Flavio Tosi (Magazine – gennaio 2009)

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Di tutte le cose più truculente e politicamente scorrette che gli vengono attribuite, l’unica che nega di aver mai detto è: «El león magnerà el terón». Per il resto, Flavio Tosi, 39 anni, sindaco leghista (borgomastro, sceriffo) di Verona, non fa un passo indietro. Rivendica l’alleanza di ferro con un ex skinhead in Consiglio comunale, il volantino con su scritto «via gli zingari da casa nostra », che gli è costato una condanna per razzismo («Era per una raccolta di firme, ricorreremo di nuovo in Cassazione»), la proposta di ingresso separato sugli autobus per gli extracomunitari («Era un modo per controllare che tutti pagassero i biglietti»), la multa ai genitori di un bambino di quattro anni che mangiava un panino sulle scale del Municipio, la caccia alle prostitute e via dicendo. Come ogni leghista che si rispetti è ruvidamente di lotta. Ma anche di governo, persino un po’ doroteo. Odiato e amato. Per solleticare la panciacelodurista del Carroccio annuncia: «Via i mendicanti dalle strade». Ma poi per quegli stessi mendicanti organizza mense e alloggi. Marco Travaglio lo definisce “troglodita”? Poco male. Anche perché è in vetta, con gradimenti bulgari, alla classifica pubblicata dal Sole 24 Ore dei sindaci più amati dagli italiani. Eccolo entrare a grandi passi nella hall dell’Hotel Plaza, a Roma, dove abbiamo appuntamento. Ha una spilla col leone di San Marco sul bavero, una pochette verde che gli spunta dal taschino e una certezza politica: «Se non si procede col federalismo, può succedere di tutto. Anche la secessione».
È una minaccia?
«No, anzi».
Lo sembra.
«Mettiamo le cose in chiaro: il Paese si aspetta il federalismo. E se non lo si realizza ora, c’è il rischio che l’Italia vada in malora».
La priorità non dovrebbe essere di far schivare all’Italia un tracollo economico?
«Anche l’economia si aspetta il federalismo».
Ah, ecco.
«Con questa crisi bisogna stare molto attenti: se i cittadini vedono che tu non poni un freno alle spese sconsiderate… se si accorgono che boicotti il federalismo per mantenere i tuoi feudi assistenziali…».
Che cosa succede?
«Può succedere di tutto. E certi fenomeni poi mica li si riesce a governare».
C’è un braccio di ferro su priorità e cifre. Bossi ha strigliato Tremonti, Berlusconi ha accarezzato Bossi: federalismo hard, light o da approvare solo dopo la riforma della Giustizia.
«Il Capo, Bossi, è un mastino. Non ha mollato».
I tempi previsti per il federalismo?
«Per vederlo in moto? Circa cinque anni».
Un’eternità.
«Ci saranno tutti i decreti attuativi da discutere. Andranno consultate le amministrazioni locali. Lì entrerà in gioco il parlamento del Nord».
Di cui lei è presidente.
«Non ancora. Ma il Capo ha fatto il mio nome».
Che roba è il parlamento del Nord? Serve o è uno strumento mediatico, di propaganda?
«Serve. Anche a dare indicazioni al Centro su quel che pensa il Nord».
Come il coordinamento del Nord nel Pd?
«Per carità. Loro hanno un problema di consenso».
Un sindaco del Pd che le piace?
«Chiamparino ha la testa sulle spalle».
Lui spinge per un Pd radicato nel Nord.
«I democratici dovrebbero fare pulizia, altroché».
In che senso?
«Un cittadino di Napoli che vede la Jervolino ancora al suo posto che cosa dovrebbe fare se non restare schifato?».
Molte città amministrate dal centrodestra hanno debiti e guai serissimi. Catania…
«Non ho difficoltà a dire che uno come Scapagnini, che ha amministrato Catania in quel modo, non doveva essere portato in Senato. Come non ho difficoltà ad ammettere che chi amministra l’Emilia Romagna e la Toscana fa un buon lavoro. Con Veneto e Lombardia sono le regioni che hanno il miglior sistema sanitario».
Lei è stato anche assessore alla Sanità.
«E prima ancora consigliere comunale a Verona. Per molti anni».
Quando ha cominciato a fare politica?
«A ventuno anni circa».
Studi?
«Ero al Maffei di Verona. Un liceo prestigioso».
La sua famiglia.
«Mio padre era grafico alla Mondadori. Mia madre ha smesso di lavorare quando siamo nati io e mia sorella».
Lei era adolescente negli anni Ottanta dell’edonismo. Paninaro?
«No. I paninari erano quelli del centro storico. Erano rivali. Io in quel periodo già pensavo ai computer: i primi ommodore. Ho pure cominciato a fare ingegneria. Però ho smesso per seguire la politica».
Subito leghista?
«Sì. Il primo impatto è stato con una assemblea a cui partecipava Franco Rocchetta…».
Uno dei padri dell’autonomismo veneto.
«Ci litigai. Alla fine del dibattito si avvicinò un dirigente della Lega e mi disse se volevo aderire al movimento».
Amore a prima vista. Il primo incontro con Bossi?
«Proprio nel ’92. Il ricordo è indelebile. Il Capo è il Capo».
Prima che lei venisse eletto sindaco si dice che abbiate litigato. Ferocemente.
«Mi pare una insinuazione fantasiosa».
Il centrodestra doveva decidere il candidato sindaco di Verona. E Bossi stava per cedere a Berlusconi che voleva Meocci…
«È una balla. Con Bossi ci siamo sempre mossi di comune accordo. Lui andava da Berlusconi e gli diceva che quel matto di Tosi non mollava la presa. Io andavo ad Arcore a mostrare i sondaggi che mi davano vincente. In quel periodo io e Bossi non siamo mai comparsi insieme davanti al Cavaliere. Il trucco non avrebbe funzionato».
In pratica avete fatto il gioco delle tre carte a Berlusconi. Lo avete fregato.
«Sì. Ma anche lui provò a raccontarci qualche frottoletta».
Da sindaco lei ne ha combinate di tutti i colori.
«Molte sono leggende».
È una leggenda che sia stato condannato per razzismo?
«No. Ma ricorrerò di nuovo in Cassazione. Mi hanno condannato per una raccolta di firme per sgombrare un campo rom».
Slogan: «Via gli zingari da casa nostra».
«Il contenuto del volantino e della proposta era più complesso. Gli slogan non possono spiegare la rava e la fava, se no non li legge nessuno».
Quindi è legittimo offendere?
«No. Il manifesto era una piccola parte di una campagna molto complessa. Io comunque da sindaco quel campo rom l’ho fatto sgombrare».
Ha fatto togliere i piattini ai mendicanti.
«C’era un racket. Abbiamo sequestrato gli incassi».
Il direttore della Caritas, don Nozza, dice: «Il problema è la povertà, non i poveri».
«Ha ragione. E infatti l’amministrazione si prende cura dei senza tetto».
Però il leghista di lotta che è in lei, questo non lo urla in piazza. Non ne fa uno slogan.
«La campagna elettorale si fa sui problemi più sentiti dai cittadini: sicurezza e ordine pubblico».
Le prostitute.
«Debellate».
Una sentenza del Tar dice che le vostre multe sono illegittime.
«Abbiamo fatto un’altra ordinanza. La prostituzione va portata fuori dai condomini».
È a favore delle case chiuse?
«Sono a favore di una legge nazionale che vieti la prostituzione per le strade e nei condomini. La prostituzione diventi attività artigianale o cooperativistica. Poi si deciderà come gestirla».
Ha sfilato in un corteo di skinhead, l’ultradestra più violenta.
«Ero lì per solidarietà con un ragazzo che era stato aggredito».
Nessun imbarazzo a stare accanto a un florilegio di croci celtiche del “Veneto fronte skinheads”?
«Se uno si prende una coltellata per le sue idee, io lo difendo».
Anche se viene da un centro sociale di ultrasinistra?
«Certo. Ho chiesto di partecipare a una manifestazione di solidarietà per un ragazzo di sinistra aggredito. Non mi ci hanno voluto».
Nel suo consiglio comunale c’è Andrea Miglioranzi, un ex skinhead.
«Lo è stato da ragazzo. Ora è della Fiamma tricolore. Ma sa quanti in An hanno un passato burrascoso con l’Msi? E poi nella mia maggioranza ci sono anche ex socialisti».
A proposito di socialisti. Lei nel suo ufficio di sindaco ha sostituito la foto di Napolitano con quella di Sandro Pertini.
«Lo preferisco. È andato in galera per difendere le sue idee. Ha fatto la Resistenza sul serio».
Davvero non si rende conto che con certi slogan furibondi, voi della Lega esagerate e rischiate di istigare alla violenza?
«No. E se ci fa caso non ci sono casi di tesserati della Lega protagonisti di aggressioni».
Le vostre parole possono far presa anche sui non iscritti. Non si è mai pentito di nulla delle cose dette o fatte?
«La sera della manifestazione di estrema destra contro la violenza, i ragazzi con cui ho partecipato hanno preso parte a una rissa. Col senno di poi non ci sarei dovuto andare».
Lei ha mai partecipato a una rissa?
«No, mai».
Neanche allo stadio? Non è che spunta una foto?
«Macché. Seguo l’Hellas in curva da quando avevo 12 anni. Al massimo do una mano a disinnescarle le risse. La vuole sapere tutta?».
Mi dica.
«Sfatiamo la leggenda del sindaco razzista: gioco in una squadra di calcio zeppa di amici extracomunitari e i viaggi più belli della mia vita sono quelli con la Regione Veneto per organizzare progetti di volontariato in Costa d’Avorio. E poi il Bangladesh».
Non è che tutte queste cose fanno parte di una bella operazione di immagine?
«È tutto vero. Amo Gandhi e Martin Luther King. Sono pacifico e pacifista».
Prima o poi dovrà partecipare alla guerra per la presidenza del Veneto. Bossi e Maroni hanno indicato lei come possibile leader.
«Vista la forza della Lega, è logico che il prossimo governatore del Veneto sarà dei nostri».
L’attuale presidente Galan, del Pdl, è d’accordo?
«L’alternativa è che la Lega ottenga la presidenza della Lombardia. Dal punto di vista strategico sarebbe anche meglio».
Chi per la presidenza leghista della Lombardia?
Facciano «Giancarlo Giorgetti. O uno qualunque dei ministri n carica: Maroni, Calderoli…».
Di Maroni e Calderoli si dice che si contendano la futura leadership della Lega.
«La successione non è in discussione».
Ha paura di ledere la maestà di Bossi?
«No. Il Capo è lui. Qualche mese fa ha indicato come suo successore Maroni. Ma il momento è ancora distante».
Adalberto Signore e Alessandro Trocino aprono il loro libro Razza padana con questa frase: «Nel 2008, la Lega è il più antico partito italiano».
«È la verità. Gli altri si sono sciolti al sole della Seconda Repubblica».
Già, ma la Lega è un partito fondato sul carisma del leader. Non c’è gran democrazia.
«Non è vero. Il Capo viene eletto per acclamazione. Chi vuole lo può sfidare, candidandosi al congresso».
Chi vuole può sfidare anche Berlusconi per la leadership del Pdl. Ma pare improbabile.
«Non è la stessa cosa. Berlusconi fa calare dall’alto tutte le nomine. Bossi ratifica quel che viene dal territorio».
Il dopo Berlusconi?
«Un bel macello».
Si parla di Tremonti, di Fini…
«Quelli di An accetterebbero Tremonti? E quelli di Forza Italia accetterebbero Fini?».
Fini ha proposto il voto amministrativo agli immigrati.
«Un errore madornale. A cui diciamo no».
Un immigrato che vive in Italia da 5 anni…
«Non è un italiano. Punto. Gli immigrati hanno altre priorità: la casa, la pancia da riempire…».
Queste sono priorità anche per gli italiani. Loro però poi votano.
«È un falso problema. Sull’integrazione noi siamo già abbastanza morbidi».
Ha visto i musulmani pregare a Milano in piazza Duomo?
«Molto fastidioso. Una provocazione becera».
O un diritto.
«Che cosa succede se mi presento con un crocefisso alla Mecca?».
Da cattolico: messa in latino o in veneto?
«Frequento riti pre e post conciliari».
Quindi anche la messa in latino? Fa molto poco leghista…
«Noi amiamo le tradizioni. E il latino è una bella lingua, razionale, quadrata…».
...romana.
«Roma fu un grandissimo impero».
Come, scusi?
«È la Roma di oggi che è degenerata. Le comodità e i lussi sembrano trabocchetti messi lì per blandire chi viene da fuori».
A cena col nemico?
«Con D’Alema. È una bella testolina».
Una volta D’Alema ha detto che la Lega era una costola della sinistra.
«Io sono uno pratico. Prendo voti da destra e da sinistra. Da uno studio risulta che il 47% di quelli che prima votavano Rifondazione, mi hanno voluto come sindaco a Verona».
Obama ha detto agli americani: «We are one». Lei a chi lo direbbe: ai veronesi, ai padani o agli italiani?
«Lo direi anche agli italiani. Ho sempre tifato Ferrari. E la Nazionale…».
Mano sul petto e inno a squarciagola?
«No».
Perché Bossi è contrario?
«Perché sono stonato».
Canzone della vita?
«Facciamo Creuza de mä di De André».
Il film?
«Pulp fiction e Balla coi lupi».
Il libro?
«Il principe di Machiavelli».
Quando lo ha letto?
«La prima volta al liceo. Machiavelli passa per bastardo. In realtà è un teorico della ragion di Stato».
Un po’ come Bossi. Qualcuno lo dipinge ancora come semplice celodurista…
«…in realtà va dritto agli obiettivi del Nord».
Quanto costa un litro di latte?
«Credo viaggi sull’euro e 50».
La formazione del Verona dello scudetto?
«Garella, Marangon, Tricella, Fontolan, Briegel…».
Basta, si fermi. I confini dell’Iraq?
«Turchia, Iran, Kuwait e Giordania…».
Percorso netto. Lei è su Facebook?
«No. Ma vado a vedere spesso le pagine del gruppo “Supporter di Flavio Tosi”».
Ci trova anche qualche insulto?
«No. Per quelli c’è proprio un profilo dedicato: “Noi che odiamo Flavio Tosi”».

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