Fabio Fazio (Sette – febbraio 2013)

0 commenti

Fabio Fazio ha 48 anni e da trenta lavora in tv. Ha condotto tre edizioni di Sanremo. Le prime due, nel 1999 e nel 2000, hanno spaccato le barriere dello share (più del 55% dei telespettatori) e vengono ricordate per la magnificenza degli ospiti: Gorbaciov, Michael Moore, i Rem, Mariah Carey, gli Oasis, Robbie Williams, calciatori, prestigiatori… Quest’anno la Rai ha imposto un budget da tempi di crisi e di austerity. Risultato: pochi vipponi e niente compensi astrali su cui discutere. Le modelle Bar Rafaeli e Bianca Balti faranno capolino, Al Bano, Toto Cutugno e i Ricchi e Poveri si esibiranno per ricordare a tutti che Sanremo è Sanremo.
Fazio è in movimento tra Milano, Genova e Sanremo. Lo intercetto via Skype. Intervistatore navigatissimo, morbido e accogliente, da intervistato ogni tanto fa partire il pilota automatico: «Quest’anno mi sono impicciato delle canzoni… Il cast non inseguirà i gusti presunti dei telespettatori… Ci sono pochi soldi, gestiremo tutto io e Luciana…». Già, Luciana. Quando si è venuto a sapere che le elezioni si sarebbero svolte poco dopo Sanremo… Apriti cielo. Il solo pensiero delle battute di Littizzetto sui politici ha fatto ipotizzare a qualcuno uno spostamento della sfilata canora. Partiamo da qui, allora: dal Festival “elettorale”.
Si parlerà o no di politica?
«Sanremo non si svolge in una camera iperbarica. Sarebbe una sciocchezza non tener conto della realtà che si muove intorno al Festival».
Quindi se ne parlerà.
«A me sarebbe piaciuto pure fare un’intervista di quindici minuti ogni giorno a un candidato diverso. L’ho proposto».
La Rai come ha reagito?
«Mi hanno preso per matto. “Tu scherzi sempre”, hanno detto, ridendo nervosamente».
Che cosa avrebbe domandato a Bersani, a Berlusconi, a Monti e a Ingroia?
«In campagna elettorale è difficile sorprendere. Un tema a piacere? Una poesia di Pascoli?».
Ha detto: «Mi piacerebbe che questo Sanremo fosse una festa in clima di leggerezza».
«Sarà un Festival con molta musica. Gare ed esclusioni sin dal primo giorno».
Quante canzoni ha ascoltato prima di selezionare i finalisti?
«Un centinaio. Riascoltando i prescelti tutti insieme ho pensato che sarebbe una bella playlist da viaggio».
C’è chi ha storto il naso per i poco noti Marta sui tubi.
«Guardi che parliamo di eccellenza. Sarà davvero il Festival della contemporaneità: gli artisti rappresentano la musica italiana del presente e del futuro».
Non c’è l’hip pop.
«Alcuni rapper hanno declinato l’invito».
Del mondo hip pop chi avrebbe voluto?
«Non lo dico per non dargli soddisfazione. Capisco la scelta di fedeltà rispetto al proprio pubblico di nicchia. Molti pensano di infangare la propria reputazione partecipando a Sanremo. Ma Sanremo è un prodotto televisivo di grande qualità e un artista dovrebbe pensare alla propria arte, non solo ai fan. E poi bisogna rompere l’equivoco».
Quale equivoco?
«Quello per cui popolare è diventato sinonimo di volgare. L’obiettivo di una tv generalista dovrebbe essere proprio quello di risultare popolare riuscendo a curare i contenuti. È una mediazione che si impara a mettere in pratica col tempo, con la fortuna e con buoni maestri».
Chi sono stati i suoi maestri?
«Angelo Guglielmi, Bruno Voglino e Carlo Freccero».
La Rai tiene Freccero in naftalina, nella periferia di Rai4.
«È come tenere Maradona in panchina».
Gli affiderebbe una direzione più pesante?
«L’ho proposto tante volte. Con scarsi risultati».
Mediazioni. Le sue interviste a Che tempo che fa sono considerate troppo poco aggressive e incisive.
«L’aggressività è la cifra del presente: l’esaltazione dell’auto-esposizione. Si fa una domanda dura e volgare, si attende una reazione scomposta dell’intervistato e poi ci si auto-promuove su qualche social network come il più figo di tutti».
Lei invece…
«Se invito qualcuno perché ha scritto un libro comincio da quello. Poi faccio tutte le domande che vanno fatte, ma penso che nessuno abbia il diritto di far male gratuitamente a qualcun altro».
Quando lei faceva il giornalista a Diritto di replica era più aggressivo.
«Lo imponeva il format. C’era poco tempo, bisognava essere concisi. Che tempo che fa è più conversativo».
Chi è l’ospite che vorrebbe e che non è ancora riuscito ad agganciare?
«Steven Spielberg».
Quello che ha inseguito per più tempo?
«Paolo Conte».
Con qualcuno degli ospiti ha stretto amicizia?
«Con David Grossman e con Carlo Fruttero sono rimasto in ottimi rapporti».
Roberto Saviano l’ha conosciuto a Che tempo che fa?
«Quella con Roberto ormai è una amicizia così solida che faccio fatica a ricondurne l’origine a un’occasione professionale».
Tornerete insieme in tv?
«Al momento no. Ma spero di sì, prima o poi».
Fazio 2012/2013: le tre serate con Saviano, Sanremo, Che tempo che fa pure il lunedì. Come mai dopo trent’anni in tv, ha ancora questa frenesia di andare in onda?
«Lo ammetto: ho intenzione di fare sempre meno».
A cena con il nemico?
«Cenerei volentieri con qualcuno diverso da me: magari un atleta. Io sono la negazione dello sport».
Con Berlusconi cenerebbe?
«Ma certo! Proprio perché è quanto di più distante dal mio modo di essere e di pensare».
Qual è l’errore più grande che ha fatto?
«Ogni errore è uno step necessario per arrivare all’errore successivo».
La scelta che le ha cambiato la vita?
«A parte diventare padre?».
Paternità a parte.
«Scrivere la lettera per fare i provini in Rai. Parliamo della preistoria».
Come è stato il primo impatto con la tv di Stato?
«In realtà io avevo scritto alla Rai perché volevo visitare gli studi televisivi di Genova. Avevo diciotto anni. Avevo tempo. Mi presero».
Lei ha detto che nella Rai dei tecnici c’è un’attenzione al prodotto che non incontrava da anni.
«L’ho dichiarato dopo un incontro col direttore generale Luigi Gubitosi».
I partiti e la politica quando molleranno la Rai?
«Temo mai. In nome di che cosa dovrebbero rinunciare al controllo di un potere così grande?».
Molti giornalisti Rai finiscono col fare politica. Succederà anche a lei?
«No. Nella vita saper fare bene una cosa è già un miracolo».
Mineo, Ruotolo, Sassoli. Persino Grillo fa politica.
«Sono uno di quegli italiani cresciuti con Grillo, Troisi e Benigni. Tre predestinati con il dono e con la grazia di far ridere. Perché Grillo ha rinunciato a far ridere? Non lo capisco».
Grillo le risponderebbe: «Per spirito civico».
«Ma io considero far ridere un servizio enorme per il Paese».
Che cosa guarda in tv?
«I cartoni con i miei figli, i programmi d’informazione e alcuni documentari assurdi su Sky: come costruire un ponte e cose così».
Il film preferito?
«Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg».
La canzone?
«Una qualsiasi di Fabrizio De André e For no one dei Beatles».
È vero che in una stanza di casa lei conserva come cimeli una foto con Paul McCartney, una con De André, un foglietto firmato dall’astronauta Buzz Aldrin e il testo autografo del Giudizio Universale di Samuele Bersani?
«Sì. Samuele è un altro dei pochi amici che ho conosciuto sul lavoro».
Che fine hanno fatto Suor Paola e Idris, sue creature televisive ai tempi di Quelli che il calcio…?
«Non ne ho la più pallida idea».
Conosce i confini del Mali?
«Non li so».
L’articolo 12 della Costituzione?
«Non lo ricordo».
È quello sul Tricolore. Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Se le dico il litro di latte va bene lo stesso?».
Proviamo.
«Credo un euro e mezzo. In realtà il mio compito quotidiano è un altro: comprare il pane».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Categorie : interviste
Leave a comment