Abdellah Redouane (Magazine – ottobre 2009)
0 commentiAbdellah Redouane, 54 anni, marocchino, segretario generale del Centro Islamico culturale di Roma (l’unica istituzione musulmana italiana riconosciuta dallo Stato), rappresenta l’avanguardia dialogante tra i seguaci di Maometto. Gran cerimoniere della moderazione islamica e del minuetto istituzionale, ha incontrato tre volte Papa Ratzinger, conserva in casa lo Yad che gli regalò il rabbino della Capitale («È un’asticella di legno a forma di mano che serve per leggere la Torah»), e ha ospitato ministri e istituzioni varie. L’ultimo a fargli visita nella Grande Moschea di Roma, dove ha sede il Centro, è stato il sindaco Alemanno: «Ha preso parte al pasto che rompeva il digiuno del Ramadan». Lo incontro sotto le colonne attorcigliate della moschea, disegnate dall’architetto Paolo Portoghesi. Redouane si slaccia le scarpe e se le toglie per passeggiare sulla moquette. Scherza: «Se avessi saputo che volevate fotografarmi qui, mi mettevo i mocassini». Ha un vestito a righine grigio/blu, parla con cautela.
Lui è il pompiere dei rapporti tra l’Islam e gli italiani. Definisce una provocazione “non utile” la preghiera organizzata da alcuni imam milanesi in piazza Duomo a Milano, qualche mese fa. Quando il ministro Calderoli decise di mostrare in tv una maglietta con delle vignette sull’Islam, si affrettò a ricevere Gianfranco Fini, allora ministro degli Esteri, per placare le polemiche. I suoi sforzi diplomatici, però, a volte sono messi a rischio dalla cronaca. Il giorno stesso in cui mandava un messaggio di solidarietà per i militari della Folgore vittime degli attentati afghani («Siamo vicini ai fratelli italiani»), sui quotidiani ci si domandava come sia possibile che nel Terzo millennio un padre marocchino uccida sua figlia perché voleva andare a vivere da sola col fidanzato non musulmano. Partiamo da qui. Da Sanaa.
Una ragazza di 18 anni uccisa dal padre a coltellate. Il rapporto tra l’Islam e le donne è di nuovo sotto accusa.
«Non credo che in questi episodi c’entri nulla la religione. Sono drammi consumati tra le mura di casa. Come la mamma di Castenaso che ha ucciso i suoi due bambini. È un percorso mentale che porta al crimine».
Il fatto che Sanaa fosse fidanzata con un italiano, non musulmano, secondo lei non ha contribuito a far esplodere la rabbia del padre?
«No. Ma nessuno detiene la verità. Secondo me il padre, dopo aver cresciuto la figlia, l’ha vista allontanarsi. In quei momenti, non ci si sente bene».
Tra il non sentirsi bene e l’accoltellare c’è una bella differenza. L’essere musulmano può aiutare ad avvicinarsi alla seconda soluzione?
«Le potrei raccontare molti casi di cronaca in Marocco. Ma la religione non c’entra. Sono delitti di gelosia. Non si verificano solo tra musulmani».
No, certo. In Italia…
«Ho visto foto anni ’40 di donne italiane del Sud in spiaggia. Erano molto simili a quelle sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Anche il cibo è lo stesso».
Nell’Italia cattolica non c’è la Sura n. 4 del Corano, che prevede di “battere” le mogli disobbedienti.
«I testi sacri e i loro messaggi vanno letti nei contesti storici, non ne va data una interpretazione letterale».
A Vladimiro Polchi di Repubblica, lei una volta ha detto che «nel Corano è fondamentale la dimensione interpretativa».
«Appunto. Esiste la religione con testi e regolamenti, poi c’è la storia. Le società conoscono evoluzioni talmente differenti che all’interno del mondo islamico c’è una galassia di comportamenti diversissimi tra loro. Il “battere” da molti è interpretato come un semplice “rimproverare”».
Un imam veronese è stato immortalato mentre invitava a punire duramente le mogli. E non sono pochi i casi italiani di gruppi musulmani in cui le donne vengono ridotte a ruoli ultrasubordinati.
«Quello del proliferare anarchico di imam non preparati è un problema serio. Anche perché l’imam nell’Islam non è un’autorità, è solo una persona che svolge una funzione. E per questo dovrebbe essere preparato».
Lei per gli imam ha proposto corsi specifici.
«Certo. Ci vorrebbe un master con studi di diritto privato, di diritto costituzionale italiano, di dialogo interreligioso… Certi imam predicano un tradizionalismo auto-ghettizzante».
Altri istigano all’odio.
«La comunità islamica dovrebbe capire che chi istiga all’odio danneggia la comunità stessa».
Quante sono le moschee in Italia?
«Il ministero degli Interni ne ha calcolate 650 circa. Ma parliamo di aule di preghiera, anche di stanzette quattro metri per tre. Piccoli luoghi di culto che spesso ospitano imam improvvisati».
Le donne…
«Uhm… Ormai la donna è diventato il tema centrale».
Le dà fastidio?
«No, però non vorrei che il dibattito sulla donna togliesse spazio ad altro».
Toglierà spazio fino a quando non sarà chiaro che in Italia, tutte le donne, anche quelle delle comunità musulmane, devono avere gli stessi diritti degli uomini.
«Ma è ovvio che debba essere così: in Italia prevale la legge italiana. E si deve attivare una integrazione che tenga conto di queste leggi e del fatto che prevedono parità di diritti. Nel farlo non ci scordiamo di dare a ogni cittadino la possibilità di godere di tutti i diritti e di assumersi anche la responsabilità dei propri doveri».
A che cosa si riferisce?
«Alla possibilità di votare, che responsabilizza i cittadini sulla condivisione delle scelte politiche e amministrative».
Querelle planetaria: libertà di velo, sì o no?
«In Occidente non c’è unanimità sul velo».
In Francia è proibito.
«In Inghilterra no. Io credo che una legge debba rappresentare la sintesi finale del confronto della società su un argomento. Una legge non può essere espressione di una posizione ideologica».
Le sembra che in Italia sia così?
«Mi sembra che certi temi religiosi siano sbandierati a uso politico. Il dibattito sul velo viene strumentalizzato: i leghisti usano il velo per dimostrare che non è possibile l’integrazione. Certi imam fanno del velo una priorità e così auto-ghettizzano la loro comunità».
Daniela Santanché dice di essere stata aggredita mentre manifestava per la libertà di non portare il velo.
«Se è stata aggredita, le esprimo solidarietà. Dopodiché penso che come ex onorevole ed ex candidata premier abbia scelto il modo sbagliato di manifestare. Ha scritto un libro sul velo. Bene, quello è il modo giusto per un confronto culturale».
Non mi ha ancora detto che cosa pensa del velo.
«Sono contrario ad imporlo alle bambine piccole. E dopo i dodici anni andrebbe rispettata sia la scelta di metterlo che quella di non metterlo».
E se un padre lo impone a una adolescente?
«Rientra nelle dinamiche del confronto tra padri e figlie».
Dal velo alle veline. Si porrebbe un problema se avesse una figlia che vuole fare la velina?
«Il problema me lo porrei anche se fossi un padre italiano. Comunque ho due figli maschi».
La Lega ha proposto corsi e classi separate per i figli degli immigrati.
«Sono contrario. Ho vissuto il problema in prima persona. Dopo tre mesi che mi ero trasferito qui, i miei figli, senza corsi particolari, sapevano perfettamente l’italiano e sono diventati i miei traduttori. In alcuni casi si possono attrezzare lezioni per mettere sullo stesso livello gli alunni, ma non ne farei una regola, che creerebbe discriminazioni ingiustificate».
L’integrazione tra immigrati di prima o di seconda generazione è molto diversa.
«Gli adulti che arrivano sono più attaccati alla tradizione. Immagino che sia successo lo stesso agli italiani che si trasferirono in Argentina un secolo fa».
Lei è cresciuto in una famiglia molto tradizionale?
«Sì. Sono cresciuto in una cittadina sull’altopiano, tra Rabat e Casablanca. Mia madre era la classica mamma in abiti tradizionali».
Portava il velo?
«Era la normalità. Delle mie quattro sorelle però oggi solo una lo porta».
Ha quattro sorelle?
«E tre fratelli. Da noi non è così strano».
Suo padre?
«Era militare».
Ordine e disciplina.
«Rigore e autorità. Con amore. Da ragazzo facevo molto sport. Ero un campioncino nei 100 metri ed ero capitano della squadra di calcio nel liceo. E poi amavo il cinema».
Era fan di qualche attrice/star marocchina?
«Nel cineclub della mia cittadina passavano le varie scuole cinematografiche: quella italiana era rappresentata soprattutto da Fellini. Lo considero la personalità del XX secolo che più ha fatto conoscere l’Italia in Marocco».
Lei quando si trasferisce in Italia?
«Nel 1998, a 43 anni. Proprio per ricoprire il ruolo di segretario generale del Centro islamico».
Prima che lavori aveva fatto?
«Il professore. La prima laurea l’ho presa a Casablanca. Poi mi sono trasferito a Caen, nel nord-ovest della Francia».
Quanto è rimasto in Francia?
«Cinque/sei anni. Sono arrivato ad insegnare. Nel 1984 però mi chiamarono a Rabat per entrare nel ministero degli Affari Religiosi. Ci sono rimasto 15 anni».
Con quale incarico?
«Addetto presso il Gabinetto del Ministro, fino a Direttore generale degli studi e degli affari amministrativi. Mi occupavo e mi occupo anche di monitorare i dossier sui marocchini all’estero».
Chi l’ha scelta per guidare il centro e la Moschea di Roma?
«Il consiglio di amministrazione, formato dagli ambasciatori in Italia di alcuni Paesi arabi».
Si dice che un consiglio così formato la renda poco libero. È vero che ha annullato la visita sua e dell’imam alla Sinagoga di Roma perché dall’Egitto si è alzato un grido di protesta?
«È falso. La visita fu annullata per problemi tecnici».
Lei è stato uno dei promotori della Consulta per l’Islam italiano che faceva capo al ministero dell’Interno.
«Il progetto si è arenato. Ora stiamo lavorando a una Federazione dell’Islam italiano: un’organizzazione che rappresenti davvero tutta la galassia islamica nel rapporto con le istituzioni».
C’è un personaggio della galassia islamica che vorrebbe coinvolgere nelle sue attività?
«Afef. L’ho proposta come membro dell’Assemblea generale».
È una donna musulmana che fa spettacolo in tv ed è sposata con un italiano.
«Affari suoi. Trovo che abbia spesso posizioni lucide e coraggiose».
Lei è favorevole alle “unioni di fatto” tra gay?
«Il tema è delicato e la società italiana non mi pare pronta».
Sbaglio o su certi argomenti la pensate come il Vaticano?
«Confermo».
L’infibulazione è una pratica criminale?
«Confermo».
A cena col nemico?
«Andrea Gibelli, l’unico del Carroccio che ha posizioni interessanti».
Pure Maroni è considerato leghista del dialogo.
«Forse la corsa per il dopo Bossi lo fa concentrare su altro».
Non l’ha ancora incontrato?
«Non ci considera in agenda. Con il suo predecessore, Giuliano Amato, che era uno statista lungimirante, il rapporto era proficuo. Lo è stato anche con Pisanu. Per Maroni, invece, il dialogo con la nostra comunità non sembra essere una priorità. Eppure per il ruolo istituzionale che ricopre dovrebbe considerarlo un dovere».
Lei ha un clan di amici?
«Un clan?».
Quelli con cui si fanno sempre le vacanze.
«Ho molti amici. Ma non ci faccio viaggi. In vacanza vado spesso in Polonia o nella Repubblica Ceca».
Come mai?
«Sono vicine. E c’è una natura che invita al sogno e alla meditazione. Mi ricorda la regione dove sono nato, il massiccio dell’Atlante».
Il libro preferito?
«Il Corano, ovviamente»
Un po’ scontato. Un romanzo?
«Delitto e castigo, di Fëdor Dostoevskij. È il libro con cui ho imparato il francese».
Il film?
«Tutto Fellini».
La canzone?
«Quelle di Umm Kulthum, una cantante egiziana».
Andrebbe più volentieri ospite da Vespa o da Santoro?
«Da nessuno dei due. Da Vespa si deve rispondere o sì o no, senza argomentare. Da Santoro se non rispondi come si aspetta lui non ti prende in considerazione».
Quanto costa un litro di latte?
«Fresco? L’ho preso stamattina: un euro e trentanove».
Fa la spesa?
«Sono addetto a quel che manca nel frigo: “Pronto Abdellah… manca il pane!”».
I confini dell’Iran?
«Turchia, Armenia, Azerbaijan… Il confine più focoso però è quello con l’Iraq. Fino a quando a Bagdad non ci sarà uno Stato forte…».
L’articolo 8 della Costituzione italiana?
«Mi appresto ad essere bocciato».
È quello sulle religioni ugualmente libere di fronte alla legge. Dov’era il 9 novembre 1989?
“A Rabat. Ma quella la considero una data secondaria. Solo simbolica. Il Muro crollò in Polonia dieci anni prima: sotto i colpi di Lech Walesa e del sindacato Solidarnosc”.