Oscar Farinetti (Sette – marzo 2013)
1 commentoOscar Farinetti, 58 anni, distribuisce meraviglie culinarie, educa alla gastronomia e sazia gole in tutto il mondo. Con il suo Eataly è sbarcato a New York, è presente in nove città italiane, ha nove presìdi in Giappone e presto sarà a Chicago, Istanbul e Dubai. Doveva arrivare pure a Milano. Ma prima delle elezioni Farinetti ha minacciato: «Se vince Maroni magari apro un kebab». Lo provoco: «E ora?». Replica: «Convincerò Maroni a togliere la secessione dallo Statuto della Lega». Boom. «In Italia c’è posto per un partito dei territori, ma non deve essere per forza del Nord: partendo dalla biodiversità dovrebbe occuparsi di tutto il Paese».
Farinetti dice che il suo progetto, fatto di megastore succulenti e ristoranti glocal, è fisico e metafisico. Lui è l’alfiere commerciale dello slowfoodismo: il movimento creato da Carlin Petrini che da anni sponsorizza cibo “buono, pulito e giusto”. La sua missione è spacciare prelibatezze tenendo bassi i costi. Il suo Leitmotiv è che fare impresa oggi in Italia sia allo stesso tempo un atto politico e una missione: «Se riesco a dare a tutti i miei dipendenti italiani la quindicesima, faccio politica. Lavoro per la supremazia culturale dell’altruismo».
L’intervista si svolge a singhiozzo, anche perché Farinetti non si ferma mai. Tra le sue missioni più recenti c’è quella di portare il cibo di Eataly sui piatti dei viaggiatori: «Sulle navi da crociera, sui treni e sugli aerei. In economica, eh. Io adoro il pueblo. Amo la gente comune».
Ricordate la pubblicità con Tonino Guerra che urlava al telefono: «Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita»? Era un’idea di Farinetti, allora patron di Unieuro: «Tonino mi disse che il Gianni a cui si rivolgeva era un suo amico sordomuto. Quando gli domandai perché fare finta di telefonare a un sordomuto, mi rispose: “È poesia. Non puoi capire”». Quello che Farinetti ha capito perfettamente, invece, è che una réclame azzeccata produce subito frutti prelibati: «Lo spot sull’ottimismo fece aumentare il fatturato di Unieuro del 20% in un anno». Farinetti è furbo e se ne vanta. Dice: «Se non sei furbo e onesto non combini niente». A chi gli chiede come abbia fatto a passare dai prodotti elettronici alle leccornie di Eataly, replica con una frase a effetto: «Io vendo il futuro. Negli anni Ottanta era l’elettronica. Oggi è il cibo».
Il cibo è anche la luce in fondo al tunnel della crisi?
«Abbiamo una chance mondiale. Ma dobbiamo avere il coraggio di reinventarci».
Come?
«Puntando su un’agricoltura senza chimica. Che fa bene alla salute e darebbe una forza dirompente al made in Italy. E poi si deve tornare a dare dignità all’imprenditore primario».
Chi sarebbe?
«Il contadino/allevatore: colui che produce l’unica cosa che mettiamo nel nostro corpo».
Le sembra che i contadini non abbiano dignità?
«Non esistono altri imprenditori che producono beni senza sapere a che prezzo li venderanno. Allevano gli animali, ma non sanno a che prezzo verrà comprata la carne. Sono nelle mani dei grossisti. Io cerco di rompere questo meccanismo».
Come?
«Riducendo a zero la filiera. Dal produttore al consumatore. Slow Food mi aiuta ad arrivare in tutto il mondo ai produttori migliori. Eataly è un terminale, un hub materiale, dove le filosofie di Slow Food vengono scaricate a terra. L’arte di fare agricoltura è alla base della gastronomia. Per mangiare bene bisogna nutrire bene gli animali e la terra».
Nutrire la terra?
«Certo. Con Carlin Petrini quasi ogni anno andiamo a cena da Felice Marino a Cossano Belbo. È un vecchio partigiano. Tre anni fa, mentre mangiavamo, Felice mi disse: “La terra è stanca”. Poi mi spiegò che la terra va coccolata e che quando le si dà troppa chimica smette di dare frutti buoni. Lui produce farine biologiche lavorate a pietra. E infatti i taglierini di casa sua sono un’eccellenza».
Eccellenze culinarie. Che cosa preferisce, polenta e osei o pasta alla Norma?
«A pelle… Polenta e osei».
La bufala di Paestum o i canederli in brodo?
«I canederli».
Farinetti a trazione nordica. Chi è il suo chef preferito?
«Ugo Alciati del ristorante “Guido” a Pollenzo».
Non vale. A Pollenzo c’è l’Università gastronomica di Petrini, suo amico e sodale.
«Se è per questo io sono presidente dell’Associazione amici dell’Università di Pollenzo».
Da quanto tempo conosce Carlin Petrini?
«Dal 1968. Era leader della sinistra di Bra. Già allora si vedeva che era un fuoriclasse. Carlo vede sempre quello che c’è dietro l’angolo. Cominciai a collaborare con lui quando creò la cooperativa libraria “La torre”. Poi ci siamo persi di vista».
Perché?
«Perché io cominciai a lavorare nei supermercati di mio padre. L’Unieuro. E quando lavoro lo faccio in maniera forsennata».
Mi racconta la sua infanzia?
«In bici per la campagna. Sono nato e cresciuto ad Alba».
Che studi ha fatto?
«Il liceo Govone di Alba, lo stesso frequentato da Beppe Fenoglio. Poi Economia a Torino. Ma ho abbandonato l’università per cominciare a lavorare con mio padre».
Suo padre Paolo, comandante partigiano della Brigata Matteotti.
«Socialista nenniano. Io, invece, ero socialista lombardiano: una giovane promessa del Psi Anni Settanta. Ero segretario di sezione. Conservo ancora la tessera di papà con la mia firma».
Perché ha smesso di fare politica?
«Non mi piaceva il partito craxiano e l’intreccio tra affari e politica dei socialisti torinesi di cui Giusi La Ganga era il dominus».
È vero che vuole tornare a fare politica?
«No. Ho detto a una sua collega che non mi sarebbe dispiaciuto fare il vicesindaco di Novello, la cittadina dove vivo, e lei ha un po’ esagerato…».
Che lei sia vicino al Pd, però, è vero. Che cosa pensa del trionfo di Grillo?
«Molte delle cose urlate da Grillo sono sagge».
Mi fa un esempio?
«La sua battaglia sull’acqua pubblica. Acqua, scuole, università e sanità per me devono essere pubbliche».
A cena col nemico?
«Con Guido Crosetto, il parlamentare del Pdl. Siamo agli antipodi, ma è bravo. E poi Flavio Tosi, sindaco di Verona. Penso il peggio della Lega, ma parlando con Tosi ho notato una voglia sana di risolvere i problemi e un amore vero per il proprio territorio».
Lei ha un clan di amici?
«Sì, una setta. Persone con cui ho fatto asilo, elementari e medie. Ne cito due: Fulvio, imprenditore, e Luciano che lavora nella Asl di Alba».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Professionalmente? Aprire una catena di osterie all’inizio del 2000. Non hanno mai funzionato».
L’imperatore del cibo italico ha toppato la ricetta per l’osteria perfetta?
«Già. Un altro grave errore l’ho fatto con il primo Eataly a Tokyo. Toppai quartiere. Ma poi mi sono ripreso».
Sa che cos’è Twitter?
«Non ne ho la minima idea».
Sa quanto costa un litro di benzina?
«In Italia un euro e ottanta centesimi. In Francia un euro e quaranta. Le pare normale?».
Conosce l’articolo 41 della Costituzione?
«Decisamente no».
È quello in cui si parla dell’utilità sociale dell’impresa.
«Bello. Porto sempre con me una Costituzione. Ma non la so a memoria. Anzi, diciamolo: la memoria non è il mio forte».
Il film preferito?
«Amarcord. L’ho rivisto 45 volte. E lo rivedrei altre tremila».
Il libro?
«I barbari di Alessandro Baricco, mi viene voglia di rileggerlo tutti i giorni».
La canzone?
«La mia banda suona il rock di Ivano Fossati. Vorrei sempre avere a disposizione una band che suona il rock per me».
Le piace ballare?
«Metaforicamente: fare impresa è come ballare».
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sono entusiasta del suo pensiero e delle sue iniziative vorrei conoscerlo e magari lavorare con lei