Roberto Calderoli (Sette – agosto 2012)

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C’è una sua citazione che spiega tutto. «La politica è teatro. Quando si alza il sipario, io faccio la mia parte». Roberto Calderoli, leghista bergamasco, ridacchiando srotola da anni battutacce pesantissime e dichiarazioni roventi sui musulmani, sugli omosessuali, sui terroni, sugli albanesi. L’ultima sugli stupratori: «Serve la castrazione chimica». Provocatore ridens. Nel Carroccio è stato segretario nazionale lombardo, “saggio della baita”, coordinatore. È stato ministro e da vice-presidente di Palazzo Madama si è fatto pure apprezzare per il suo rigore in aula. Rina Gagliardi, ex senatrice di Rifondazione comunista, di lui disse: «È come Dottor Jekyll e Mister Hyde».
Fedelissimo di Bossi, quando si occupava delle espulsioni dal partito per conto del Senatur, proclamò: «Se Umberto chiede di espellermi, io mi espello». Ora Calderoli è riuscito a sopravvivere (democristianamente?) alle “pulizie” maroniane e nella nuova Lega dei barbari sognanti è Coordinatore del Territorio. Quando gli chiedo chi preferirebbe come candidato del Carroccio per la presidenza della Regione Lombardia, non ha esitazioni: «Maroni sarebbe perfetto». In una recente intervista Calderoli ha dichiarato di essere rammaricato. Ha 56 anni e non vorrebbe essere ricordato solo per il “porcellum”, la legge elettorale che porta la sua firma e che lui stesso, di fronte al giornalista Enrico Mentana, definì ghignando una “porcata” voluta. «Pensi», dice, «doveva firmarla Pisanu».
E perché la firmò lei?
«Perché avevo coordinato i lavori della riforma. Alla Lega quella legge non interessava. La vollero soprattutto Casini e Fini. L’Udc premeva per il proporzionale, An era contro le preferenze».
Quella legge è diventata sinonimo di verticismo italiano: gli eletti in realtà vengono scelti dalle segreterie dei partiti e non dagli elettori.
«Pd e Pdl hanno avuto molti anni per cambiarla e non lo hanno fatto. E ora si parla di listini bloccati e di collegi uninominali. Saranno sempre e comunque le segreterie dei partiti a scegliere. Ricorda quando i Ds catapultarono Di Pietro come candidato nel collegio blindato del Mugello?».
Nei progetti che circolano si parla di uno sbarramento fatto apposta per voi: una soglia minima da raggiungere in tre Regioni. Dopo il porcellum, il carroccellum.
«Mi sembra una soluzione legittima».
Che aiuta la Lega a non scomparire dalla scena politica.
«Alle ultime amministrative abbiamo preso il 4,5%, ma ora i sondaggi ci danno al 7-8%».
Sondaggi “fai da te”?
«No, no. Credo davvero che il peggio sia passato».
C’è chi vi dà per finiti. Travolti dagli scandali e dalle diatribe interne. Bossi fotografato da solo al tavolo, snobbato dai militanti, è l’immagine di un declino.
«È un’immagine falsa. Una montatura».
È una montatura anche il conflitto feroce del Senatur con Maroni? A Sette il nuovo segretario del Carroccio ha detto che quella di Bossi è una carica affettiva.
«Bossi è come un padre per tutti noi».
Già. Ma Bossi conta o no? Ha ancora un peso politico?
«Gli sottoponiamo tutte le questioni. Il papà è il primo a cui chiedi consiglio, no? Certo può essere che lui la pensi in un modo e poi la decisione finale vada in un’altra direzione. Ma questo vuol dire che il movimento è maturato. Umberto è un po’ il nostro presidente della Repubblica».
Che cos’è che il popolo leghista non ha perdonato a Bossi? La paghetta di partito ai figli o, come scriveva qualche giorno fa sul Corriere Aldo Cazzullo, l’aver “puntellato la leadership morente di Berlusconi” e il non aver portato a casa il federalismo?
«Se ci avessero dato più tempo, il federalismo fiscale lo avremmo portato a termine, eccome. L’aspetto che più ha infastidito è stato il ruolo di Renzo».
Il Delfino che si è trasformato in Trota.
«Pensare a una successione familiare nella Lega era innaturale. Io, quando si pose la questione della candidatura di Renzo, andai da Umberto e gli dissi: “Fallo studiare. Fagli prima finire l’Università”. Credo di essere stato l’unico».
A quanto pare la laurea è arrivata. All’Università di Tirana.
«Di quel titolo di studi credo che non ne sapessero nulla nemmeno i Bossi. Anche perché… “dottore a Tirana”… fa ridere».
Fa ridere anche la scritta sul muro di Pontida che da “Padroni in casa nostra” diventa “Ladroni in casa nostra”. Il partito che ha portato il cappio in Parlamento, se sbaglia, paga doppio.
«Alla fine si è tutto ridimensionato rispetto a quanto uscito sui giornali. Ho letto addirittura che l’investimento in Tanzania si è rivelato redditizio».
Forse i militanti avrebbero comunque preferito vedere quei soldi spesi sul territorio.
«Intendevo dire che i conti del partito sono a posto. E che le cazzate sono state fatte solo in tempi recenti. Se Bossi ha una colpa è quella di essersi fidato delle persone sbagliate».
Ma voi colonnelli dove eravate mentre il cosiddetto “cerchio magico” prendeva il sopravvento?
«Lo stavo per dire: anche io, Maroni, Giorgetti dobbiamo farci un po’ carico di certe colpe».
Sui giornali uscì la notizia che lei aveva concordato con l’avvocato dell’ex tesoriere Francesco Belsito una versione comune sulla vicenda dei soldi del partito usati a titolo personale.
«Un’accusa ridicola. Ai miei sostenitori ho mostrato le fatture delle spese che venivano messe in discussione dai quotidiani».
Con Aldo Brancher siete finiti anche nelle cronache che parlavano degli affari in Tanzania.
«Della Tanzania io non sapevo niente».
La Stampa ha titolato: “Fiorani e Tanzania. Rispunta la coppia Calderoli e Brancher”. Riferendosi al fatto che lei e Brancher eravate stati indagati insieme per una storia di finanziamenti, ai tempi della scalata alla banca Antonveneta.
«Ci sono state molte strumentalizzazioni mediatiche per colpire un partito che è sempre stato una spina nel fianco del sistema».
Il sistema. Ora le riducono la scorta alla villa.
«È una scelta positiva. Non è bello che qualcuno chieda i documenti a tua madre quando ti viene a trovare».
Su Twitter sono scatenati: «Lo Stato ha speso 900mila euro in due anni per proteggere Calderoli dalle sue bravate con le magliette anti-Islam».
«Non so come abbiano calcolato quella cifra. Io le minacce le ho avute. E in ogni caso la vicenda della maglietta va chiarita».
Chiariamola: lei durante un’intervista al Tg ha mostrato una maglietta con una vignetta su Maometto.
«Era un disegno innocuo. C’erano tutti gli dèi delle religioni monoteiste, su una nuvola».
Per colpa di quella maglietta c’è stato un corteo a Bengasi davanti al consolato italiano. E sono morti dei manifestanti.
«Poi sono venuto a sapere che il corteo non c’entrava nulla con la mia maglietta».
Quel gesto le costò la poltrona di ministro delle Riforme.
«E nel 2008 non sono stato nominato vice-premier sempre perché non gradito a Gheddafi».
Sicuro? Per bocca di chi Gheddafi avrebbe fatto arrivare le sue preferenze sui ministri a Berlusconi?
«Attraverso l’Eni di Paolo Scaroni».
Ora siete voi leghisti che minacciate di autoescludervi dai Palazzi. Maroni dice che restare nella Capitale diventa meno rilevante una volta conquistata l’egemonia nelle Regioni del Nord.
«La nostra presenza in Parlamento si potrebbe alleggerire».
E lei come farà? È uno degli highlander dei palazzoni romani. È in Parlamento dal 1992.
«Le assicuro che gli highlander sono altri».
Si riferisce a Berlusconi?
«Secondo me Berlusconi non si ricandiderà premier. Vuole solo ricostruire un partito».
Lei ha raccontato di essere stato spesso ad Arcore. Ha mai partecipato alle famose cene burlesque?
«Magari. Purtroppo no. Le belle donne al massimo si materializzavano nelle barzellette di Silvio».
Berlusconi è un possibile alleato per la Lega maroniana?
«Difficilmente ci potremo alleare con chi ha appoggiato masochisticamente il governo Monti».
Di Monti lei ha detto: “È come Schettino”.
«Ho chiesto scusa… a Schettino».
Salva qualcuno del governo dei tecnici?
«Ma quali tecnici! Non riuscirebbero a fare una O col bicchiere. Salvo Antonio Catricalà per la sua capacità di muoversi nelle stanze della politica».
A cena col nemico?
«Con Luciano Violante. C’è stima reciproca».
Testiamo questa sintonia: Violante nella diatriba tra Quirinale e Procura di Palermo, difende il presidente Napolitano.
«Io no. Di Napolitano sono estimatore e amico, ma il suo interventismo degli ultimi mesi è insostenibile. E non è concepibile che vengano pubblicate per anni intercettazioni di ogni tipo e poi si protesti solo per quelle tra Mancino e Napolitano».
L’errore più grande che ha fatto Calderoli?
«Non aver fatto capire prima a Umberto che cosa gli succedeva intorno».
Il film preferito?
«Braveheart con Mel Gibson».
Ortodossia leghista. La canzone?
«Vasco Rossi, Lucio Battisti, i Genesis…».
Il libro?
«I promessi sposi, di Alessandro Manzoni».
Bossi ha detto che Manzoni era una canaglia. Conosce i confini dell’Albania?
«Ironizza ancora su Renzo? Grecia, Montenegro, Kosovo…».
Lei è un medico, specializzato in chirurgia maxillo-facciale. Quand’è l’ultima volta che ha operato qualcuno?
«Per qualche amico l’ho fatto anche recentemente. Dicono che ho una buona mano».
Conosce l’articolo 12 della Costituzione?
«È quello del Tricolore. Il simbolo di un’Italia che non condivido».
Sa quanto costa un litro di benzina?
«Uso il diesel: 1,6 euro circa».
L’euro…
«Presenteremo un referendum contro l’euro. Il 70% degli italiani non ne può più. Lo sa che nel 2005 a Pontida avevamo proposto l’introduzione di una moneta locale?».
Il celeberrimo calderolo.
«Beh, col senno di poi, il calderolo non era un’idea così stupida».

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