Giulio Tremonti (Sette – maggio 2014)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera, il 2 maggio 2014)
Quando gli cito l’imitazione che fece di lui Corrado Guzzanti, tutta finanza creativa e cetrioli globali, resta impassibile, mi fa capire che non ama il giornalismo antropomorfo, quello che si occupa di persone più che di temi, e glissa. Giulio Tremonti, classe 1947, è parlamentare dal 1994 e professore universitario dal 1974, è stato due volte ministro dell’Economia nei governi Berlusconi e scrive saggi.
Sostiene che per placare la furia moltiplicatrice della finanza globale si dovrebbe tornare alla distinzione tra banche di credito e banche finanziarie. Dice che «un’Europa con il 5% della popolazione mondiale, con il 25% della produzione globale e con il 50% dei costi planetari in welfare, dovrebbe al più presto chiudere il nuovo patto atlantico commerciale (TTIP)». Chiedo: si tratta di un’alleanza per arginare il potere economico della Cina? Spiega: «No. Si tratta di darsi un futuro. Sono uno dei pochi che ha avuto la possibilità di tenere una lezione nella sede del Partito Comunista Cinese. Lì abbiamo discusso anche di assetti futuri. Del tavolo che per restare in piedi ha bisogno di almeno tre gambe: gli Stati Uniti, la Cina e l’Europa. Il trialogue, il dialogo con tre interlocutori».
Quel che teme Tremonti, invece, è un asse tedesco-russo: «Un’Europa caratterizzata da crescenti conflitti prodotti dal dominio tedesco potrebbe vedere la Germania espandersi e trovare alleanze a Est. È l’antica maledizione che vedrebbe unirsi le cosiddette potenze di terra». Vedendomi perplesso, Tremonti sorride: «Non mi prenda per mitomane e non mi faccia passare per visionario, eh».
Nel suo ultimo libro, Bugie e verità. Le ragioni dei popoli (Mondadori) lei parla di una Repubblica internazionale del denaro. Che cosa sarebbe?
«Sono i cento trilioni di dollari in circolazione».
I cento…
«Trilioni. Una cifra calcolata dalla Banca dei regolamenti internazionali. Non è un numero, è una follia».
E chi controlla questa cifra? La commissione Trilateral? Qualche organizzazione occulta?
«No, no. Quello è folklore. Io parlo di mega banche globali, grandi hedge fund, dello shadow banking. Un blocco di potere sconfinato che determina gli equilibri tra gli Stati».
Si sente profumo di Spectre.
«È un errore sia pensare che si tratti di un gruppo di caimani sia sperare che si tratti solo di un gruppo di illuminati. Ma è un errore anche non rendersi conto che si è perso il rapporto tra Stato, territorio e ricchezza e che ormai questa massa di denaro non ha più relazione con i beni di Dio, il grano, il petrolio, l’oro… Sono numeri computerizzati. La Repubblica internazionale del denaro è l’avanguardia di altre repubbliche nascenti».
Quali?
«Quelle digitali… Google, Amazon… Moneta digitale, autostrade digitali, nuove agorà sociali. Non saranno più gli Stati a imporre le loro leggi nazionali, ma le repubbliche digitali a imporre le loro leggi agli Stati. Studio queste trasformazioni da più di vent’anni e ho cercato di raccontarlo in tutti i miei libri, partendo dalla constatazione che le nazioni non hanno più ricchezza e le ricchezze non hanno più nazione. Un processo cominciato alla fine degli anni Ottanta. Lo scrissi proprio sul Corriere».
Quando?
«Nel luglio 1989: si celebrava il bicentenario della Rivoluzione francese, origine degli Stati nazione moderni. Annunciai una rivoluzione opposta che avrebbe via via decostruito gli Stati nazione: se la ricchezza vola sopra i territori, chi la controlla? Come e dove si pagano le tasse? Poi negli Anni Novanta sono intervenuti gli accordi commerciali globalizzanti, le leggi clintoniane che permettevano alle banche di credito di giocare con la finanza, l’esplosione informatica… E nel frattempo si è formato un blocco di potere culturale, economico e politico di stampo mercatista: la finanza sopra l’economia, l’economia sopra la politica. Negli ultimi venti anni è cambiato il mondo».
Negli ultimi venti anni lei è stato due volte ministro dell’Economia.
«Nel G20 ero 1 contro 19. Puoi fare delle proposte, ma non ti puoi imporre. Anche Obama ha ammesso di aver potuto fare poco. Figuriamoci che cosa potevo fare io».
Governare meglio? Nel 2011 il governo Berlusconi, di cui lei faceva parte, ha portato il Paese sull’orlo del collasso: spread alle stelle, conti fuori controllo…
«I conti dell’Italia sono sempre stati in regola. E io ho governato l’Economia italiana tra il 2008 e il 2011 con lo spread a quota 130. Ho una vasta raccolta di atti e dichiarazioni ufficiali, dalla Merkel in giù, che attestava l’apprezzamento per la politica del Tesoro italiano».
Nell’autunno del 2011 lo spread arrivò a quota 574. Si cominciò a parlare di credit crunch e del rischio che l’Italia non riuscisse più a pagare le pensioni…
«Un Paese come l’Italia può collassare in modo naturale nel giro di un mese? La storia è andata diversamente».
Come?
«C’è un passaggio chiave. Durante la crisi del 2010 in Europa ci si trova di fronte a un bivio. Io e Jean-Claude Juncker, allora presidente dell’Eurogruppo, eravamo favorevoli a un fondo salva-Stati e agli Eurobond. Francia e Germania spingevano per un fondo salva-banche, anche perché i loro istituti di credito, a differenza dei nostri, erano disastrosamente esposti su Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. È noto che se fallisce il debitore fallisce anche il creditore. Passò la linea franco-tedesca».
Questo che cosa c’entra con lo spread alle stelle?
«C’entra. Ci venne chiesto di partecipare al fondo salva-banche con il 18% del totale. E cioè l’equivalente della nostra percentuale di Pil europeo. Sarei stato d’accordo se si fosse trattato del fondo salva-Stati, ma visto che le banche italiane erano esposte al massimo per il 5%, ci opponemmo. A parti invertite Germania e Francia avrebbero fatto lo stesso. A quel punto Jean-Claude Trichet, presidente della Bce, annunciò che la Banca europea non avrebbe più acquistato i titoli italiani, lo spread cominciò a volare e il governo Berlusconi si dovette dimettere».
È una versione dei fatti un po’ auto-assolutoria.
«È credibile e i conti tornano. I miliardi stanziati per salvare la Grecia sono andati ai greci o alle banche creditrici?».
Si dimentica di dire che nell’autunno del 2011 il governo già traballava da un anno, che Berlusconi era nel pieno degli scandali bungabungheschi, che lei e il premier eravate in disaccordo su tutto e che durante l’estate lei varò una finanziaria che scaricava sui futuri governi il peso del pareggio di Bilancio.
«Quella finanziaria aveva l’approvazione dell’Ue ancora in luglio. La verità è che all’Europa di Merkel e Sarkozy serviva un premier che firmasse il fondo salva-banche. È arrivato Mario Monti e ha firmato. E con lui sono arrivati due anni di governo pessimo e di manovre recessive: sono aumentati il debito e la disoccupazione. Monti ha messo pure la firma sul Fiscal Compact: il patto che ci impone un rientro onerosissimo del debito a tappe forzate».
Monti sostiene che il Fiscal Compact lo avevate trattato voi col governo Berlusconi.
«Noi avevamo trattato altre condizioni. La ratifica del Fiscal Compact è del marzo 2012. Come è noto in Europa fino a quando non si firma non c’è nulla di stabilito. Nel 2011 si sarebbe dovuti andare al voto. Probabilmente avrebbe vinto il centrosinistra. Ma almeno non ci sarebbe stato un disastroso governo tecnico e sarebbe stato eletto un Presidente del Consiglio con chiare responsabilità politiche».
Il premier Renzi dovrebbe cercare di ricontrattare il Fiscal Compact?
«Renzi dovrebbe cominciare a dire qualche no. In Europa hai un peso solo se dici no».
Il governo Renzi…
«Grande impatto mediatico. Purtroppo mi sembra che Renzi non sia ancora in grado di valutare la complessità dei fenomeni che deve governare».
I tagli. Le auto blu…
«Quella è roba simbolica. È il resto che manca. Tagliare è difficile e da tagliare non c’è comunque molto».
Urge una super patrimoniale?
«No. Ci sono già le tasse sulla casa e sul risparmio. Un’ulteriore patrimoniale bloccherebbe l’economia».
Ha qualche consiglio da dare a Renzi per fare cassa e bloccare la galoppata degli interessi sul debito?
«Si potrebbero introdurre dei titoli ad hoc, a lunga scadenza. Tornando all’antica formula: esenti da ogni imposta presente e futura. In Europa sono considerati una turbativa del mercato. Ma ora ci si potrebbe impuntare. Certo, servirebbe un governo di cui fidarsi».
Sandro Bondi si fida. Ha detto che Renzi sta a Berlusconi come Blair è stato alla Thatcher.
«Ha detto anche che Forza Italia dovrebbe convergere su Renzi. Oltre alla ragion politica di Bondi, mi pare che ci sia un caso di carenza affettiva. Mi ricorda il volo in Scozia fatto da Rudolf Hess per trattare la pace separata. Ora però non cominci con le domande antropomorfe».
Il centrodestra e Forza Italia di fronte all’azione di Renzi si stanno sgonfiando nei sondaggi.
«Se si sommano Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega e Ncd… il centrodestra in Italia è ancora molto forte».
Ncd è al governo con Renzi.
«Non facciamo riflessioni sincopate sul presente. Bisogna guardare al futuro e ripartire ragionando su un arco temporale medio-lungo».
Vuole rimettere insieme Alfano, Brunetta, Maroni…?
«Perché pensa subito ai nomi?».
Perché i nomi nella politica di oggi sono importanti.
«Sarà importante ricostruire un gruppo dirigente intorno a un catalogo di valori e di proposte».
Quali valori?
«La sovranità nazionale… L’immigrazione, che è un tema identitario. E le proposte: il principio secondo cui tutto è libero tranne quello che è vietato. I contratti aziendali…».
I contratti aziendali?
«Sì. La Germania è ripartita anche introducendo la possibilità di una contrattazione azienda per azienda. In Italia, pur avendo migliaia di micro-imprese, i contratti hanno ancora una base prevalentemente nazionale. La cosa fondamentale per il centrodestra, comunque, è concentrarsi sulle idee e non sulle primarie».
Le primarie per voi sono sempre state un problema: Berlusconi è ingombrante.
«Berlusconi continua a mantenere una leadership e un blocco molto vasto di voti».
Il Cavaliere ha 77 anni ed è affidato ai servizi sociali.
«E quindi? Io lo vedo in tv. In campagna elettorale. È saldamente in campo».

Vittorio Zincone
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Categorie : interviste
Commenti
carlo 31 Dicembre 2019

Idealmente gli aderenti ad una repubblica digitale manterranno rapporti di tipo sociale e commerciale esclusivamente con appartenenti alla stessa repubblica e limiteranno al massimo rapporti e adempimenti verso gli stati fisici. In ultimo vorranno non esere soggette alla moneta e alla fiscalità degli stati fisici. In questo modo potranno convivere nello tesso spazio fisico economie diverse, diversi modelli sociali e produttivi.

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