale. Capii che nella vita avrei voluto viaggiare. Il giorno dopo passai molto tempo con Papa Wojtyla, cosparsi d’incenso le sue vesti e fui al suo fianco durante la messa. Mia madre mi vide pure in tv».
Hai perso la fede nel giorno in cui hai conosciuto il Papa?
«Forse non avevo mai avuto la fede. Forse mi piaceva solo il rito, che comunque ha a che fare con la recitazione. Tornato a Caserta mi dedicai al teatro».
Sei stato alla Bottega teatrale di Firenze, fondata da Vittorio Gassman.
«Alla fine del corso Gassman mi scrisse una dedica: «Fuori dall’ombra!!!». Con tre punti esclamativi. Su quella frase ci sto ancora lavorando: l’ombra in cui mi ritiro per scrivere, l’ombra da cui esco per recitare… Dopo la scuola fondai una piccola compagnia a Caserta, insieme con Tony Laudadio. Ci capitava di provare le battute appoggiati al flipper del bar».
Il casertano, zona dei Casalesi. Gomorra…
«Per un certo periodo ho diretto un piccolo teatro a Santa Maria Capua Vetere. Quando uscì Gomorra invitai Saviano per parlarne in pubblico. Quella sera Roberto arrivò in motorino e se ne andò con una scorta prestata da un’imprenditrice. Al dibattito erano intervenuti, restando nell’ombra, anche alcuni camorristi».
Gomorra, Romanzo Criminale… Ci sono state molte polemiche sul rischio emulazione di personaggi “cattivi” troppo affascinanti.
«C’è un po’ di ipocrisia in queste polemiche. Finché ci sono la Camorra e la criminalità è sempre bene parlarne».
Anche se si rischia di esaltare il fascino del male?
«Ma perché Raskol’nikov, protagonista del Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij, non è affascinante? Nella mia Caserta comunque c’erano anche molti esempi positivi: Francesco Piccolo, Toni Servillo… Con Servillo ho fatto teatro per tredici anni».
Dopo Servillo sei passato a duettare con Terence Hill.
«Terence ha costruito con molta consapevolezza una grande figura popolare».
Da attore di teatro, sei mai stato snob nei confronti della fiction italiana?
«Certo. Poi ho capito che l’“Aventino attoriale” contro le fiction era sbagliato».
Lo dici perché ora ci campi?
«L’aspetto economico non è secondario. Ma lo dico perché la fiction è un luogo della recitazione. E deve esserlo sempre di più».
Gli attori italiani di fiction spesso si lamentano: poche prove, sceneggiature un po’ tirate via…
«Non è un pranzo prelibato. È un pasto popolare. Ma la fiction italiana dovrebbe essere più il luogo degli attori che delle soubrette. È proprio l’attore bravo a poter rinunciare a qualche prova e a poter pensare di intervenire sulle sceneggiature».
Tu, da attore, riesci a intervenire sulle sceneggiature?
«Con un po’ di fatica».
Hai messo bocca nella costruzione del personaggio Vincenzo Nappi, il commissario che interpreti in Un passo dal cielo?
«Ho cercato di raccontare un poliziotto napoletano meno folkloristico di quanto non fosse previsto: comico, certo, ma ligio al dovere, concentrato sul lavoro e che desse l’idea del potere come servizio e non come sopruso».
Chi è il tuo regista dei sogni?
«Uno era Nanni Moretti e con lui ho fatto Habemus Papam. L’altro è Matteo Garrone».
Perché Garrone?
«Per l’acume e la capacità di despettacolarizzare. Arriva al cuore dell’espressione senza fronzoli. Vorrei lavorare con lui sul luogo comune per cui per fare certe cose è meglio prendere dei non attori».
Non ti piace il mito neorealista del bravo non-attore?
«Su questo argomento sparo una delle mie massime».
Vai.
«La persona sta al personaggio come il paese sta al paesaggio. Nel paese ci sono dettagli e sfumature che nel paesaggio non si riescono a cogliere. Solo un bravo attore riesce a dare a un personaggio talmente tante sfumature da farlo sembrare una persona».
Attori. Tu una volta hai detto che solo la tecnica può esaltare il talento.
«Altra massima iannielliana: il talento è l’acqua della fonte, se non la si imbottiglia nella tecnica, si perde tra i rivoli della montagna».
Il nome di un grande talento ben imbottigliato?
«Totò o Eduardo De Filippo. Tra i vivi… Dustin Hoffman».
Un’attrice con cui vorresti duettare?
«Isabelle Huppert, meravigliosa in Amour».
In Un passo dal cielo duetti con Gaia Bermani Amaral, ma ti sei fidanzato con Gabriella, la sua controfigura.
«Ahah, è vero. Ora Gabriella fa un lavoro stupendo: addestra i cani che lavorano con i disabili».
Hai una compagna in Italia, ma vivi in Catalogna.
«A Barcellona c’è mio figlio Carlo, ha dieci anni».
Che lingua parlate tra di voi?
«Quando vuole entrare in comunicazione intima con me, improvvisa una specie di napoletano con dentro parole castigliane e catalane. Ha visto Un passo dal cielo in spagnolo, sostiene che il mio doppiatore sia un messicano con la bronchite».
A cena col nemico?
«Con Ignazio La Russa».
E perché?
«Vorrei capire che cosa si agita dietro a un occhio così feroce».
Hai un clan di amici?
«Andrea Renzi, Angelo Curti, Tony Laudadio… Il gruppo di Teatri Uniti».
Che cosa guardi in tv?
«Non la guardo. Non ce l’ho proprio».
Il film preferito?
«Solaris di Steven Soderbergh. Fa pensare alla necessità di far vivere quel che non vive più. E poi Truman show con quel finale che ricorda lo squarcio sul fondale di Luigi Pirandello: il massimamente falso che diventa massimamente vero».
La canzone?
«Stairway to heaven dei Led Zeppelin, ma anche qualche pezzo di Sergio Bruni».
Il libro?
«Il terzo Reich di Roberto Bolaño».
Sai quanto costa un pacco di pasta?
«Circa un euro. Faccio la spesa».
Conosci i confini della Libia?
«Marocco…».
No, il Marocco no.
«Tunisia, Algeria, Egitto…».
Che cosa recita l’articolo 21 della Costituzione?
«Non lo so».
È quello sulla libertà d’espressione. Sai che cosa sono i pre-diciottesimi?
«Sì, sono i video patinati girati da alcune ragazze per i loro diciotto anni. Ma che figura! So il pre-diciottesimo e non la Costituzione».

Vittorio Zincone

Categorie : interviste
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