Sandro Bondi (Magazine – luglio 2008)

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Quando gli faccio notare che è un po’ strano che un ministro della Repubblica riceva un giornalista a Villa San Martino, nella casa privata del premier, Sandro Bondi, 49 anni, responsabile dei Beni culturali, esita un attimo. Poi, candidamente, con quella sua voce pacata che i più maligni definiscono pretesca, dice: «Eh, sì, la cosa potrebbe sembrare discutibile. Ma è l’abitudine. Ho lavorato qui per quindici anni». Malgrado non ci dorma (come vorrebbe la leggenda), Bondi conosce piuttosto bene le stanze della residenza berlusconiana. Me le mostra con la gentilezza di una guida turistica ben educata. «Non trova che sia rimasto lo spirito della famiglia Casati?», sussurra mentre attraversiamo uno studiolo. Su un tavolo ci sono tre pile di libri col Cavaliere in copertina. «Qui è nata Forza Italia e qui è cresciuta la tv privata», spiega passando nel salone col pianoforte a coda. Appeso tra protoberlusconismo e nuovo ruolo politico/istituzionale, Bondi è il ministro che testardamente cerca il dialogo con l’intellighenzia gauchista, ma, per ora, non riesce a trovarlo. «Tendo la mano e ricevo schiaffi», dice. L’ultimo, di schiaffo, glielo ha dato Umberto Eco, che al Festival della Milanesiana, a malapena gli ha stretto la mano. Il perché di questo ostruzionismo nei suoi confronti? Per spiegarlo, il ministro introduce la categoria dell’«odio antropologico» nei confronti dei berluscones.
Non sarà che lei Bondi, più che come ministro, è ancora percepito come il più fedele dei collaboratori del Cavaliere?
«L’adulatore principe, no? Per una certa sinistra non è credibile nemmeno che io scriva qualcosa di interessante. Malgrado gli schiaffi, tengo dritta la barra del dialogo culturale e politico».
A parte Eco chi altri l’ha schiaffeggiata?
«Be’, avevo teso la mano ad Asor Rosa sulla difesa del paesaggio e mi sono beccato un ceffone. Un altro è arrivato dal regista Virzì».
A causa del tax credit, le detrazioni ai produttori del cinema che sembravano scomparse?
«Sì e che ora Tremonti ha ripristinato. Virzì ha chiesto le mie dimissioni. Quello che mi stupisce è la mancanza di curiosità».
Cioè?
«Prima di giudicarmi vengano a parlarmi, no?».
A Virzì darebbe subito udienza?
«Certo. Invece loro, gli intellettuali di sinistra, giudicano, senza aver letto nemmeno un mio libro. Ne ho scritti tanti: sulla riforma religiosa nel ’500, su laici e credenti…».
Magari li hanno letti e non gli sono piaciuti.
«Lo sa che non ho ricevuto nemmeno una recensione? Avrei preferito delle stroncature a questo silenzio. E sì che io ho sempre riconosciuto il valore di certi registi di sinistra».
Di chi parla?
«Ho appena lodato sia Gomorra di Garrone sia il Divo di Sorrentino. Certo, parlando di Andreotti sarei stato più cauto su certi giudizi di colpevolezza, ma il Divo è fatto proprio bene. Ne ho parlato pure con De Laurentiis».
Il produttore?
«Sì. Lui sostiene che Sorrentino sia uno di quelli che in America farebbero furore. Detto ciò, amo altri generi».
Quali?
«La mia Africa di Pollack. Apre lo spirito».
Tra gli italiani?
«Fellini. Di recente ho visto La seconda notte di nozze di Pupi Avati. Bellissimo. Lui è un regista di sentimenti».
Lei preferisce il cinema o il teatro?
«Il cinema è l’arte che mi ha sempre dato più emozioni sin da ragazzo. Ai tempi dell’Università, a Pisa, animavo i dibattiti al cineforum, dopo le proiezioni dei film di Akira Kurosawa».
Ora riesce ad andare al cinema?
«Soprattutto il lunedì sera. Qui ad Arcore. Vado con Marinella».
La leggendaria segretaria di Berlusconi.
«Sì, con lei, il suo compagno e qualche amica. Andiamo al cinema parrocchiale».
Ma il lunedì ad Arcore non ci sono le cene con Bossi?
«Ora sono meno frequenti. E comunque io non partecipo. Ci vanno Tremonti e Brancher».
Torniamo alle sue preferenze. Attori?
«Giovanna Mezzogiorno, Margherita Buy, Sergio Castellitto. Ambra Angiolini, quella che faceva Non è la Rai, è bravissima. Nel film di Ozpetek fa una grande parte. Ma anche il Proietti dell’ultimo film dei Vanzina. Il suo episodio salva tutto il film».
Il ministro della Cultura va a vedere pure i film dei Vanzina?
«Certo. Se Veltroni e la sinistra hanno riabilitato i film anni Settanta con Alvaro Vitali… E poi con i grandi incassi i film di Vanzina e di Neri Parenti contribuiscono ad aiutare i produttori a investire nel cinema».
Bondi che cosa farà per il cinema?
«Vorrei istituire un’Agenzia nazionale del cinema sull’esempio francese. Un unico ente che racchiuda le funzioni che oggi sono di Filmitalia, di Cinecittà Holding e dell’Istituto Luce. Poi ho in mente un investimento grosso sui musei e un programma di itinerari per valorizzare l’Italia dei piccoli comuni».
Si rende conto che in Italia se c’è da fare qualche taglio, lo si fa sempre negli investimenti sulla cultura?
«Spendiamo meno degli altri Paesi europei pur avendo un patrimonio superiore da conservare».
E quindi?
«Comunque un po’ si deve tagliare dove ci sono sprechi assurdi. Un po’ bisogna cercare di coinvolgere di più le Fondazioni e i privati, defiscalizzando gli investimenti sulla cultura».
Un esempio di spreco culturale?
«Penso ad alcune fondazioni lirico-sinfoniche che hanno debiti stratosferici. I soldi vanno indirizzati meglio».
La sinistra appoggerà queste sue iniziative?
«Io sono sempre disposto al dialogo».
Le forzature del Pdl in materia di giustizia aiutano il dialogo?
«Il nodo è: vogliamo fare in modo che la politica sia al riparo da certe iniziative della magistratura?».
Ma se i politici commettono reati…
«Guardi, non credo che sia un caso se la fiducia degli italiani nei confronti della magistratura è minima. Su certe questioni, comunque, è meglio chiedere al ministro Alfano».
Nell’opposizione c’è chi dice: «Alfano fa quello che gli dice il Sultano, cioè Berlusconi».
«Sono gli stessi che mi danno del maggiordomo».
Anche i provvedimenti di Maroni sull’immigrazione sembrano non aiutare il dialogo. Lei, a Susanna Turco del Magazine, ha raccontato la sua esperienza da immigrato.
«A Losanna, dove mio padre si era trasferito per fare il tagliapietre, facevo parte di una banda di bambini multilingue, con spagnoli e portoghesi. Ne facevamo di tutti i colori».
Le hanno mai preso le impronte digitali?
«No. Ma guardi che gli svizzeri sono duri. Se sgarravi ti cacciavano. A mia madre, quando arrivò la prima volta, la tennero 24 ore in una stanza da lager per le visite mediche».
Lei ha criticato la durezza di Cofferati con gli immigrati. Ora Maroni…
«Ho solo detto che se un sindaco di centrodestra avesse sgombrato i campi, come ha fatto Cofferati a Bologna, o eretto muri come Zanonato a Padova sarebbe successo il finimondo. Io sono contro certi provvedimenti. Anche per il semplice fatto che non sono di destra».
Ma fa parte del centrodestra.
«Io sono riformista, socialista liberale».
Con un passato nel Pci.
«Entrai nel Pci per passione berlingueriana e poi passai all’ala migliorista di Napolitano e di Macaluso… Le racconto un aneddoto».
Dica.
«Un giorno venne in visita a Roma Peter Mandelson, il ministro blairiano. Voleva incontrare degli esponenti di Forza Italia e Berlusconi mandò me a parlarci. Gli dissi che se in Italia ci fosse stato un partito come il suo New Labour, io avrei preso la tessera. Rimase un po’ sorpreso».
Lo credo bene. Lei è alleato della Lega e degli ex del Msi.
«Ho sempre sperato nella nascita di un partito laburista. Poi mi sono convinto che non sarebbe potuto sbocciare dal Pci. C’è stato anche un problema di leadership».
In Italia è mancato un Tony Blair?
«Napolitano sarebbe potuto essere il nostro Blair. Ma non ha avuto il coraggio di prendere in mano la bandiera del riformismo per cercare di trasformare il partito. Al Quirinale gli ho ricordato di quando lo avevo invitato a presentare un suo libro a Fivizzano, dove ero sindaco del Pci».
Amarcord. Poi approdò alla corte di Berlusconi.
«Mi portò a casa sua lo scultore Pietro Cascella. Quella visita fu la svolta della mia vita».
Chi guiderà il Pdl dopo Berlusconi?
«Intanto penso che la storia politica di Berlusconi non possa che finire bene».
Si riferisce alle aspirazioni quirinalesche?
«Be’, gli auguro di approdare alla Presidenza. Ma lì non ci si arriva solo con la forza di volontà. Si devono incastrare una serie di circostanze fortuite: conta la Provvidenza».
Bondi manzoniano. Torniamo al successore politico di Berlusconi.
«Tremonti sarà una figura centrale. Ma Berlusconi vorrebbe qualcuno di più giovane».
Fuori i nomi.
«Be’, Angelino Alfano, Stefania Prestigiacomo, Raffaele Fitto, Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna. Ho sempre detto che di questi giovani si sarebbe sentito parlare».
Di alcune ministre ultimamente si sente parlare in modo non lusinghiero.
«Le intercettazioni sono una schifezza. Se si trascrivesse tutto quel che diciamo al telefono…».
Se si venisse a sapere che certe nomine sono avvenute in modo improprio…
«Lo escludo. Le faccio un esempio: Gelmini l’ho scoperta io. A Brescia. È una donna di valore che non può avere nulla a che fare con certe chiacchiere. È orribile questo accanirsi contro le donne nelle piazze, sui giornali, in tv».
Lei che tv guarda?
«Quella che non fa audience».
Tipo?
«Una volta stavo a una riunione con Berlusconi, Confalonieri e quelli di Publitalia. Mi chiesero: “Il tuo programma preferito?”. E io: “L’approfondimento di metà mattina su Canale 5”. Mi fecero notare che era la trasmissione meno seguita di tutto il palinsesto».
Talk tv: da Vespa o da Dandini?
«Da Vespa. Anche se da Dandini c’è Dario Vergassola, amico e conterraneo».
Che spesso spara battute contro Berlusconi.
«Se Vergassola conoscesse il Presidente gli starebbe simpatico».
Una serata con Travaglio o con Santoro?
«Meglio fucilato o impiccato? Vedere Travaglio sull’Unità per me è assurdo. Io diffondevo l’Unità casa per casa, la domenica. Non è più lo stesso giornale. Travaglio e Furio Colombo sono la destra reazionaria del Paese. Come Di Pietro».
Ne è sicuro?
«Travaglio e Colombo odiano il popolo. Pensano che il popolo sia ignorante perché vota Berlusconi».
A cena col nemico?
«Massimo D’Alema, per conoscerlo meglio».
Il libro della vita?
«La Bibbia. Il libro per antonomasia».
Dove legge?
«Soprattutto in treno. La gente si complimenta perché giro da solo e senza scorta».
È vero che sta scrivendo un nuovo libro?
«Sì, per Mondadori».
Il titolo?
«Silvio Berlusconi come Adriano Olivetti».
Come, scusi? Guardi che Olivetti è un’icona della sinistra: l’imprenditore illuminato per eccellenza.
«Lo so. Ci sarà qualche polemica. Ad agosto incontrerò Eugenio Scalfari a Cortina. Magari comincerò a parlarne con lui».
La canzone della vita?
«Emozioni di Battisti».
Ha elogiato De Gregori, Vecchioni e Jovanotti, che sono notoriamente di sinistra.
«Sono colleghi».
In che senso? Anche lei scrive canzoni?
«Solo i testi. La musica la compone il mio amico Leonardo Rosi».
Il premier ha mai cantato i suoi pezzi?
«Non ne conosce l’esistenza».
L’arte si può censurare?
«No. Ma in certi casi bisogna stare attenti ai contesti. Mogol qualche giorno fa mi ha segnalato che nella Certosa di Padula era in corso una mostra di arte contemporanea un po’ scandalosa. In quel caso andrebbe tutelata la bellezza della Certosa».
Ma l’arte è anche scandalo. Si ricorda la mostra gay a Milano?
«Difesi Sgarbi che l’aveva promossa».
Lei scrive poesie. Ha mai censurato se stesso?
«No».
Ha scritto qualche verso osé?
«Qualche riga sull’amore, ma la tengo per me».
A parte il “berlusconiano” Cascella, chi sono i suoi artisti preferiti?
«Sigfrido Bartolini e Arnoldo Ciarrocchi. Poco conosciuti, ma grandi artisti».
Negli Stati Uniti: Obama o McCain?
«I discorsi di Obama mi piacciono molto. È l’uomo del rinnovamento e del futuro».
Cultura generale. I confini dell’Afghanistan?
«Pakistan, Russia…».
La Russia, no. L’articolo 3 della Costituzione?
«Me lo dica lei».
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. Le pare che sia così in Italia?
«Credo proprio di sì».
Sa che cosa è Wikipedia?
«Una enciclopedia on line».
Se si cerca il suo nome su Wikipedia viene fuori anche la citazione di Sgarbi che racconta di quella volta in cui lei, a un convegno, accolse il Cavaliere dicendo: «Mi scusi, Presidente, se parlo in sua presenza…».
«Non ho mai detto quella frase. Ma temo di essere condannato a sentirmela attribuire».

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