Filippo Timi (Sette – settembre 2010)

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Carmelo Bene è il suo Dio dell’arte e per un po’ di tempo ha creduto che il commediografo francese Antonin Artaud fosse una reincarnazione di Gesù Cristo («Davvero!»). Filippo Timi, 36 anni, scrittore, attore, protagonista di Saturno contro (Ozpetek), Come Dio comanda (Salvatores), Vincere (Bellocchio), è anche regista di se stesso in teatro: è reduce da un tour con lo spettacolo amletico Il popolo non ha il pane? Diamogli le brioche e da una performance al Festival di Santarcangelo. Lo incontro in una vineria di Roma. Durante l’intervista Timi alterna serpentine narrative a blocchi balbuziati. Gioca, recita, finge, scherza. Crea paradossi, li smonta e li rimonta. Quando gli faccio notare la sua somiglianza con Javier Bardem, prima inventa una telefonata tra lui e l’attore spagnolo, e poi racconta di quando ha chiamato Elio Germano per complimentarsi del premio a Cannes e Germano gli ha detto: «Oh, c’era Bardem, me sembrava de sta’ sul palco co’ te». Ancora. Dopo aver parlato del suo innamoramento giovanile per Cocteau e Majakovskij, azzarda un auto-paragone caratteriale con lo zio Albert del cartoon Candy Candy e commenta: «Fa fico giocare con l’alto/basso, no?». Alla fine proclama di essere stato sincero. Provoca: «Preferivi un po’ di frasi a effetto? Senti questa: “Il mio colore preferito è l’indaco: sta bene con tutto. Il colore politico? Attualmente anche quelli che vorrei votare fanno cagare”». Timi sta girando l’ultimo film di Cristina Comencini (Quando la notte) e alla Mostra del Cinema sarà presente con due pose da guest star in La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo e come co-protagonista del film di Michele Placido Vallanzasca – Gli angeli del male. Partiamo da qui.
Vallanzasca, bello e maledetto.
«Placido sostiene che da giovane fosse più fico di Kim Rossi Stuart, che lo interpreta».
“Il capo dei capi”, “Romanzo criminale”… In Italia quando si racconta il male fioccano polemiche.
«È assurdo».
Nella “Solitudine” sei un clown che terrorizza i bambini.
«Io e Saverio l’abbiamo voluto più cattivo possibile».
Tu sei stato anche un Mussolini, con Bellocchio.
«Non è stato facile. Ma un attore non può giudicare il personaggio, deve solo renderlo umano. Il che non vuole dire giustificarlo. Si deve assumere il ruolo. E farsi dirigere».
Hai detto: «La regia è il potere».
«Sì. Ma quelli bravi lo usano per dialogare, non solo per imporre scelte».
Placido ha fama di essere un regista durissimo.
«È creativo. C’è un momento del film in cui il mio personaggio fa una confessione. Mi veniva bene, ma mancava qualcosa. Michele mi ha detto: “A un certo punto fai schioccare la lingua, fai una smorfia come se avessi qualcosa tra i denti”. Be’, era esattamente quello che mancava».
I tuoi Leoni d’oro ideali. Per la regia?
«Bellocchio, Garrone e Sorrentino…».
Troppo facile.
«Allora pure Pietro Marcello. Ha appena fatto un gran documentario: La bocca del lupo».
Migliore attrice?
«Isabella Ragonese».
Ci hai mai lavorato?
«No. E non ho mai visto un suo film».
Ma allora non vale.
«L’ho conosciuta. Si vede che è brava. In alternativa Kseniya Rappoport».
Miglior attore?
«Troppo facile: Elio Germano. Con lui ho fatto Come Dio comanda. Ha sempre i tempi giusti. Una cosa che non ti insegna nessuno».
Qual è il problema del cinema italiano?
«Mancano soldi e coraggio. Quello che ebbe Fellini a girare 81/2»
.
Soldi. Molti attori si buttano nella fiction. La tv come cassaforte per il cinema.
«La tv mi attira».
Parli delle tue performance ospite di Crozza?
«Non solo. Mesi fa ho detto alla mia agente: “Mi piacerebbe una comparsata in una fiction orribile, tipo CentoVetrine”».
Scherzi?
«Per un mese. Vorrei vivere la meraviglia di quei tempi irreali, i primi piani eterni guardando in macchina».
Timi in una soap. Ed è subito scoop.
«Poi però ho pensato: “Lo posso fare solo dopo aver vinto un Oscar”. E infine mi sono dato dello snob».
Lo faresti un cinepanettone?
«No. Appunto: sono davvero troppo snob».
Snob e divo. Fai la star e ti fai viziare?
«Amo viziarmi. Mi viene da lontano. C’è stato un periodo della mia infanzia, tra i 3 e i 5 anni, in cui avevo un’ernia addominale, per cui non dovevo piangere. E dato che non si poteva far piangere me, i rimproveri se li beccava tutti quella poveraccia di mia sorella».
Infanzia. Mi racconti la tua?
«No, dai. Ci ho scritto tre libri».
Confermami almeno alcune notizie. È vero che eri campione di pattinaggio?
«Ogni tanto penso che sia micidiale il personaggio che mi sono creato».
Vuoi dire che quelle sul pattinaggio erano balle?
«No, ma insomma… Ero bravo. A livello locale… in Umbria».
Sei praticamente cieco a causa della sindrome di Stargardt.
«Non facciamo preoccupare mamma. Vedo quel che mi serve».
Non ti stanchi un po’ a essere considerato un miracolo dell’arte? Balbuziente, semicieco, ma in scena… fenomenale.
«Mi stai dando del miracolato? No, dai!».
È vero che in teatro prima di recitare una scena non sai mai se verrai sopraffatto dalla balbuzie?
«Sì, ma non me ne preoccupo. È un salto nel buio: “Mi inceppo o no?”. E il pubblico la sente quella tensione».
Hai raccontato di aver eiaculato due volte in scena. È il giornalista che ha riferito male o…
«È vero, lo giuro. Durante una Metamorfosi di Ovidio e alla fine di La morte di Danton. Non se ne è accorto nessuno».
Non c’è intervista in cui non ti si chieda se sei gay, bisessuale, pansessuale…
«Regna il voyeurismo».
Nei tuoi libri hai parlato di esperienze omosex. Forse c’è chi spera che tu ti faccia paladino dei diritti gay.
«La mia battaglia è questa: l’amore è rispetto. E nei limiti dell’amore ognuno deve poter fare quel cazzo che vuole».
Che rapporto hai con i critici?
«Buono. Anche se ogni tanto mi fanno imbufalire».
L’ultima volta?
«Un critico teatrale che non capisce nulla».
Ha scritto che sei negato?
«No. Era infastidito perché la sala era stracolma. È uno di quelli che pensa al teatro come a una tana per quattro gatti. Ma vaffanculo! Io aspiro a fare Kubrick: opere di qualità, ma con quindici livelli di lettura. Accessibili a tutti. A tutto il mondo».
Hai fatto il modello.
«Una sfilata Armani. Regia di Bob Wilson».
Prima ancora sei stato cubista.
«Non vedendoci non potevo fare il cameriere. Era un modo per far soldi».
Che cosa guardi in tv?
«Che tempo che fa, amo la Littizzetto. E poi i telefilm in dvd. Mi compro i cofanetti delle serie. L’ultimo è stato Damages con Glenn Close. È una droga».
Sai quanto costa un pacco di pasta?
«Il prezzo oscilla. Circa due euro».
I confini dell’Afghanistan?
«Non li so. Zero geografia. Sono troppo egocentrico per queste cose!».

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Categorie : interviste
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