Pippo Civati (Sette – luglio 2013)
2 commentiQuando vuoi sentire una cosa di sinistra da parte di un Pd, chiami Civati: no al merito senza uguaglianza, sì ai matrimoni gay, no agli F35, sì al testamento biologico, no alla condanna dei No Tav, sì alle manifestazioni della Fiom e al ritorno al fianco di Sel. Soprattutto no e poi no al governo Letta/Alfano. Giuseppe Civati, per tutti Pippo, 37 anni, unico parlamentare del Pd a essersi opposto esplicitamente alle larghe intese (le chiama «male intese»), è il disobbediente democratico, sempre più spesso non in linea col partito. La settimana scorsa quando si è rifiutato di votare col Pdl la sospensione dei lavori alla Camera, una collega di partito gli ha dato del paraculo. «Offendono invece di discutere il merito delle mie decisioni», dice. Ex studioso di filosofia, ex consigliere regionale lombardo, blogger, twittarolo forsennato, è stato il primo a ufficializzare la sua candidatura a segretario del Pd. Tendenzialmente non si trattiene: se sente parlare della sua alleata azzurra Daniela Santanché, sbotta: «È fondamentalmente fascista. Tendenza pitonata, ma fascista, ricordiamocelo».
Quando gli chiedo i confini della Siria e dell’Egitto, luoghi di rivoluzioni e di ribellioni arabe, li azzecca tutti e poi spara: «Anche in Italia c’è stata una ribellione. Frustrata e sorda, ma c’è stata. Il voto del 25 febbraio, la forte astensione e il trionfo di Grillo sono segnali duri, radicali. Non sembriamo ancora averli colti».
Parla dei dirigenti del Pd?
«Sì. Dovremmo dare dei segnali per riportare un po’ di uguaglianza nel Paese…».
E invece…
«Invece quando Grillo propone un reddito di cittadinanza di mille euro lo sfottiamo, e nel frattempo ci alleiamo con Berlusconi. È in corso un’operazione di espulsione degli elettori dal nostro bacino elettorale. Roba da esorcisti. L’imbarazzo è forte anche tra i parlamentari. Ma questo imbarazzo fatica a tradursi in azione politica».
Quale dovrebbe essere questa azione politica?
«Dire chiaramente che questo governo dovrebbe fare tre cose al volo, una legge elettorale e poi portare gli italiani al voto. Chi è contrario è un po’ sospetto».
Perché sospetto? Il governo delle larghe intese serve per affrontare l’emergenza economica.
«Ma un’emergenza quanto può durare? Il governo Monti era d’emergenza ed è durato più di un anno, senza nemmeno riuscire a cambiare il Porcellum».
Lei ha scritto l’instant book Non mi adeguo. 101 punti per cambiare. Il numero 101 è un riferimento ai parlamentari del Pd che hanno impallinato Prodi durante le elezioni per il Quirinale.
«Ormai il 101 è un numero della cabala della sinistra. E su quei 101 ho un giudizio politico preciso».
Quale?
«Io che volevo sia Prodi sia Rodotà, ho perso. Loro hanno vinto. Volevano che finisse esattamente come è finita».
Che senso ha per dei parlamentari del Pd desiderare un governo con il Pdl? Lei sospetta un’operazione centrista?
«No. Credo che si sia trattato di spirito di conservazione. Un governo del cambiamento con l’appoggio del Movimento 5 Stelle avrebbe messo in discussione troppe certezze. Per tutto un gruppo dirigente».
Scusi, ma di chi sta parlando?
«Di tutti i grandi player del partito finiti nel governo: Letta, Franceschini… sono tutti lì. Non le pare strano che si sia dimesso un segretario, si sia sciolta la coalizione con Sel e non ci sia stato un dibattito serio? L’opzione Grillo per loro non era proprio calcolabile».
Grillo non vuole allearsi con nessuno e considera il Pd parte del problema.
«Grillo va comunque ascoltato».
Grillo l’ha insultata. Le ha dato del cane da riporto. E alcuni grillini l’hanno aggredita verbalmente fuori da Montecitorio.
«Ma che mi frega? Mi diverto. Quel che so è che molti temi di Grillo sono anche i nostri: il ritorno al Mattarellum, l’acqua pubblica…».
Sarebbero state queste le priorità del governo del cambiamento Pd/Sel/M5S?
«Non solo. La legge elettorale, i diritti, un po’ di moralizzazione del sistema politico, gli F35… È così assurdo per un uomo di sinistra dire che non si possono spendere tutti quei miliardi per dei cacciabombardieri? Siamo al governo con
B-e-r-l-u-s-c-o-n-i e si fanno i plissé alle proposte pacifiste di Civati? Mi viene da piangere».
Non faccia così. È vero che quando era segretario dei Ds di Monza gestiva il partito con azioni grilline?
«Era una gestione molto democratica e partecipata. Facemmo le primarie per eleggere il sindaco prima che le primarie diventassero una moda».
Ora si è candidato alla segreteria del Pd. Più “partito palestra” di Barca o più “partito agorà” di Bettini?
«Nell’antica Grecia l’attività fisica e quella intellettuale andavano di pari passo, eh eh. Mi piace sia l’idea della mobilitazione cognitiva di Barca sia quella del partito deliberante di Bettini. Basta correnti senza un perché, se non la spartizione dei posti. E basta con i conflitti finti tra pochi intimi che poi finiscono sempre per sostenersi a vicenda».
Renzi pensa a un Pd blairiano.
«Le fascinazioni esterofile non mi piacciono. Ricorda Benigni? Disse: “Piuttosto che il Woody Allen italiano vorrei essere l’Anna Magnani svizzera”».
Lei e Renzi fino al 2011 eravate alleati. Poi…
«Poi lui fece un paio di uscite non condivisibili su Marchionne e su Berlusconi. Ma la vera differenza era che io ritenevo che si dovesse cambiare il partito, lui guardava più fuori. La vita interna del Pd gli interessava poco».
Quando si andrà a votare?
«Credo e spero nella primavera del 2014».
Non si può, ci sono le Europee.
«L’importante è che non si tengano lo stesso giorno. Possono svolgersi a pochi giorni di distanza. Pensi quanto sarebbe felice D’Alema: nello stesso mese… italiani ed europei».
A cena col nemico?
«Con Alemanno. È un personaggio curioso, un po’ sfortunato. E poi con Grillo: gliel’ho proposto spesso, ma non ha mai accettato».
Ha un clan di amici?
«Sì, tra i più antichi c’è Mimmo, perito elettrotecnico».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Aver accettato la candidatura alle Regionali nel 2005. Ero a Barcellona per studiare. In quel momento si è interrotta la mia carriera universitaria da ricercatore di Filosofia».
Ricorda il suo primo comizio?
«A diciassette anni. Nell’aula magna del mio liceo».
La sua prima tessera?
«Quella dei Ds nel 1998. Prima avevo aderito ai Progressisti e nel 1995 ero entrato nei comitati per Prodi».
Prodi avrà ancora un ruolo nel Pd?
«Sì. Ma credo che avrà soprattutto un ruolo nella vita internazionale. All’Onu non ci sono i 101 franchi tiratori».
Prodi a capo dell’Onu e D’Alema a capo della Commissione europea?
«Per D’Alema la vedo più complicata».
I suoi miti giovanili?
«Sandro Pertini, perché era anticonformista e io non sopporto il conformismo in politica. E Bob Kennedy, quello più a sinistra dei fratelli».
Il film preferito?
«C’era una volta in America di Sergio Leone. E tutto Tarantino».
Il libro?
«Martin Eden di Jack London».
La canzone?
«Ho visto Nina volare di Fabrizio De André».
Pensavo che dicesse una roba un po’ più anni Ottanta.
«Con gli anni Ottanta ho un pessimo rapporto».
Sono i preferiti della “generazione Letta”.
«Eh, ma io non amo il Subbuteo, gioco male a biliardino e non sono mai stato a Vedrò. Tornando alla canzone, mia figlia di otto mesi si chiama Nina per merito di De André».
Sa quanto costa un pacco di pannolini?
«L’ultimo che ho comprato diciotto euro».
Fa la spesa?
«Certo, concentrandomi sugli ordini impartiti. Al supermercato obbedisco. Anche perché con la mia compagna, Giulia, rischio sanzioni pesantissime».
Vittorio Zincone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pippo va avanti!
tante chiacchere senza un chiaro distintivo, Renzi lo mette in buca sempre, speriamo nella prossima decade 2020