Jeremy Rifkin (Sette – aprile 2012)

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Jeremy Rifkin, 67 anni, economista americano e conferenziere globetrotter, è il guru della green economy. Il messaggero dell’ambientalismo produttivo. Quando qualche mese fa è venuto in Italia, gli indignados milanesi lo hanno abbracciato come un padre spirituale. Fosse per lui parlerebbe solo della “Terza Rivoluzione Industriale”. Che è un modello di sviluppo non basato sul petrolio, nonché il titolo del suo ultimo saggio. Rifkin cita la “sua” rivoluzione una quarantina di volte in due ore.
Lo contatto negli Stati Uniti. Parla a mitraglia. Appena introduco nella conversazione il tema della crisi europea, si scalda: «La crisi è un’opportunità». Gli ricordo che molti europei sono in affanno, che la Grecia è sempre sull’orlo del baratro, che l’Italia arranca e che la Spagna non si sente molto bene.
Rifkin, dove vede l’opportunità?
«Nell’accelerazione verso un nuovo modello industriale».
Per ora si vedono solo frenate. Non si accelera.
«Ho parlato sia con il Cancelliere tedesco Angela Merkel sia con il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso».
Che cosa gli ha suggerito?
«Che anche l’austerity deve seguire alcuni principi basilari».
Quali?
«Le misure non devono compromettere il livello di qualità della vita dei cittadini, non devono compromettere lo stato sociale e non devono compromettere gli sforzi europei per uno sviluppo sostenibile».
Procediamo con ordine. Il premier italiano, Mario Monti, ha reintrodotto la tassa sulle abitazioni (Imu) e posticipato l’età del pensionamento.
«Non mi sento di entrare nel dettaglio delle scelte di un governo. Ci sono molti sprechi. E molti tagli andavano e vanno fatti. Però, mi lasci dire una cosa: se tutte queste riforme resteranno isolate e non verranno accompagnate da un piano rivoluzionario per la crescita, non si andrà molto avanti».
Il ministro per le Infrastrutture, Corrado Passera, per alleggerire le bollette degli italiani sta pensando di ritoccare decisamente gli incentivi per l’energia rinnovabile e per il risparmio energetico.
«Ma gli incentivi hanno un impatto minimo sulle bollette! In Germania, le sovvenzioni pubbliche permettono di convertire gli edifici in piccole centrali elettriche. È l’esempio da seguire. Perché non esiste un modello alternativo se non quello che immagina un mondo senza petrolio».
In che senso, scusi?
«Nel 2007 il prezzo del petrolio ha cominciato a salire. Quando nel luglio del 2008 ha raggiunto i 147 dollari a barile, è stato l’inizio della fine».
Di che cosa?
«Della Seconda Rivoluzione Industriale, quella basata sul petrolio. In quel mese di luglio del 2008 l’intera economia globale si è fermata. Perché la gente ha smesso di comprare. Il prezzo del petrolio ha inciso su tutti gli altri prezzi».
Quell’estate in realtà è ricordata soprattutto per la crisi dei subprime e il collasso dei mercati finanziari.
«Erano scosse di assestamento. E i governi di tutto il mondo stanno affrontando quelle scosse imponendo l’austerity. Ma il terremoto vero è quello energetico. I prezzi dei combustibili fossili non scenderanno. Per questo serve una nuova rivoluzione e un nuovo piano economico planetario».
Punto uno del piano.
«Trasformare ogni edificio di ogni città in una piccola centrale elettrica, capace di produrre energia. Fino a realizzare una rete infrastrutturale energetica. Si potrebbe fare un’analogia con il sistema dei computer negli anni Settanta: allora c’erano pochi grandi computer e poche aziende che si scambiavano informazioni tra loro. Poi è arrivato Steve Jobs e i computer hanno cominciato a diffondersi in tutto il pianeta. Ora sono in Rete. Con l’energia si può fare la stessa cosa. È importante che anche l’Italia cominci a lavorare in questa direzione. Casa per casa. Si possono creare milioni di nuovi posti di lavoro e un nuovo modello di business. I giovani, che con Internet vivono in Rete, secondo me sono pronti a mettere in atto questa rivoluzione. C’è da capire se anche le leadership politiche lo sono e lo saranno. Bisogna evitare di commettere gli errori che sta facendo Obama».
Quali errori, scusi? Obama è considerato un presidente ecosostenibile.
«Obama parla di economia verde. Ma poi sbaglia. Ha finanziato fabbriche, centrali fotovoltaiche… non è andato oltre. Angela Merkel è più avanti».
Merkel meglio di Obama?
«Al momento sì».
Rifkin, ma lei non era di sinistra? Merkel è una leader di centro, una cristiano-democratica, Obama invece è una bandiera tra i liberal di sinistra.
«Tendo a superare questi confini. In Germania ci sono grandi aziende che investono nella giusta direzione. Lì si sta lavorando pure a una rete di distributori a idrogeno. Le infrastrutture per le macchine del futuro».
Le automobili del futuro andranno a idrogeno?
«O saranno elettriche. Credo che ci sarà un boom delle auto elettriche tra il 2014 e il 2015. E non penso che nel 2030 ci sarà più una produzione di macchine con motore a combustione interna».
La Germania è l’economia più solida d’Europa. È normale che riesca a investire in progetti futuribili. Ma secondo lei è davvero possibile farlo anche in Italia, dove la crisi gode di ottima salute?
«Ribaltiamo il punto di vista: come si fa a diventare più forti e solidi se non si affronta mai una rivoluzione economica? La domanda che farei al vostro premier è questa: qual è la vostra proposta per crescere? Quella di portare avanti un modello economico vecchio, legato a una energia costosissima con tecnologie superate?».
Lei ha mai incontrato il premier Monti?
«No. È uno dei pochi leader europei che non ho conosciuto. Sono in buoni rapporti con Prodi, ho parlato con Zapatero e ho da poco incontrato François Hollande, il candidato socialista alla presidenza francese. Farei volentieri con Monti una discussione privata. Anche perché sulle “rinnovabili” avete una posizione invidiabile».
In che senso?
«L’Italia potrebbe essere per le rinnovabili quello che l’Arabia Saudita è stata per il petrolio».
Non esageriamo.
«C’è il sole. Tanto. C’è il vento che batte dal Tirreno e dall’Adriatico. C’è un sistema regionale e delle autonomie che sarebbe perfetto per lo scambio interno di energia. La vostra scelta, oggi, è tra il posizionarvi al tramonto della vecchia rivoluzione industriale e l’essere satelliti protagonisti della nuova».
Azienda Italia. C’è chi sostiene che la nostra unica rivoluzione possibile sia quella legata allo sviluppo del turismo e alla valorizzazione dei beni culturali.
«Come si fa a focalizzarsi sul turismo quando le infrastrutture cadenti hanno un impatto negativo sullo stesso turismo? Come si può pensare di essere attrattivi se i prezzi dei trasporti, del cibo e degli alloggi sono troppo cari proprio perché legati a una vecchia economia petrolifera? I soldi in realtà ci sono: dovete solo decidere come spenderli. E poi c’è la politica…».
Parla dei nostri partiti?
«La polarizzazione delle posizioni tra partiti, destra sinistra sinistra destra, va superata. È frustrante vedere le competenze dei giovani laureati e dei vostri talenti bloccate in questo modo. Ho parlato con tanti ragazzi quando sono venuto in Italia. Molti mi hanno detto: “Qui non c’è futuro”. Be’, forse non dovrei dirlo perché non sono italiano, ma è ora che la politica si muova per scatenare tutta la creatività inespressa».
Una rivoluzione come quella che lei immagina è possibile senza una forte partecipazione della Cina?
«Il caso della Cina è interessante. Sa che cosa mi ha detto Angela Merkel quando le ho illustrato la prima volta la mia idea?».
Che cosa?
«Che la Germania era il luogo perfetto: per la sua storia federale. In effetti la Terza Rivoluzione Industriale funziona meglio nei Paesi democratici in cui i poteri sono distribuiti anche localmente».
Quindi non in Cina?
«Be’, nei Paesi autoritari dove il potere è ancora molto centralizzato funziona meno».
Perché?
«Perché la Terza Rivoluzione Industriale rende indipendenti i poteri locali dal punto di vista energetico. Si va verso un sistema più democratico. E per questo rivoluzionario. In Asia sono stato contattato dalla Federazione delle Camere di Commercio indiane per supervisionare un progetto di ristrutturazione delle loro imprese».
Pensa davvero che la sua Terza Rivoluzione Industriale sia realizzabile nel breve periodo?
«Nel breve periodo bisogna lavorare alla transizione morbida tra il vecchio e il nuovo. Ma la via è una. Molti economisti concordano sul fatto che non sia il basso costo del lavoro a decretare il successo di un’azienda e che è solo con l’efficienza energetica che la produttività aumenta enormemente. La scelta per le aziende allora è se fallire entro i prossimi 25 anni o lavorare per il proprio futuro».
Faccia una previsione su quando scatterà la “sua” Terza Rivoluzione?
«I veri protagonisti saranno i trenta/quarantenni di oggi, che sono cresciuti in Rete e che saranno al potere tra 20 anni. Non avranno alternativa. Lo so per esperienza personale che le aziende non possono più sopportare costi dell’energia così alti».
Perché “per esperienza personale”?
«Nel 1950 mio padre avviò una delle primissime aziende per la produzione di sacchetti di plastica».
Una produzione molto inquinante.
«In quel periodo era un prodotto nuovo e tutti volevano la plastica. Mio padre aveva una quindicina di dipendenti. Negli Anni Sessanta la fabbrica passò nelle mani di mio fratello. Be’, quella piccola azienda è fallita proprio nel 2008 a causa del prezzo troppo elevato dell’energia».
Raccontato così sembra che lei ce l’abbia col petrolio per ragioni personali.
«No. Già nel 1973 in occasione del duecentesimo anniversario del Boston Tea Party (simbolo della ribellione degli americani contro gli inglesi, ndr) organizzai una manifestazione contro le compagnie petrolifere».
Sono trent’anni che ha gli stessi avversari.
«Eh eh. Sì. Ma molti amministratori delegati delle compagnie petrolifere li conosco bene. Alcuni investono pure nelle energie alternative. Ma dovrebbero fare molto di più».
Le faccio qualche domanda sulla sua vita.
«Ho 67 anni, tra poco sono un vecchietto. Che cosa le può interessare di me?».
Che studi ha fatto?
«Ho studiato economia in Pennsylvania e relazioni internazionali a Boston».
Il libro preferito?
«Ne ho talmente tanti che non riesco a sceglierne uno».
Il film?
«Il Dottor Zivago. È un gran film, poetico, sulla sofferenza di ciascun essere umano».
Conosce i confini dell’Afghanistan?
«Certo. Pakistan, Cina…».
Le truppe americane e quelle italiane sono in Afghanistan da più di dieci anni.
«Io mi sono avvicinato all’attivismo politico proprio grazie a una marcia contro la guerra del Vietnam. Restare in Afghanistan non ha senso. È una guerra criminale».
Sa quanto costa un litro di benzina?
«Lo so in galloni. Un gallone (3,78 litri) costa 3,82 dollari».
Le pare tanto? In Italia siamo arrivati a due euro al litro.
«Qui si dice che Obama potrebbe perdere le elezioni a causa del prezzo della benzina».
www.vittoriozincone.it
© RIPRODUZIONE RISERVATAGià si parlava di Nobel. Jeremy Rifkin, 67 anni, economista americano e conferenziere globetrotter, è il guru della green economy. Il messaggero dell’ambientalismo produttivo. Quando qualche mese fa è venuto in Italia, gli indignados milanesi lo hanno abbracciato come un padre spirituale. Fosse per lui parlerebbe solo della “Terza Rivoluzione Industriale”. Che è un modello di sviluppo non basato sul petrolio, nonché il titolo del suo ultimo saggio. Rifkin cita la “sua” rivoluzione una quarantina di volte in due ore.
Lo contatto negli Stati Uniti. Parla a mitraglia. Appena introduco nella conversazione il tema della crisi europea, si scalda: «La crisi è un’opportunità». Gli ricordo che molti europei sono in affanno, che la Grecia è sempre sull’orlo del baratro, che l’Italia arranca e che la Spagna non si sente molto bene.
Rifkin, dove vede l’opportunità?
«Nell’accelerazione verso un nuovo modello industriale».
Per ora si vedono solo frenate. Non si accelera.
«Ho parlato sia con il Cancelliere tedesco Angela Merkel sia con il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso».
Che cosa gli ha suggerito?
«Che anche l’austerity deve seguire alcuni principi basilari».
Quali?
«Le misure non devono compromettere il livello di qualità della vita dei cittadini, non devono compromettere lo stato sociale e non devono compromettere gli sforzi europei per uno sviluppo sostenibile».
Procediamo con ordine. Il premier italiano, Mario Monti, ha reintrodotto la tassa sulle abitazioni (Imu) e posticipato l’età del pensionamento.
«Non mi sento di entrare nel dettaglio delle scelte di un governo. Ci sono molti sprechi. E molti tagli andavano e vanno fatti. Però, mi lasci dire una cosa: se tutte queste riforme resteranno isolate e non verranno accompagnate da un piano rivoluzionario per la crescita, non si andrà molto avanti».
Il ministro per le Infrastrutture, Corrado Passera, per alleggerire le bollette degli italiani sta pensando di ritoccare decisamente gli incentivi per l’energia rinnovabile e per il risparmio energetico.
«Ma gli incentivi hanno un impatto minimo sulle bollette! In Germania, le sovvenzioni pubbliche permettono di convertire gli edifici in piccole centrali elettriche. È l’esempio da seguire. Perché non esiste un modello alternativo se non quello che immagina un mondo senza petrolio».
In che senso, scusi?
«Nel 2007 il prezzo del petrolio ha cominciato a salire. Quando nel luglio del 2008 ha raggiunto i 147 dollari a barile, è stato l’inizio della fine».
Di che cosa?
«Della Seconda Rivoluzione Industriale, quella basata sul petrolio. In quel mese di luglio del 2008 l’intera economia globale si è fermata. Perché la gente ha smesso di comprare. Il prezzo del petrolio ha inciso su tutti gli altri prezzi».
Quell’estate in realtà è ricordata soprattutto per la crisi dei subprime e il collasso dei mercati finanziari.
«Erano scosse di assestamento. E i governi di tutto il mondo stanno affrontando quelle scosse imponendo l’austerity. Ma il terremoto vero è quello energetico. I prezzi dei combustibili fossili non scenderanno. Per questo serve una nuova rivoluzione e un nuovo piano economico planetario».
Punto uno del piano.
«Trasformare ogni edificio di ogni città in una piccola centrale elettrica, capace di produrre energia. Fino a realizzare una rete infrastrutturale energetica. Si potrebbe fare un’analogia con il sistema dei computer negli anni Settanta: allora c’erano pochi grandi computer e poche aziende che si scambiavano informazioni tra loro. Poi è arrivato Steve Jobs e i computer hanno cominciato a diffondersi in tutto il pianeta. Ora sono in Rete. Con l’energia si può fare la stessa cosa. È importante che anche l’Italia cominci a lavorare in questa direzione. Casa per casa. Si possono creare milioni di nuovi posti di lavoro e un nuovo modello di business. I giovani, che con Internet vivono in Rete, secondo me sono pronti a mettere in atto questa rivoluzione. C’è da capire se anche le leadership politiche lo sono e lo saranno. Bisogna evitare di commettere gli errori che sta facendo Obama».
Quali errori, scusi? Obama è considerato un presidente ecosostenibile.
«Obama parla di economia verde. Ma poi sbaglia. Ha finanziato fabbriche, centrali fotovoltaiche… non è andato oltre. Angela Merkel è più avanti».
Merkel meglio di Obama?
«Al momento sì».
Rifkin, ma lei non era di sinistra? Merkel è una leader di centro, una cristiano-democratica, Obama invece è una bandiera tra i liberal di sinistra.
«Tendo a superare questi confini. In Germania ci sono grandi aziende che investono nella giusta direzione. Lì si sta lavorando pure a una rete di distributori a idrogeno. Le infrastrutture per le macchine del futuro».
Le automobili del futuro andranno a idrogeno?
«O saranno elettriche. Credo che ci sarà un boom delle auto elettriche tra il 2014 e il 2015. E non penso che nel 2030 ci sarà più una produzione di macchine con motore a combustione interna».
La Germania è l’economia più solida d’Europa. È normale che riesca a investire in progetti futuribili. Ma secondo lei è davvero possibile farlo anche in Italia, dove la crisi gode di ottima salute?
«Ribaltiamo il punto di vista: come si fa a diventare più forti e solidi se non si affronta mai una rivoluzione economica? La domanda che farei al vostro premier è questa: qual è la vostra proposta per crescere? Quella di portare avanti un modello economico vecchio, legato a una energia costosissima con tecnologie superate?».
Lei ha mai incontrato il premier Monti?
«No. È uno dei pochi leader europei che non ho conosciuto. Sono in buoni rapporti con Prodi, ho parlato con Zapatero e ho da poco incontrato François Hollande, il candidato socialista alla presidenza francese. Farei volentieri con Monti una discussione privata. Anche perché sulle “rinnovabili” avete una posizione invidiabile».
In che senso?
«L’Italia potrebbe essere per le rinnovabili quello che l’Arabia Saudita è stata per il petrolio».
Non esageriamo.
«C’è il sole. Tanto. C’è il vento che batte dal Tirreno e dall’Adriatico. C’è un sistema regionale e delle autonomie che sarebbe perfetto per lo scambio interno di energia. La vostra scelta, oggi, è tra il posizionarvi al tramonto della vecchia rivoluzione industriale e l’essere satelliti protagonisti della nuova».
Azienda Italia. C’è chi sostiene che la nostra unica rivoluzione possibile sia quella legata allo sviluppo del turismo e alla valorizzazione dei beni culturali.
«Come si fa a focalizzarsi sul turismo quando le infrastrutture cadenti hanno un impatto negativo sullo stesso turismo? Come si può pensare di essere attrattivi se i prezzi dei trasporti, del cibo e degli alloggi sono troppo cari proprio perché legati a una vecchia economia petrolifera? I soldi in realtà ci sono: dovete solo decidere come spenderli. E poi c’è la politica…».
Parla dei nostri partiti?
«La polarizzazione delle posizioni tra partiti, destra sinistra sinistra destra, va superata. È frustrante vedere le competenze dei giovani laureati e dei vostri talenti bloccate in questo modo. Ho parlato con tanti ragazzi quando sono venuto in Italia. Molti mi hanno detto: “Qui non c’è futuro”. Be’, forse non dovrei dirlo perché non sono italiano, ma è ora che la politica si muova per scatenare tutta la creatività inespressa».
Una rivoluzione come quella che lei immagina è possibile senza una forte partecipazione della Cina?
«Il caso della Cina è interessante. Sa che cosa mi ha detto Angela Merkel quando le ho illustrato la prima volta la mia idea?».
Che cosa?
«Che la Germania era il luogo perfetto: per la sua storia federale. In effetti la Terza Rivoluzione Industriale funziona meglio nei Paesi democratici in cui i poteri sono distribuiti anche localmente».
Quindi non in Cina?
«Be’, nei Paesi autoritari dove il potere è ancora molto centralizzato funziona meno».
Perché?
«Perché la Terza Rivoluzione Industriale rende indipendenti i poteri locali dal punto di vista energetico. Si va verso un sistema più democratico. E per questo rivoluzionario. In Asia sono stato contattato dalla Federazione delle Camere di Commercio indiane per supervisionare un progetto di ristrutturazione delle loro imprese».
Pensa davvero che la sua Terza Rivoluzione Industriale sia realizzabile nel breve periodo?
«Nel breve periodo bisogna lavorare alla transizione morbida tra il vecchio e il nuovo. Ma la via è una. Molti economisti concordano sul fatto che non sia il basso costo del lavoro a decretare il successo di un’azienda e che è solo con l’efficienza energetica che la produttività aumenta enormemente. La scelta per le aziende allora è se fallire entro i prossimi 25 anni o lavorare per il proprio futuro».
Faccia una previsione su quando scatterà la “sua” Terza Rivoluzione?
«I veri protagonisti saranno i trenta/quarantenni di oggi, che sono cresciuti in Rete e che saranno al potere tra 20 anni. Non avranno alternativa. Lo so per esperienza personale che le aziende non possono più sopportare costi dell’energia così alti».
Perché “per esperienza personale”?
«Nel 1950 mio padre avviò una delle primissime aziende per la produzione di sacchetti di plastica».
Una produzione molto inquinante.
«In quel periodo era un prodotto nuovo e tutti volevano la plastica. Mio padre aveva una quindicina di dipendenti. Negli Anni Sessanta la fabbrica passò nelle mani di mio fratello. Be’, quella piccola azienda è fallita proprio nel 2008 a causa del prezzo troppo elevato dell’energia».
Raccontato così sembra che lei ce l’abbia col petrolio per ragioni personali.
«No. Già nel 1973 in occasione del duecentesimo anniversario del Boston Tea Party (simbolo della ribellione degli americani contro gli inglesi, ndr) organizzai una manifestazione contro le compagnie petrolifere».
Sono trent’anni che ha gli stessi avversari.
«Eh eh. Sì. Ma molti amministratori delegati delle compagnie petrolifere li conosco bene. Alcuni investono pure nelle energie alternative. Ma dovrebbero fare molto di più».
Le faccio qualche domanda sulla sua vita.
«Ho 67 anni, tra poco sono un vecchietto. Che cosa le può interessare di me?».
Che studi ha fatto?
«Ho studiato economia in Pennsylvania e relazioni internazionali a Boston».
Il libro preferito?
«Ne ho talmente tanti che non riesco a sceglierne uno».
Il film?
«Il Dottor Zivago. È un gran film, poetico, sulla sofferenza di ciascun essere umano».
Conosce i confini dell’Afghanistan?
«Certo. Pakistan, Cina…».
Le truppe americane e quelle italiane sono in Afghanistan da più di dieci anni.
«Io mi sono avvicinato all’attivismo politico proprio grazie a una marcia contro la guerra del Vietnam. Restare in Afghanistan non ha senso. È una guerra criminale».
Sa quanto costa un litro di benzina?
«Lo so in galloni. Un gallone (3,78 litri) costa 3,82 dollari».
Le pare tanto? In Italia siamo arrivati a due euro al litro.
«Qui si dice che Obama potrebbe perdere le elezioni a causa del prezzo della benzina».

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