Patty Pravo (Sette – aprile 2013)

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Ha cantato pezzi leggendari in cui piroetta come una bambola, fa l’amore con un uomo pensando a un altro, ha pensieri stupendi, soffre come se avesse una spada nel cuore e incita i ragazzi tristi a scoprire il mondo. Ha eseguito brani scritti da grandi cantautori e chansonnier: Jacques Brel, Gino Paoli, Léo Ferré, Ivano Fossati… Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo, è un’icona del pop alto. Definisce se stessa «più una musicista che una cantante». Il primo titolo che la stampa le ha dedicato risale all’agosto del 1966. Era già un programma: «L’ape regina dei capelloni». Ora i giornali parlano di lei perché la canzone Pazza idea ha compiuto 40 anni e perché l’ex “ragazza del Piper” ha appena messo in circolazione un cofanetto con 48 canzoni: «Tutte scelte da me. È la prima volta». Il titolo altisonante è Meravigliosamente Patty: «Ci ho messo anche pezzi in cinese. O musicati da Vangelis. E c’è Per aver visto un uomo piangere e soffrire Dio si trasformò in musica e poesia, che dura 9 minuti. Insomma, oltre ai super classici, anche i miei preferiti».
Pravo vive in un attico con vista sui Fori Imperiali. Entri in casa e ti accoglie un jukebox. Appoggiato sopra un tavolo, c’è un quadro che la ritrae accanto a un personaggio urlante della Guernica di Picasso. Spiega: «Lo ha dipinto il pittore Tano Festa. Me lo ha lasciato appoggiato allo zerbino una volta che lo avevo fatto aspettare molte ore fuori dalla porta». Ci sediamo accanto a un tapis roulant. Lei ha un look sportivo total black. Quando può, risponde con una singola parola: «certo», «chiaro», «per forza». Le chiedo di dare una versione definitiva su come è andata quella sera dell’estate scorsa, quando in Sicilia ha interrotto un concerto dopo due canzoni e poi è sparita. On line si trova di tutto: «È stato un capriccio da star», «La signora Pravo era infastidita da un lampione», «Non si è sentita bene». Chiarisce: «Ho avuto un attacco di panico. Stavo cantando La luna e improvvisamente mi si è appannata la vista, non riuscivo più a respirare. Ho creduto di morire. Dopo il ricovero, un neurologo mi ha detto che ero arrivata a quel punto anche perché non dormivo bene da mesi. Altro che capriccio. Ma ti pare che interrompo un concerto per la luce di un lampione?».
Alle star è permesso tutto, no?
«La gente pensa che essere una star voglia dire prendere a calci in bocca i fan. Non è così. Siamo persone normali. E la parola star a me non piace».
Quale preferisci?
«Diva».
Come si diventa divi?
«Diva si nasce. Io sono sempre stata così. È un’aura che attrae e prescinde dalla tecnica o dalla bravura. Il problema è che di divi ormai ce ne sono pochi».
Vuoi sparare anche tu sui talent show?
«No, ben vengano i talent. Qualche volta vedo Amici. Nell’ultima edizione di X Factor mi piaceva Cixi, la ragazzina di 16 anni. E Mengoni a Sanremo è stato bravo».
Guardi Sanremo in tv?
«Per dovere. Per poter rispondere a chi mi chiede se lo guardo».
Tu hai partecipato otto volte al Festival. L’ultima non è andata benissimo.
«Già. E la prima, nel 1970, ero lì solo per curiosità, per vedere com’era».
Cantavi La spada nel cuore in coppia con Little Tony.
«Un pezzo brutto».
Un pezzo leggendario di Mogol.
«Mi piaceva solo la parte centrale. Ho vinto il premio della critica e non sono più uscita dal gorgo sanremese».
Tra gli anni Sessanta e Settanta eri in ben altri gorghi. Ogni giorno ti veniva attribuito un flirt e un eccesso diverso.
«Nel 1980 sono scappata negli Stati Uniti e ci sono restata tre anni proprio per fuggire da quel tipo di gossip».
Sono passati molti anni.
«Ora posso dire che i nostri eccessi erano belli, rompevano. Liberavano. Oggi, soprattutto in tv, vedo un appiattimento e un involgarimento anche negli eccessi».
La tua Roma anni Sessanta.
«Camminavo scalza. Libera. Era una città fighissima. A una festa nella casa del pittore Mario Schifano ti poteva capitare di incontrare Mick Jagger e Keith Richards. Ho dei dubbi sul fatto che oggi a una ragazza sbarcata da Venezia potrebbero succedere le stesse cose».
Quanti anni avevi quando sei arrivata a Roma da Venezia?
«Circa diciassette. Avevo studiato pianoforte e danza classica».
È vero che da bambina ti sei esibita di fronte a quello che sarebbe diventato Papa Giovanni XXIII?
«Sì. Angelo Roncalli, che allora era Patriarca di Venezia, ogni tanto veniva a trovare i miei nonni. E a me toccava la sonatina».
Dal Papa al Piper, il famoso club romano.
«Arrivata a Roma cominciai a frequentare quel locale. L’agente Alberigo Crocetta mi notò mentre ballavo e mi chiese se volevo cantare».
Tu sapevi cantare?
«In pubblico lo avevo fatto una volta sola, durante il carnevale di Venezia. Accettai».
E cominciasti anche a prendere qualche lezione di canto?
«No, mai. Una volta in America andai a conoscere la madre di un mio tastierista, maestra di canto che aveva insegnato a Barbra Streisand e a Janis Joplin. Non volle toccare la mia voce».
La considerava una causa persa?
«Ahahah. Pensai la stessa cosa. In realtà mi disse che non la voleva rovinare».
A causa della tua voce, quando hai esordito, qualcuno pensò che fossi un uomo.
«Mio padre commentò: “Magari. Almeno Nicoletta non mi avrebbe fatto penare con tutti quei fidanzati”».
La prima canzone incisa?
«Ragazzo triste. Un riadattamento di But you’re mine di Sonny Bono e Cher, realizzato da Gianni Boncompagni. Il fatto che quel ragazzo fosse triste a me non andava bene».
Ma fu un successo. E da quel momento non ti sei più fermata. Due anni dopo cantavi La bambola.
«Un pezzo che non mi convinceva».
Perché?
«Sapevo che mi avrebbe segnata, che l’avrei dovuta cantare tutta la vita. Dopo quel primo periodo giocoso, beat in minigonna, nel 1970 feci una giravolta e mi misi a cantare pezzi come La canzone degli amanti di Léo Ferré. Poi tornai leggera con Pazza idea».
Hit provocatoria e un po’ libertina.
«La tennero ferma mesi. Non piaceva quel “pazza” nel titolo. Gli spiegai che io ho la “z” veneziana, morbida. Alla fine venne pubblicata praticamente com’era nel provino: un po’ grezza. Mi è successo anche con Pensiero stupendo, di Ivano Fossati: registrata in una saletta sgarrupata. Voce, basso e batteria del disco sono gli stessi del provino».
Hai cantato e duettato per 48 anni come una forsennata. È vero che Jacques Brel rimase folgorato dalla tua interpretazione della sua Ne me quitte pas?
«Credo che in quell’occasione abbia regalato il suo primo e ultimo mazzo di fiori. Era abbastanza schivo».
Hai cantato in francese, in inglese…
«In inglese poco. Quasi più in cinese. E in brasiliano: ero molto amica di Vinicius de Moraes. A un certo punto ho pure comprato una casa a Bahia, ma non ci sono praticamente mai andata».
Ora hai inciso un pezzo in napoletano: ’Na canzone.
«Nel jukebox che hai visto all’ingresso c’è una canzone degli Alunni del Sole, E mi manchi tanto. Un giorno ero qui con un amico americano e l’abbiamo ascoltata insieme. Lui è impazzito. E io ho pensato che sarebbe stato interessante cantarla nei miei concerti. Paolo Morelli, leader degli Alunni, per ringraziarmi ha scritto ’Na canzone apposta per me».
Canti spesso pezzi di altri: Lucio Battisti, Vasco Rossi, Francesco De Gregori…
«Francesco è un amico, una persona meravigliosa. Ha scritto dei pezzi molto belli per me, ma a parte Il mercato dei fiori, non li ho mai incisi».
Perché?
«E che ne so? Non era il momento. Lo frequentavo negli Anni 70, ai tempi della Rca, l’etichetta discografica. Con Venditti andavamo a casa sua. Loro stavano ore a bere vino e a parlar di calcio».
Tra i più giovani di oggi chi ha un po’ di aura divesca?
«Giuliano Sangiorgi dei Negramaro ha una voce splendida e scrive da Dio».
Hai venduto milioni di dischi. Sei diventata miliardaria?
«Macché. Mi sono sputtanata tutto».
Come?
«Te ne racconto una: negli anni Settanta mi ero comprata gioielli e pellicce per milioni e milioni. Dovendo partire per gli Stati Uniti decisi di affidarli a un amico fiorentino. Dopo un po’ mi chiamò dicendo che lo avevano derubato. Poi ovviamente ho avuto anche qualche manager truffaldino».
A cena col nemico?
«Che vuol dire?».
C’è qualcuno che non ti è amico con cui andresti a cena? Puoi dire anche persone che non ci sono più, tipo Bin Laden o Gheddafi.
«Io con Gheddafi, l’uomo, non il dittatore, ci sono stata davvero a cena».
Quando?
«Molti anni fa. Dopo una delle mie traversate del deserto in solitaria».
Quante ne hai fatte?
«Tre. Ma non amo parlarne. È un’esperienza molto intima. Finita la traversata del deserto libico, cenai con Gheddafi nella sua tenda. Era simpatico e fichissimo col suo caftano».
Ti sei seduta alla tavola di qualche altro capo di Stato?
«Sì, a quella dello Scià di Persia, Reza Pahlavi, dopo aver cantato per lui».
Qual è l’errore più grande che hai fatto?
«Rinunciare al cinema».
Hai ricevuto molte proposte?
«Michelangelo Antonioni mi aveva contattata per Professione Reporter. E Vittorio De Sica mi aveva chiesto di girare il Giardino dei Finzi-Contini».
Perché rifiutasti?
«Ero in giro a suonare. Non mi rendevo conto che stavo facendo una cavolata».
Il nome Pravo…
«Una volta per tutte: non è una storpiatura di Bravo. Viene da una conversazione con alcuni amici su Dante. Io dissi che a me piacevano le anime prave dell’Inferno. Con Alberigo Crocetta giocammo su quel termine: Prave, Pravo. Patty Pravo».
La tua canzone preferita?
«I put a spell on you di Nina Simone».
Il libro?
«Ho sempre con me un libretto di Arthur Rimbaud».
Il film?
«Blade Runner, per le musiche pazzesche di Vangelis».
Che cosa guardi in tivù?
«In questo momento soprattutto news politiche».
Per chi hai votato?
«Non ho mai votato».
In che senso?
«Non ho mai votato. In tutta la mia vita».
La volta che ci sei andata più vicina?
«Dopo aver parlato con Vasco… ero tentata dai radicali, ma ho preferito desistere. Sono ancora in attesa di individuare una persona seria a cui dare il mio voto».
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