Stéphane Hessel (Sette – maggio 2012)

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Quando nel 2010 Stéphane Hessel, anziano ex diplomatico francese e gauchista, scrisse Indignatevi!, nessuno aveva previsto che sarebbe diventato uno straordinario caso editoriale, che avrebbe venduto circa 4 milioni di copie in tutto il mondo e che i giovani indignados europei avrebbero sventolato quelle 30 pagine durante le loro manifestazioni come molti sessantottini facevano con il “libretto rosso” di Mao. Non lo aveva previsto nemmeno lui: «Mi sono trasformato, improvvisamente, in un animale mediatico». Il guru delle barricate contro la globalizzazione delle speculazioni finanziarie. Ora, Hessel torna nelle librerie, con A conti fatti, o quasi (Bompiani). Più che un seguito, una evoluzione di Indignatevi! E, forse, una risposta allo scetticismo di alcuni critici.
In A conti fatti, Hessel, che oggi ha 94 anni, spiattella la sua “meravigliosa biografia” in faccia al lettore. Scrive proprio: «Si avrà ragione di credere che a dare forza alle mie parole sia piuttosto l’esperienza che non la forza del pensiero». Seguono 280 pagine filosofico-autobiografiche gonfie di aneddoti e di ricordi, di incontri e di riflessioni. Ci sono i suoi genitori, lo scrittore ebreo Franz Hessel e la pittrice Helen Grund, la cui storia ha ispirato il triangolo amoroso di Jules e Jim. Hessel scrive: «Sono figlio di Jules e Jim. Anche se non sono sicuro di avere molto da dire sull’argomento». C’è la loro casa parigina degli anni Venti frequentata da Marcel Duchamp, Man Ray e André Breton, geni delle avanguardie. Ci sono la Resistenza al nazismo, la prigionia nel campo di Buchenwald e la morte dei compagni di lotta. La prima esperienza sessuale con una donna che aveva il doppio della sua età («Io 17 e lei 34 anni») e l’impegno al fianco di Daniel Cohn-Bendit e di José Bové nel movimento “Europa ecologia”. Ci sono gli anni nella diplomazia francese e i suoi amici filosofi Edgar Morin e Peter Sloterdijk, citatissimi.
Contatto Hessel per telefono. Il vivavoce rende la comunicazione complessa. Lui scandisce le parole. Non è molto affabile. Il suo mantra è: «Indignazione e impegno, impegno e indignazione». Partiamo da qui, allora.
Lo sa che in Italia, dopo la pubblicazione di Indignatevi!, Pietro Ingrao, padre nobile della sinistra, ha scritto che indignarsi non è sufficiente?
«Sono d’accordo, ovviamente. Dopo l’indignazione serve l’impegno».
Che tipo d’impegno?
«Quello civile. “Cittadino” e “cittadina” sono termini importanti. Non possiamo più lasciare la vita pubblica nelle mani dei governi o delle forze economiche e finanziarie. È tempo che les citoyens tornino ad assumersi le loro responsabilità».
Lei ha scritto che il sistema globale può essere cambiato solo dal basso, anche cominciando dalle esperienze locali.
«Mi riferivo alle associazioni non governative, alle comunità ecologiche, ai partiti… Devono essere i cittadini, con una nuova militanza civile, a introdurre quegli elementi innovativi indispensabili al funzionamento delle nostre società».
Utopia.
«Le manifestazioni di massa che si sono tenute in Spagna, in Italia e in Portogallo mi sembrano molto concrete… la mobilitazione di Occupy Wall Street, Occupy the London Stock Exchange…».
Avranno un seguito?
«Segnano l’inizio di una mobilitazione senza la quale nessun cambiamento radicale è possibile. E per ora non si fermano: vanno avanti malgrado gli interventi della polizia».
Alcuni manifestanti hanno risposto all’intervento della polizia con la violenza. A Roma, il 15 ottobre scorso…
«La violenza va evitata sempre. Bisogna seguire la scia di Gandhi, di Gorbaciov e di Martin Luther King: una non-violenza molto determinata. Anche se l’uso della violenza a volte può sembrare inevitabile…».
Immagino che si riferisca alla Resistenza al nazismo a cui lei ha partecipato…
«…in ogni caso può essere solo una parentesi. A trionfare deve essere sempre la non-violenza».
Nel 2009 lei ha firmato un appello con i filosofi Peter Sloterdijk e con Paul Virilio a favore di “una politica della speranza”.
«Credo che tutto vada riformato. Non solo le istituzioni sclerotizzate e burocratizzate. Non solo l’economia e il sistema finanziario. Ma tutta la nostra vita: serve una metamorfosi. E alla base di ogni cambiamento c’è la speranza».
Dalla filosofia all’attualità: l’elezione di Hollande all’Eliseo, secondo lei, costituisce una speranza?
«Sì. Interpreto la sua vittoria come l’avanzare di un rinnovamento del pensiero democratico».
E Barack Obama? Lui rappresenta ancora una speranza o è stato una delusione?
«Per il momento Obama non è riuscito a soddisfare le aspettative di chi lo ha votato. La speranza è che una volta rieletto a novembre, si dimostri coraggioso. Come aveva dato l’impressione di essere all’inizio del primo mandato».
Oltre a quello della speranza, un suo Leitmotiv è la necessità di una politica “nuova”. Lei è favorevole a un rinnovo delle forme di rappresentanza?
«Ripeto: mi piacerebbe una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita democratica e al percorso politico di chi li rappresenta».
È quel che in Italia dicono i militanti del Movimento 5 Stelle di cui Beppe Grillo è testimonial e leader carismatico. Sa chi è Grillo?
«Non lo conosco personalmente. Ma quel che sta accadendo da voi è molto interessante».
In Italia, come in Grecia e in Francia, gli elettori si sono mostrati piuttosto scettici nei confronti dell’austerity merkeliana.
«L’austerità non può essere la soluzione dei nostri problemi economici. La signora Merkel ha ragione a insistere sulla necessità di una gestione prudente delle nostre finanze, ma è evidente che questo non basta: abbiamo bisogno di essere vigili, ma abbiamo anche bisogno di crescita».
Nel suo libro lei racconta che un giorno l’intellettuale/guerrigliero Régis Debray le ha sussurrato all’orecchio una citazione di Giuseppe Verdi: «Voltiamoci verso il passato, sarà un progresso». Ho pensato che fosse un’adesione alla teoria della decrescita di Serge Latouche.
«No, no. È una citazione in perfetta sintonia col fatto che io considero l’accumulo di memoria umana un vero tesoro. Il termine decrescita non è utile. Noi abbiamo bisogno di crescere».
Ma lei, elencando le forze che minacciano le democrazie, ha citato «la libido possidendi e lo sfruttamento criminale delle risorse naturali del nostro pianeta».
«È vero. E infatti penso che dobbiamo crescere… ma in modo compatibile con l’ecologia. L’ecologia esige sobrietà: si deve lavorare per porre fine agli sprechi. Bisogna riformare anche il modo con cui ci alimentiamo».
Come?
«Ogni società dovrebbe puntare sul proprio territorio. Quando l’agricoltura locale lo consente, si dovrebbero evitare le importazioni di prodotti primari».
In una conversazione con Gilles Vanderpooten, giovane indignato, intitolata “Impegnatevi”, c’è un parallelo tra l’impegno ecologista e quello della Resistenza contro il nazismo. Un’iperbole?
«Mi riferivo alla forza e alla necessità dell’impegno. È ovvio che il periodo storico sia ben diverso».
La cito: «L’indignazione di fronte a un oltraggio della dignità deve trasformarsi in un impegno effettivo se non vuole limitarsi ad essere una semplice testimonianza di rabbia». Quali sono, oggi, gli oltraggi compiuti nel mondo Occidentale?
«È oltraggioso il modo in cui le potenze finanziarie, le banche, gli speculatori, pesano sul buon funzionamento delle nostre democrazie. Sono questi gli avversari, gli oppressori, contro i quali i cittadini e le cittadine devono militare».
È vero che lei ha partecipato alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo?
«Ero un giovane diplomatico e ho assistito ai lavori. Sono stato al fianco di chi ha scritto quel testo. Ho beneficiato di quell’atmosfera e di quel lavoro».
Quale diritto aggiungerebbe, nel 2012, a quella Dichiarazione universale?
«All’epoca non avevamo pensato alla dimensione costituita dai rapporti dell’uomo con la natura, con il pianeta, con la terra».
Lei è un ex diplomatico. Ha ancora senso che gli Occidentali abbiamo le loro truppe in Afghanistan?
«Il ritiro dall’Afghanistan va negoziato in modo intelligente. È importante che dal 2014 l’Afghanistan sia in grado di avere una sua sicurezza, un suo esercito, una sua polizia».
Il libro che farebbe leggere a un giovane indignato?
«Terra-Patria di Edgar Morin. Anzi, gli farei leggere tutto Morin. E le opere Sloterdijk. E poi qualche articolo di Michel Rocard».
Lei ha detto più volte di amare la poesia.
«Nel mezzo del cammin di nostra vita… Dante. Ma anche Baudelaire, Rimbaud…».
La canzone preferita?
«Le chant des partisans».
È una chiamata alle armi resistenziale?
«Eh, sì».
Il film?
«Non saprei».
Pensavo rispondesse Jules e Jim.
«No, ecco. Quello proprio no. Non mi interessa più».

Vittorio Zincone
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Categorie : interviste
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