Anna Maria Tarantola (Sette – luglio 2014)
0 commenti(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera, il 18 luglio 2014).
Scrivania al settimo piano con vista su sette monitor. Ogni monitor un canale. Quando vede qualcosa che non le piace alza il telefono: «Ai direttori dà un po’ fastidio». L’ultima volta è successa qualche settimana fa: «Durante una trasmissione del pomeriggio di Rai1, mi è sembrato che ci si accanisse troppo su un episodio di cronaca». Driin. Anna Maria Tarantola, 69 anni, dal 2012 è il presidente della tv di Stato. Quando il premier Monti la nominò e diede la Direzione generale a Luigi Gubitosi, Carlo Freccero chiosò: «Due alieni a viale Mazzini». L’aliena ama srotolare dati: «Abbiamo chiuso il bilancio 2013 in utile». Racconta: «La cosa più incredibile che ho notato quando sono arrivata in Rai è che non esisteva un sistema di valutazione sull’operato dei dirigenti. Ora l’abbiamo introdotto. Abbiamo anche nominato un Chief financial officer, che non esisteva».
Tarantola, nata a Zorlesco, nel lodigiano, ha la erre lombarda ben arrotata e i capelli scolpiti a nuvola come Margaret Thatcher. Liquida con uno sbuffo l’accenno a un’inchiesta recente su traffici finanziari che ha coinvolto alcuni ex big di Bankitalia tra cui lei e l’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Se la provoco ricordandole quanti presidenti Rai si sono lamentati del fatto che quel ruolo non conta nulla, si inorgoglisce: «Io sono la prima ad avere delle deleghe. Metto la firma su molti contratti».
Avrebbe dovuto mettere la firma anche su quello di Floris?
«Sì, ma non mi è stato presentato».
La Rai ha perso un altro pezzo forte dell’informazione.
«Mi dispiace perché Floris è un grande professionista. Ha dato e ha avuto molto dall’azienda. Il mercato però funziona così. La negoziazione non è andata a buon fine».
Potevate fare uno sforzo. Il contratto di Bruno Vespa non è economicamente lontano dalle richieste di Floris.
«È un vecchio contratto…».
Verrà ridimensionato al momento del rinnovo?
«Avendo risorse in diminuzione, il mandato del Consiglio è di ridurre tutti i contratti in modo da recuperare risorse per investire in tecnologie. Quando sono arrivata la Rai era un’azienda tecnologicamente molto vecchia».
Nel mercato, perso un peso massimo che attirava telespettatori, se ne cerca un altro. Lei ha sempre detto che il servizio pubblico deve raggiungere il maggior numero di cittadini possibile.
«La Rai saprà reagire, spero. Troveremo qualcuno di giovane e bravo dentro l’azienda, capace di fare buoni ascolti».
Giovani. In palinsesto per il 2014/2015 c’è Raffaella Carrà: bravissima, ma la prima apparizione in Rai risale al 1963.
«Sul fronte editoriale dobbiamo lavorare molto. Mi piacerebbe aprire un tavolo delle idee, anche coinvolgendo figure esterne all’azienda, per trovare nuovi format e nuovi personaggi con cui affrontare la sfida del passaggio da broadcaster a media company e la concorrenza internazionale».
Concorrenza. La tv di Stato inglese, la Bbc…
«Ha una governance molto diversa dalla Rai, che consente una solida indipendenza».
È un modello di governance a cui ispirarsi?
«Sul funzionamento degli organi interni c’è un dibattito aperto. Ma sull’indipendenza… Io credo che senza indipendenza dalla politica non ci sia servizio pubblico».
La Rai da questo punto di vista non è un esempio virtuoso.
«Io non sono mai stata contattata da un politico».
Luigi Gubitosi un mese fa ha detto ad Aldo Cazzullo del Corriere di aver chiesto di incontrare Renzi. Senza riuscirci.
«Io non ho mai provato a prendere contatti».
Sa che cos’è Benefit Street?
«Ne ho sentito parlare».
È un docu-reality della Bbc su una strada in cui vivono centinaia di famiglie con sussidi statali. La trasmissione ha innescato un dibattito molto acceso. È dovuto intervenire persino il premier David Cameron. Una tv pubblica non dovrebbe fare questo?
«Tra i tanti ruoli che ha, ci dovrebbe essere anche quello di fare da sprone al governo».
Conosce la trasmissione Little Britain?
«No».
È una striscia comica sui vizi e sui costumi degli inglesi, trasmessa dalla Bbc. Il corrispettivo ruvido in Italia è I soliti idioti. Trasmesso da Mtv.
«Capisco dove vuole arrivare. Oggi la Rai sta intraprendendo un percorso editoriale proprio in questa direzione. Ma i tempi sono lunghi. E dobbiamo tener conto della sensibilità dei cittadini italiani, che non è la stessa di quelli inglesi».
A causa di questa sensibilità le fiction Rai sono piene di preti buoni, carabinieri paciosi e famiglie felici. Non è una tv un po’ troppo consolatoria?
«Io non la vedo così. Le nostre fiction possono sembrare dolciastre, ma in realtà pongono l’attenzione su problemi seri, rappresentando la maggior parte del Paese».
Ha mai visto la serie Gomorra?
«Lo trovo eccessivo. Non dà speranze. È giusto, invece, che il servizio pubblico ti faccia vedere come attraverso un percorso o un rapporto umano si possa arrivare alla soluzione dei problemi. A me non piace l’abitudine italiana ad alimentare la fame di sangue e di dolore».
Abitudini. Molti italiani non pagano il canone. Per vizio truffaldino o per protesta contro i prodotti Rai?
«Immagino per entrambi i motivi. Anche se c’è uno iato tra il comune sentire (negativo) e le risposte che danno i cittadini intervistati sulla qualità dei prodotti Rai (positivo)».
Il canone finirà nella bolletta della luce?
«Sono favorevole a una revisione sul modo di raccogliere il canone. Non so se la bolletta elettrica sia la soluzione migliore. Con tutti gli operatori che ci sono, potrebbe essere complicato. In Germania si paga un canone per ogni abitazione. E funziona».
Quale trasmissione oggi identifica meglio il servizio pubblico?
«Il tempo e la storia, condotto da Massimo Bernardini».
Il personaggio esterno che vorrebbe in Rai?
«Mi piace Pif. Il suo film è davvero bello».
Qual è la tv della sua infanzia?
«Il televisore in casa è arrivato molto tardi. Da bambina, quando mi comportavo bene, i miei mi portavano a vedere Mike Bongiorno al bar Alemagna di Metanopoli».
Metanopoli è il quartiere di San Donato Milanese voluto da Enrico Mattei per i lavoratori Eni e Snam.
«Vivevo lì. Mio padre lavorava alla Snam. Era un ex sottufficiale della Marina: mi ha trasmesso il senso del dovere e il senso civico».
Sua madre…
«Quando mio padre perse il lavoro dovette imparare un mestiere. Si mise a fare la parrucchiera».
Viene da lì la sua attenzione alla pettinatura?
«Eheh. Mi piace stare in ordine».
A scuola era molto secchiona?
«Abbastanza. Sono tuttora molto metodica».
Frequentava la Cattolica di Milano durante il Sessantotto.
«Studiavo. Partecipavo un po’ alle attività dell’occupazione di giorno, ma non di notte. Nel 1969 ero assistente di Economia politica e mi capitava di fare lezioni ed esami in casa. Mia madre preparava la merenda per gli studenti».
Poi si trasferì in Inghilterra. Come fu l’impatto con la swinging London?
«Ricordo il primo incontro con Harry Gordon Johnson, il mio supervisor alla London School of Economics: entrai nella sua stanza indossando un tailleur blu e una camicetta da educanda. Lui aveva una giacchetta hawaiana e sulla porta aveva appiccicato una gigantografia di una donna nuda. Mi rassicurò: “Non si preoccupi, sono una brava persona”. Londra mi ha rafforzato nel carattere e mi ha dato apertura mentale. Rientrai con un anno di anticipo perché venni assunta in Bankitalia».
Ci è rimasta più di quarant’anni. Quando Monti l’ha chiamata…
«Ero a un convegno, a Milano. Al telefono, mi propose la Presidenza della Rai. Disse che aveva bisogno di una persona esperta di aspetti organizzativi».
È vero che in famiglia l’incarico in Rai è stato accolto con diffidenza?
«Le mie figlie non erano entusiaste. Mio marito era proprio contrario».
A cena col nemico?
«Visto l’interrogatorio… se vuole mangiamo insieme stasera».
Ha un clan di amici?
«Ne ho tanti dai tempi dell’Università. Una per tutti: Giuliana, che per anni ha insegnato in un liceo».
Che cosa guardava in tv prima di approdare a viale Mazzini?
«Documentari su Rai Storia, La Signora in giallo e Montalbano, che mi è sempre piaciuto».
Il film preferito?
«Via col Vento. Ma non sono appassionata di cinema».
Il libro?
«Guerra e pace. Tolstoj ha una capacità straordinaria di rappresentare le figure femminili. E poi Il vecchio e il mare».
Il saggio economico che le ha cambiato la testa?
«Ho sempre sul comodino The wealth of nations di Adam Smith, in lingua originale. Lì dentro c’è tutto».
La canzone?
«Strangers in the night. Sono una romanticona. Ahahah».
Sa quanto costano sei uova?
«Certo, due euro e qualcosa. Faccio la spesa e cucino».
Gli Stati che insistono sul Kurdistan?
«Afghanistan?».
No. Turchia, Iraq… Conosce l’articolo 139 della Costituzione?
«È l’ultimo. Promossa?».
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