Giorgio Gori (Sette – luglio 2012)

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Giorgio Gori, 52 anni, ex cobra sorridente della tv italiana, ex manager Mediaset, ex imprenditore, da qualche mese è al fianco del rottamatore Matteo Renzi nell’assedio al fortino del Pd. Lo incontro in una stanzetta semibuia che lui chiama “il mio antro”. Si trova nel palazzo milanese dove ha sede anche Magnolia, la società di produzione di cui Gori è stato fondatore. Domanda: se ha un ufficio qui, vuol dire che si occupa ancora di tv? Replica secca: «È solo un appoggio logistico, giusto per incrociare ogni tanto qualche faccia amica. Non ho alcun ruolo». Sulla scrivania ci sono alcune fotocopie con un discorso di Obama: «Me l’ha stampato l’insegnante con cui tengo allenato il mio inglese». Alle pareti c’è una stampa che rappresenta Bergamo, alcuni ritratti dei suoi tre figli e un collage scherzoso che ricorda il passato da “dio della tv” di Gori. I critici di Renzi, quando vogliono mettere in risalto la presunta indole berlusconiana del sindaco di Firenze, fanno leva anche su quel passato di Gori. Lo ha fatto Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, con un pezzo intitolato “Renzinvest” nel novembre 2011. E lo ha fatto Miguel Gotor, su Repubblica, nei giorni scorsi, definendo Gori “raffinata testa d’uovo del berlusconismo degli anni ruggenti”, mentre spuntava un fanta-piano del Cavaliere per far eleggere Renzi.
Si avvicina il momento dell’annuncio delle primarie e partono le bordate.
«Nulla che non mi aspettassi. Ma sono argomenti da poco».
Si cita il suo passato a Mediaset per attaccare Renzi.
«Fu D’Alema a definire quell’azienda “un patrimonio del Paese”. Io ho lasciato Mediaset nel 2001, ben undici anni fa, ma sono fiero di averci lavorato».
Fassina, responsabile economico del Pd, ha definito Renzi una figura minoritaria, un ex portaborse…
«Lo insultano, pensando di nuocergli. Invece danneggiano il Pd: il confronto di idee non può diventare guerra fratricida».
Rosy Bindi ha detto che per far partecipare Renzi alle primarie si dovrebbe piegare lo Statuto del partito…
«Non è per Renzi che lo Statuto va emendato, ma per Bersani e per chiunque deciderà di partecipare alle primarie. Ci aspettano le elezioni politiche. Possiamo arrivarci con una linea e una candidatura votate nel 2009? Io dico di no».
Bindi, D’Alema, Marini, Fioroni, Melandri… Davvero volete tutti questi leader fuori dal Parlamento?
«Sono persone che hanno fatto moltissimo e che potranno continuare a dare un contributo prezioso anche fuori dal Parlamento. Ma se vogliamo che la gente ricominci a fidarsi dei partiti è necessario un profondo rinnovamento, a partire dal Pd».
Perché Renzi premier sì e Bersani no?
«Bersani è solido, ma rappresenta il nostro passato. È il garante di un sistema di conservazione interno al Pd e il simbolo di un’offerta politica che fatica ad allargarsi. Davvero pensiamo di presentarci agli italiani come il partito dei lavoratori dipendenti?».
Casini ha proposto un’alleanza a Bersani.
«A Casini sta bene il Pd di Bersani e Fassina, un partito che non raccoglie un voto fuori dal suo recinto. Con Renzi non sarebbe la stessa cosa».
Zedda, Pisapia, De Magistris, Doria… Le ultime e le penultime amministrative fanno pensare che agli elettori del Pd piaccia la foto di Vasto, quella in cui il Pd flirta con Sel e Idv.
«Più che una linea politica, quei nomi rappresentano il rinnovamento della politica».
Se vincesse Renzi, lei farebbe il ministro?
«Renzi non è ancora candidato alle primarie. E se lo fosse, dovrebbe vincerle. E poi vincere alle politiche. Di che cosa parliamo?».
Che cosa sta facendo, ora, per Renzi?
«Ho incontrato molte persone in tutta Italia, ho cercato di tenere vivi i contatti con chi era venuto a Firenze per partecipare al Big Bang. Li ho chiamati e sono andato a trovarli».
«Pronto sono Giorgio Gori…».
«Esatto. E poi ho studiato».
Che cosa?
«Di tutto, di più. Non so… Nelle ultime settimane ho letto un libro sui “comuni virtuosi”, un saggio sul futuro dell’artigianato, una biografia di Blair, l’Inchiesta sul lavoro di Pietro Ichino, Gramsci e Turati. Le due sinistre…».
A Renzi si rimprovera di essere poco di sinistra. Ha detto che dell’articolo 18 non gli interessa più di tanto.
«Anche a Turati rimproveravano di essere poco di sinistra. Il punto non è l’articolo 18. Il punto è dire, finalmente, che è di sinistra favorire la creazione di posti di lavoro e la competitività delle imprese. È di sinistra battersi per il merito, contro le rendite di posizione dei peggiori. È di sinistra ridurre la burocrazia e abbassare le tasse che gravano sul lavoro».
Un pregio e un difetto di Renzi?
«È coraggioso e ha un grande intuito politico. Difetti? È allergico a qualsiasi genere di pianificazione. Io, invece, sono fissato con la pianificazione».
L’ex tesoriere della Margherita, Lusi, sostiene di aver brigato per dare soldi anche a Renzi.
«Lusi ha gettato fango, forse sperando di garantirsi un salvagente».
Lei ha incontrato resistenze nel Pd?
«Qualcuna. I partiti sono case in cui non entra quasi più nessuno. Bussi e rischi che ti guardino storto. Servirebbero più aperture e meno gerarchie. Sarebbe anche un modo per disinnescare il Movimento 5 Stelle e recuperare consensi».
Il Pd e Bersani si sono fatti strumento della cosiddetta società civile e hanno proposto per il Cda della Rai Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo. Lei ha commentato su Twitter: «La competenza è un optional».
«Sono due eccellenti persone, ma sono state scelte per il loro valore simbolico. La Rai ha bisogno d’altro. Fossi stato in Bersani mi sarei preso la responsabilità di fare i nomi di due persone competenti, senza delegare a nessuno la scelta e impegnandomi piuttosto a dimenticare il loro numero di telefono. Così è sembrata la mossa del lottizzatore pentito».
Lei andrebbe a dirigere la Rai?
«Non ora, oggi la mia partita è un’altra. Non ho inviato il mio curriculum».
Monti ha scelto Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi.
«Sono numeri uno nel loro campo, ma perché due banchieri a dirigere un grande gruppo televisivo?».
Lei chi metterebbe a dirigere la Rai?
«Dei professionisti. Gente che sa che cos’è una moderna azienda editoriale».
Fuori i nomi.
«Maurizio Carlotti, che ora guida il gruppo spagnolo Antena 3 dopo essere stato protagonista del rilancio di Telecinco».
Telecinco? Un ex berlusconiano!
«Se è per questo ha anche un passato da dirigente del Pci. Oppure Paolo Vasile, il miglior manager di Mediaset, da 16 anni a capo proprio del gruppo Telecinco. Oppure Marco Bassetti».
Bassetti, l’ex amministratore delegato della Endemol partecipata da Mediaset e marito di Stefania Craxi? Grandinerebbero polemiche.
«Bassetti è stato il numero uno del più importante gruppo di contenuti tv del mondo. Non potrebbe fare bene alla Rai?».
Chi è il suo erede? Un giovane produttore su cui Gori scommetterebbe?
«Ilaria Dallatana».
Non vale. Dallatana è la sua ex socia e ha preso il suo posto a Magnolia.
«Ha preso il mio posto perché è la più brava! Allora Francesca Canetta (altra ex socia, ndr). Oppure Lorenzo Mieli, amministratore delegato di Fremantle Italia».
Lei quando ha cominciato a lavorare in tv?
«Dopo il liceo. Quando è nata Bergamo Tv».
È vero che conduceva una trasmissione giornalistica che si chiamava Davide e Golia?
«Sì, e spero con tutto il cuore che non ce ne siano tracce in giro! Ho lavorato anche in radio, poi mi sono messo a fare il giornalista».
Faceva anche politica?
«Al liceo ero tra gli animatori di un gruppo lib-lab che si chiamava Azione e Libertà. A 18 anni votavo socialista».
Allora i socialisti si dividevano tra lombardiani e craxiani.
«Io ero craxiano».
Era necessario per lavorare nelle reti di Berlusconi?
«Non scherziamo. Nel gruppo di Berlusconi ci sono arrivato per pura fortuna».
Dicono tutti così.
«Dopo che Vittorio Feltri mi aveva licenziato da Bergamo Oggi, venni a sapere che Lorenzo Pellicioli, amico e bergamasco come me, era diventato un big di Rete 4, la tv della Mondadori pre-berlusconiana… Cominciai a tempestarlo di telefonate. Mi rispose dopo qualche giorno e mi propose di fare da assistente al genio Carlo Freccero. Dopo qualche mese, Rete 4 venne ceduta a Berlusconi. Intervenne la botta di fortuna».
Cioè?
«Roberto Giovalli, che allora era responsabile dei palinsesti di Fininvest, trovò nel suo ufficio uno scatolone di cartacce arrivate da Rete 4. Tra queste c’erano alcune paginette che avevo scritto sulla serie A-Team. Gli piacquero e mi mandò a chiamare».
Il Freccero anni Ottanta…
«Da lui ho imparato ad avere una passione totalizzante per la tv. Da Giovalli la precisione dei numeri, dati d’ascolto azzeccati alla virgola».
Da Berlusconi che cosa ha imparato?
«A circondarmi di persone più capaci di me, anche se molto diverse. Una lezione che lui per primo sembra aver dimenticato. Allora era la regola, e lui un’autentica spugna».
Ha mai litigato con Berlusconi?
«Il periodo a cavallo tra la fine del ’93 e le elezioni del ’94 fu piuttosto faticoso».
Sono i mesi della discesa in campo. Berlusconi schierò le sue reti in campagna elettorale.
«Pensò di schierare anche Canale 5, ma incontrò la resistenza mia, di Mentana e di Maurizio Costanzo, sostenuti da Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Non ne fu contento. Trascorso quel periodo, e fino al 2001, ho lavorato senza problemi. Lui, il Dottore, non s’è più fatto sentire».
Marco Travaglio le ha rimproverato la messa in onda di trasmissioni come Sgarbi quotidiani o Fatti e misfatti, bandiere del berlusconismo in lotta con la magistratura.
«Su Canale 5 c’era Sgarbi ma c’erano anche Mentana, Striscia la notizia e Costanzo. Su Italia 1 Liguori conduceva Fatti e misfatti, ma con lui, ben più visti di lui, c’erano Le Iene, La Gialappa’s…».
La vulgata sostiene che quelle fossero le foglie di fico di Berlusconi, il contentino per chi gridava al conflitto di interessi.
«Non credo che Michele Santoro e Serena Dandini, quando erano a Mediaset, si siano mai sentiti delle foglie di fico. Forse aveva ragione Berlusconi a lamentarsi».
Lei ci andrebbe a dirigere le reti Mediaset al posto di Pier Silvio?
«Non mi hanno chiamato negli ultimi dodici anni, perché dovrebbero farlo ora?».
La Tv secondo Gori: Il Grande Fratello, Le Iene, Striscia la notizia, L’Isola dei famosi, X Factor…
«Si ricordano i programmi che hanno fatto più rumore. E a me è sempre piaciuto il rumore!».
Una Tv fatta di camere nascoste, case sorvegliate…
«Non solo! I linguaggi sono stati diversi. Il filo riconoscibile è il tentativo di raccontare una realtà diversa da quella pulita e composta della tv tradizionale. E poi è una tv che cerca l’interazione con gli altri media, che li provoca e si mette al centro della piazza, l’unica salvezza della tv generalista».
C’è una trasmissione Mediaset degli ultimi anni che lei non avrebbe mandato in onda?
«Gli speciali “hot” de La Pupa e il Secchione: intimità impacchettata, plastificata. Voyeurismo senza giustificazione, imbarazzante. E poi una montagna di altri programmi, non solo Mediaset, fatti proprio male».
Qual è la trasmissione che avrebbe voluto produrre?
«Anima mia, con Fabio Fazio e Claudio Baglioni. Si capisce che sono un po’ anziano, eh?».
Lei a chi farebbe condurre Sanremo?
«A Fiorello. Il migliore in circolazione».
A cena col nemico?
«Con Bersani. Proprio perché non è un nemico».
Bersani vince le primarie, vince le elezioni e le propone un ministero. Accetta?
«Ri-daje. Ma com’è che stiamo sempre a parlare di poltrone?».
Il film preferito?
«Jesus Christ Superstar. L’ho visto nove volte, al cinema».
La canzone?
«Your Song di Elton John».
Il libro?
«Hotel New Hampshire di John Irving. C’è tutto: si piange e si ride».
Sa quanto costa un litro di latte?
«Lo butto nel carrello senza guardare».
I confini di Israele?
«Egitto, Libano, Giordania, Siria».
Chi era Paolo Sarpi?
«Il signore a cui è intitolato il liceo che ho frequentato e…».
…un teologo del ’500. Conosce l’articolo 12 della Costituzione?
«No».
È quello che descrive il Tricolore.
«Simbolo della generosità che ci tiene insieme. Quando sventola e si canta l’inno, è sempre un’emozione fortissima».
Una volta ha detto che non le importava nulla della Nazionale perché era un’esclusiva Rai.
«Battuta… d’altri tempi. Tifo liberamente per gli Azzurri».

Vittorio Zincone
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