Damiano Tommasi (Sette – agosto 2011)

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Damiano Tommasi, 37 anni, è stato uno dei più abili estirpatori di palloni dai piedi degli avversari e uno di quei giocatori che ogni allenatore vorrebbe in campo: pochi sputi, poche chiacchiere, pochi tatuaggi e moltissima sostanza. Carlo Zampa, speaker della Roma allo stadio Olimpico, lo presentava ai tifosi come “anima candida”. Perché faceva e fa beneficenza, è impegnato nel sociale ed è obiettore di coscienza.
“Anima candida” ora è diventato presidente del sindacato calciatori, prendendo il posto di Sergio Campana, il Kim II Sung dell’Assocalciatori (Aic), rimasto in carica più di quarant’anni.
Tommasi arriva in un momento non felicissimo per il calcio italiano: giocatori che tramano per truccare i risultati, stadi come trincee, genitori paonazzi che sbraitano per incitare il loro piccolo Totti durante le partitelle della scuola calcio. Il dibattito fiscale sul contributo di solidarietà e una complicatissima trattativa per il rinnovo del contratto dei professionisti del pallone, che ha messo in bilico l’inizio del campionato.
Lo incontro in una piazza di Trento. Tommasi ha il sorriso incastonato tra la pioggia di riccioli e la barba incolta. Non parla, sussurra con cadenza veneta. Dato che ha trascorso l’estate in giro per ritiri e ha annusato il clima degli spogliatoi di tutte le squadre, per prima cosa gli chiedo un pronostico.
Chi vince il Campionato 2011/2012?
«L’Inter. Perché ha preso un allenatore che può dare equilibrio psicologico alla squadra».
L’allenatore Gian Piero Gasperini non è esattamente una star del calcio.
«Ho sentito molti giocatori della squadra parlar bene di lui. Ed è questo che conta. La sua scelta, come quella di Luis Enrique alla Roma, è fatta in prospettiva. Certo, se alla terza sconfitta un allenatore viene cacciato, poi non ci lamentiamo se in Italia non si riesce a costruire una squadra come il Barcellona».
Che cosa c’entra il Barcellona?
«Il Barcellona è un progetto nato da lontano. Un progetto di lungo periodo in cui non era previsto vincere tutto e subito. In Italia se schieri il giovanissimo Coutinho ti impallinano perché invece vogliono in campo Thiago Motta. E allora…».
Il Barcellona ha un vivaio leggendario: la cantera.
«In Italia si pensa più al business. Una nuova star vuol dire più magliette vendute. Sui vivai avrei qualcosa da dire».
Prego.
«I settori giovanili non devono essere limoni da spremere per la Serie A. A me piace pensare che i “pulcini” di una società di calcio si divertano a stare insieme e dopo trent’anni stiano ancora lì a organizzare una squadra Amatori».
È un discorso che andrebbe fatto a molti genitori che vivono nella speranza di avere Maradona in casa.
«Esatto. Anche perché i bambini non sanno cosa siano gli ingaggi e i contratti… Se non hanno pressioni esterne pensano a divertirsi».
Parli più da filosofo del calcio che non da presidente del sindacato calciatori. Il tuo compito non dovrebbe essere quello di portare a casa contratti e tutele?
«Quello è uno dei miei compiti. Lavorerò anche per cambiare l’idea e l’immagine che hanno gli italiani dei giocatori di calcio».
L’immagine è questa: strapagati, spesso maleducati.
«Si pensa che siano soprattutto dei miracolati. Non si fanno i conti con il lavoro e il merito. E poi senti: dov’erano quelli che considerano viziati i giocatori di oggi, quando a 12 anni quei giocatori venivano sbattuti a 1.000 km dalla loro famiglia con lo 0,05% di possibilità di emergere?».
Con la prospettiva di guadagnare tutti quei soldi si può fare qualche sacrificio.
«Io rappresento 13.000 giocatori. Quelli che diventano ricchi sono una percentuale irrisoria. E comunque il fatto di guadagnare molto non dovrebbe prevedere che se sbagli un gol poi vieni insultato per strada mentre passeggi con la famiglia».
I calciatori hanno grande potere mediatico ed economico. Questo comporta grandi responsabilità. Ci si aspetterebbe almeno il buon esempio.
«Parliamo di ragazzi di 20 anni. Se metti un milione di euro in mano a un liceale che cosa pensi che faccia? Si compra il macchinone… Io sto pensando alla creazione di una scuola per calciatori dove educarli al professionismo».
Ho in mente un allievo perfetto: Mario Balotelli. Ne combina una al giorno. Di lui, come di Cassano, si dice: «Sono talenti da tutelare».
«Il talento non è solo mandare il pallone dove si vuole. È anche saper gestire gli insulti, le critiche dei giornali e continuare ad allenarsi. Dopodiché appena Mario fa cadere un bicchiere per terra finisce sui giornali. Lo insultano e poi gli viene chiesto di risolvere il problema del razzismo negli stadi. Anche questo non è giusto».
Educazione e razzismo. Anche agli allenatori si richiedono comportamenti decorosi. Quello del Verona, Andrea Mandorlini, si è appena esibito in cori razzisti.
«Il coro razzista va condannato. Ma bisogna stare attenti alle generalizzazioni. Solo un piccolo gruppo di tifosi del Verona ha certe idee».
Non pensi che la politica dovrebbe uscire dagli stadi?
«Lo stadio viene usato come una cassa di risonanza. Io credo che il tifo finisca quando un giocatore legge gli striscioni sugli spalti e non ne comprende il significato».
Ti è capitato?
«Spesso. Erano saluti a tifosi finiti in galera».
Franco Baldini, direttore generale della Roma, ha detto che a volte la presenza di poliziotti in assetto da guerra negli stadi rischia di essere un acceleratore di violenza.
«Sono un obiettore di coscienza. Puoi immaginare quanto mi piacciano i manganelli».
Tu sei mai stato ultrà?
«No. Ma frequento lo stadio di Verona da sempre. Ci andavo con mio padre».
Il tuo esordio nel mondo del calcio?
«Il mio esordio è stato nel corridoio di casa e sui prati di montagna. Dove è naturale che esordisca un bambino».
Intendevo la prima squadra in cui hai militato.
«Il Negrar a undici anni. Poi il San Zeno, dove passai da centrocampista a difensore centrale».
La prima volta da professionista?
«In B. Col Verona. Entrai in sostituzione di Pessotto».
Poi la Roma…
«Per quasi dieci anni».
Dopo esserti fracassato un ginocchio in un’amichevole, proponesti ai Sensi di rientrare con il minimo sindacale. Una miseria.
«Molti pagherebbero per giocare in Serie A. Quindi…».
Sbaglio o il rapporto con quella società di calcio non è finito bene?
«Dopo l’infortunio mi aspettavo un trattamento diverso».
Sei andato a giocare in Spagna nel Levante, poi in Inghilterra nel QPR e infine in Cina. Ora hai 37 anni. Molti tuoi coetanei sono ancora in campo, tu…
«L’unica squadra italiana con cui avrei voluto giocare è il Verona. Ma non si è trovato l’accordo. Quindi sono tornato a giocare con i miei fratelli, nel Sant’Anna d’Alfaedo. Quest’anno ho segnato sette gol, eheh».
Chi è il miglior giocatore che tu abbia mai incontrato?
«Rui Costa: bravo e leale. E Lionel Messi, ovviamente. L’ho incrociato quando giocavo nel Levante. È un genio in campo. E senza sregolatezze».
Il giocatore più difficile da marcare?
«Zidane. Ci ho giocato spesso: gli ho dovuto fare molti falli».
Il calciatore più talentuoso?
«Cafu. O Paolo Maldini: dal primo all’ultimo giorno con lo stesso entusiasmo e lo stesso impegno».
Qual è il più bel gol che hai visto fare mentre eri in campo?
«Ero in panchina quando Amantino Mancini chiuse un derby con un tacco straordinario».
Il momento più felice della tua carriera sportiva?
«Il gol in maglia giallorossa alla Fiorentina dopo il rientro dall’infortunio».
In squadra con Totti o con Galderisi, eroe dello scudetto del “tuo” Verona nel 1985?
«Con Totti, perché è uno che ti fa rendere di più. Una volta, contro il Chievo, mi fece un lancio millimetrico e segnai. Poi si avvicinò e mi disse: “Facile giocare quando la palla ti arriva perfetta sui piedi, eh?”. Gli risposi: “Facile fare gli assist quando hai compagni che corrono così, vero?”».
Allenatori…
«C’è un fuori classifica».
Parli di Mourinho?
«No, di Zdenek Zeman. Lui è proprio di una categoria superiore. È un credo. Ha un approccio al calcio diverso da chiunque altro».
A parte il leggendario “pala no suda” di che cosa stai parlando?
«Zeman è un allenatore che considera i calciatori degli atleti e non delle macchine da mungere per far soldi».
Tra Zeman e Capello chi scegli come mister?
«Con Capello ho un buon rapporto, ma non ci ho mai legato, anche se con lui ho vinto uno scudetto».
Calciopoli ha ripulito il sistema o c’è ancora da fare?
«C’è ancora da fare. Sono in molti ad aver approfittato del calcio».
Anche tra i tuoi ex colleghi. Che cosa ne pensi dell’affaire scommesse in cui è stato coinvolto Beppe Signori?
«È stato un duro colpo. Ma con certi giri d’affari…».
Ti è mai capitato di giocare una partita “combinata”?
«In tutti i campionati se due squadre hanno bisogno di un punto c’è il rischio di un risultato combinato».
Non mi pare una bella cosa.
«Adesso, con le scommesse, quei pareggi diventano un investimento. Non sarà semplice rompere il meccanismo».
Perché?
«Scommesse o no, se i giocatori giocano per il pareggio, alla fine si pareggia».
Qual è l’errore più grande che hai fatto?
«Un gol non segnato, durante Italia-Corea nel Mondiale del 2002. La cosa incredibile è che quella è stata una delle partite che ho giocato meglio nella mia vita».
La scelta che ti ha cambiato la vita?
«Il matrimonio. Ho capito di non essere più solo».
Che cosa guardi in tv?
«Con cinque figli faccio fatica a prendere possesso del telecomando».
Il film preferito?
«La vita è bella di Roberto Benigni».
La canzone?
«Farewell di Francesco Guccini».
Il libro?
«L’Alchimista di Paulo Coehlo».
Il tuo cattolicesimo dichiarato si concilia con lo spiritualismo new-age di Coehlo?
«Se mi dai un paio d’ore te ne parlo».
Da qualche anno i calciatori ultra-cristiani spuntano come funghi: Le Grottaglie, Kaká, Cavani…
«Loro fanno parte del movimento “Atleti di Cristo”».
Tu sei un Atleta di Cristo?
«No. Ma posso farti una rivelazione? Sono più i calciatori devoti di quelli che frequentano le veline o le discoteche milanesi».
Sai quanto costa un litro di latte?
«Circa un euro e quaranta».
Conosci l’articolo 3 della Costituzione?
«No. Di che cosa parla?».
Di eguaglianza tra i cittadini.
«Allora ti cito Don Milani: “Non c’è ingiusti-
zia peggiore che fare parti uguali tra dise-
guali”».

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Categorie : interviste
Commenti
luciano 2 Settembre 2011

… avrei un attimino insistito sulla questione del contributo di solidarietà contrapposto alla figura di anima candida! Detto ciò complimenti per come riesci a tirare fuori, laddove è presente ovviamente, un po’ di umanità dai tuoi interlocutori.
Grazie.

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