Umberto Croppi (Magazine – settembre 2008)

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Quando entro nella sua stanza, Umberto Croppi, corpulento assessore alla Cultura della Capitale, è rannicchiato su un divanetto e cerca di aggiustarsi la suola scollata di un mocassino. Si alza e, con un piede scalzo, insegue la sua portavoce per farsi ridare il mastice. Alle pareti non c’è nemmeno un quadro. La scrivania è completamente ricoperta di fogli ammucchiati. Gli chiedo se non sia un siparietto minimal apparecchiato per i visitatori: una roba per far vedere che nella Capitale non c’è più la “casta”, che si va in giro con le scarpe rotte e che si lavora senza avere il tempo di fare un po’ d’ordine. «Siamo proprio così», spiega l’assessore. Dopodiché, con un po’ di fierezza, mi dice che lui è l’ultimo ad uscire da quell’ufficio. E lì, ci arriva tutti i giorni con il treno da Palestrina, la cittadina laziale dove vive: «Il pendolarismo su rotaia è un’esperienza che dovrebbero fare tutti i politici almeno una settimana all’anno».
Croppi, 52 anni, ex dirigente missino, ex cuore nero con pulsioni rosse, passato negli anni Novanta attraverso la Rete di Leoluca Orlando, i Verdi e l’Asinello rutelliano, è l’uomo forte dell’amministrazione alemanniana. «Il sito exibart.com ha scritto che sto “sbullonando la Roma veltrona”», sorride. Gli faccio notare che invece altri giornali considerano i primi mesi di amministrazione abbastanza fallimentari: tentennamenti amministrativi, film censurati… La commissione bipartisan, che Amato avrebbe dovuto guidare, sacrificata sul fuoco identitario del post fascismo. Per non parlare delle aggressioni squadriste e del Censis che mette la Capitale in cima ai luoghi in cui si ha più paura.
Croppi, non ne state azzeccando una?
«Da dove vuole cominciare?».
L’addio di Amato.
«Un’assurdità. Montata ad arte».
Dopo le dichiarazioni di Alemanno sul Ventennio, Amato ha detto che non c’erano più le condizioni per lavorare.
«Lo stesso Amato tempo fa aveva invitato a uscire dal Truman Show chi lo accusava di aiutare il nemico Alemanno. Poi c’è stata la montatura mediatica».
Amato è un politico espertissimo. Non si lascia fregare da una montatura.
«È quello che è successo. Mi sarei aspettato che rimanesse nella Commissione per disegnare il futuro di Roma».
Un sindaco non dovrebbe averne uno suo di disegno? Per ora sembrate andare a tentoni…
«C’è stata qualche incertezza iniziale: la macchina Roma è cresciuta in maniera confusa. La Commissione darà un piano strategico alla città».
La polemica sulle frasi di Alemanno ha stanato i nostalgici del Ventennio dentro Alleanza nazionale.
«Fini su questo argomento è stato definitivo».
Molti giovani di An hanno detto che loro non si definiranno mai antifascisti.
«Lo dico da osservatore. Perché non ho la tessera di An: il fascismo non è più una moneta politica. Queste polemiche non hanno senso».
Sarà, ma i nostalgici ci sono. Su un muro è comparsa una scritta “Fini partigiano”, come se fosse un insulto.
«È folclore. E andrebbe ridicolizzato in quanto tale. Ricorda i saluti romani in Campidoglio il giorno della nostra vittoria?».
Sono stati immortalati.
«Appunto. Invece andavano ignorati. Anche perché di sicuro Alemanno non li ha graditi. È estetica nostalgica».
Che fa parte del passato dello stesso Alemanno. La celtica al collo…
«La sa una cosa?».
Dica.
«La croce celtica la rispolverammo proprio io e un amico del Fronte della Gioventù a metà degli anni Settanta, per superare l’estetica polverosa del Ventennio. Allora io portavo barba e capelli lunghi, Almirante mi chiamava il “castrista” e la parola d’ordine della mia componente, la Nuova destra, era “uscire dal tunnel del fascismo”».
Il messaggio non è arrivato a molti giovani di An e a quelli di estrema destra.
«Lo so. Ma Alemanno è uscito abbondantemente da quella storia. E poi quell’estetica, oggi, non ha risvolti politici».
Ha risvolti fisici. Sulla coppia di omosessuali presi a botte, e su chi subisce violenza da parte di certi gruppetti dell’ultra-destra.
«Molte delle aggressioni di cui si è parlato negli ultimi mesi si sono rivelate non politiche. E comunque i gruppetti estremi non fanno riferimento alla maggioranza che governa il Comune. La stessa Imma Battaglia, attivista omosessuale, recentemente ha elogiato l’impegno dell’amministrazione Alemanno per realizzare il Gay Village e ha invitato tutti a non cadere nel tranello per cui bisogna vivere nel terrore perché c’è la destra in Campidoglio».
È il Censis a dire che Roma è la capitale del mondo in cui si ha più paura.
«Ma questo è un dato ereditato. Alemanno ha vinto anche perché i romani pensano che lui possa dare più sicurezza. Si sa».
Sapevate anche che sareste stati travolti dalle polemiche sulla Festa del cinema?
«Altre montature. Non ci sono state censure sul Sangue dei vinti, e nemmeno su W. di Oliver Stone. Le pare che non vogliamo un film che critica Bush?».
Già, lei non è propriamente filo-americano: una volta ha detto che l’attentato dell’11 settembre se lo sono fatti fare. E Alemanno, nel 1989, è stato qualche ora in cella per aver contestato Bush senior a Nettuno.
«È successo anche questo. La percezione negativa sui primi mesi di governo è giornalistica. Abbiamo dei sondaggi che ci dicono che i cittadini sono già più soddisfatti per la gestione dei servizi. La sa una cosa?».
Mi dica.
«Veltroni aveva commissionato alla Ipsos di Pagnoncelli un rilevamento sul gradimento dei servizi. I risultati erano catastrofici, ma non vennero comunicati al candidato Rutelli».
I romani magari non gradivano i servizi veltroniani, ma gli eventi culturali luccicavano.
«Un altro bluff di Veltroni».
Non esageriamo.
«La gestione capitolina della cultura era caotica e dispendiosa. Con punte di assurdità».
Un esempio?
«Ce ne sono decine. C’è in progetto un museo del giocattolo per il quale è stata acquistata una collezione milionaria in Scandinavia. Che c’entra con Roma? C’è una galleria comunale in pieno centro che continua ad acquistare opere da centinaia di migliaia di euro per poi infilarle in casse di legno. Il tutto custodito da otto dipendenti che la mattina entrano nella galleria e ci si blindano dentro. Bisogna razionalizzare».
Razionalizziamo.
«Il Macro, il Museo di arte Contemporanea di Roma ha una fruizione tutta serale. Che senso ha tenerlo aperto la mattina?».
Chi dirigerà il Macro? E chi guiderà il Palazzo delle Esposizioni?
«Ci stiamo ragionando. Le mie preferenze sono: Luca Massimo Barbero e Philippe Daverio».
L’intellighenzia veltroniana le sta remando contro?
«C’è un apparato autoreferenziale che per anni ha escluso chiunque dalla gestione della Roma veltrona. Stiamo lavorando per sbullonarlo. E ci sono ottimi segnali».
Tipo?
«Sul blocco degli scavi voluti da Veltroni per ricavare nella pancia del parco del Pincio settecento posti auto, abbiamo avuto l’appoggio di Paolo Portoghesi, di Massimiliano Fuksas, di Vezio De Lucia e di molti altri notoriamente più vicini a Veltroni che a noi: gli steccati stanno cadendo. Mi confronto spesso con Bonito Oliva, Gregoretti, Proietti, Minà…».
Avete abolito la Notte bianca e annunciato la Notte futurista. E sono spuntati nuovi sfottò sul nostalgismo per il Ventennio.
«Per la Notte bianca non c’erano soldi. Sul futurismo… Ognuno la veda come vuole. Il 20 febbraio 2009 il manifesto di Marinetti compie cento anni. Il comitato per le celebrazioni lo ha voluto l’ex ministro Rutelli, che me ne affidò la segreteria tre giorni prima di dimettersi».
Come, scusi?
«Sono stato l’ultima nomina da Rutelli».
E poi gli ha organizzato la campagna elettorale contro. Una pugnalata…
«Sua moglie, Barbara Palombelli, mi ha ringraziato. L’ho incontrata dopo il voto e mi ha detto: “Mi hai restituito un marito”».
Lei quando ha cominciato a fare politica?
«A 14 anni, mi iscrissi direttamente al Msi».
Perché scelse la destra?
«Mio padre, avvocato, era stato repubblichino, fascista di sinistra e anticlericale. Il Msi era nato, su spinta della Dc, proprio per evitare che quelli come lui confluissero nel Pci. Io, invece, entrai nel Msi da giovane cattolico conservatore. A quei tempi tra l’altro non c’era ancora l’antifascismo militante».
Sicuro?
«La carica di Valle Giulia contro la polizia nel ’68 la fecero insieme ragazzi di sinistra e missini. Mio padre, a quei tempi, veniva chiamato tranquillamente a parlare in quanto fascista nelle assemblee del Pci di Palestrina. Poi De Mita…».
Che cosa c’entra De Mita?
«De Mita all’inizio degli anni Settanta parla di patto tra i partiti dell’arco costituzionale e in pratica sbatte il Msi fuori dalla porta della politica. La Dc temeva la crescita elettorale del Msi. E quindi…».
I suoi anni Settanta?
«In trincea. Mia madre è morta d’infarto e mio padre ha avuto un ictus in quel periodo. Vivevamo in campagna. Avevamo paura che ci bruciassero casa. Vicino al tribunale di Roma una volta mi hanno pure sparato».
E così lei comprò una pistola.
«Che ovviamente non ho mai usato e ho subito buttato».
Altri suoi camerati hanno sparato eccome.
«Non sono giustificazionista. Con nessuno».
Che cosa pensa delle ultime dichiarazioni di Adriano Sofri sull’omicidio Calabresi? Lo definisce un attentato non terroristico, mosso non dalla malvagità ma dallo sdegno per piazza Fontana e per la morte di Pinelli.
«Io ho digiunato per Adriano. E nel 1988, quando venne arrestato, fui uno dei primi a mandargli un messaggio di solidarietà. Ma ora penso che sbagli. Dopodiché…».
C’è un dopodiché?
«Sì. Il clima di quegli anni era assurdo. Le dico solo che il giorno dell’omicidio Calabresi io ero a Palestrina. Con il parroco andammo a trovare un contadino. Be’, il figlio, un giovane dirigente dc, stava festeggiando per l’omicidio. Una follia. Gli opposti estremismi sono una creatura della Dc che gli sfuggì di mano».
È fissato con la Dc.
«Se il fascismo è il male assoluto la Dc è stato il male relativo. Chi aveva responsabilità politiche in quegli anni, dovrebbe aiutare il Paese a capire che cosa successe veramente».
Di chi parla?
«Di Cossiga, di Andreotti, di Forlani…».
Sugli anni di Piombo e sullo stragismo, ci sono stati processi su processi. La verità di Stato non è sufficiente?
«No. Nel 1980, dopo l’attentato alla stazione, io mandai i ragazzi del Fronte della Gioventù per le strade di Roma a scrivere con le bombolette spray: “Bologna, strage di Stato”. Troppe cose sono ancora troppo poco chiare».
Lei quando uscì dal Msi?
«Nel 1991. Con Rauti segretario, ero stato responsabile della Comunicazione del partito. Se fossi rimasto, dopo Fiuggi, in An, probabilmente avrei avuto un ruolo importante».
Lei si ritiene antifascista?
«Non amo le autodefinizioni. Ma ricordo che un amico socialista un giorno mi disse: “Tu durante il Ventennio saresti stato antifascista”. Non credo di poter dire lo stesso di molti di quelli che ora attaccano Alemanno».
La scelta che le ha cambiato la vita?
«Il matrimonio, con mia moglie Jennifer Lou».
A cena col nemico?
«Il primo che mi viene in mente è Massimo D’Alema, che non ho mai conosciuto».
A proposito: la leggenda vuole che lei non abbia mai conosciuto neanche Gianni Letta, sottosegretario a Palazzo Chigi e super cerimoniere del potere romano.
«Era vero fino a qualche mese fa. Ora ci sentiamo spesso: il conforto del suo parere mi aiuta».
Il film della vita?
«Apocalypse now… che però mi identifica poco, perché non amo i film di guerra».
E quindi?
«Stand by me».
La canzone?
«Hemingway, di Paolo Conte».
Il libro?
«I figli della mezzanotte, Salman Rushdie».
Cultura generale. Riconosca questi versi: «Dolente fulgore, mite regina, misteriosa malia, polvere di stelle».
«Non ho idea di che roba sia».
È il poeta Bondi. Ministro della Cultura.
«Bondi sta mostrando energie insospettabili».
Ha detto che non ci capisce nulla di arte contemporanea.
«L’importante è che abbia ottimi collaboratori».
Quanti articoli ha la Costituzione?
«Centotrentanove. Più le disposizioni transitorie e finali».
C’è chi ha proposto di inserire l’anticomunismo nella Costituzione.
«Considero i vari anti-ismi culture politiche sostitutive. Non mi sembrano modelli solidi».
Quanto costa un pacco di pasta?
«Butto la roba nel carrello senza guardare».
I confini di Israele?
«Siria, Egitto, Giordania e Libano. Ero a Gerusalemme un mese prima della guerra dei Sei giorni. Ho viaggiato parecchio tutta la vita: nell’Asia himalayana, nell’Africa equatoriale…».
Da solo o con la famiglia?
«Al più piccolo dei miei figli, quando aveva otto mesi, ho fatto fare il bagno nel Gange. Poi c’è il Medio Oriente. Sono molto attento a quel che succede lì».
Favorevole o contrario alla guerra in Iraq?
«Contrario. I fatti hanno dimostrato che l’intervento degli Stati Uniti era mosso da interessi petroliferi e ha portato l’Iraq nelle mani degli estremisti».

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