Nicola Gratteri (Sette – aprile 2010)

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Nicola Gratteri, 51 anni, venticinque dei quali trascorsi a combattere la malavita, oggi è procuratore aggiunto dell’Antimafia a Reggio Calabria. Ha fatto mettere in gattabuia più di duemila delinquenti e ogni anno fa sequestrare tonnellate di stupefacenti. Gli ’ndranghetisti hanno organizzato contro di lui un paio di attentati e quindi vive sotto scorta. Dal 1989. Non va al cinema da quando è entrato in magistratura ed è protetto dalle forze dell’ordine persino quando zappa il suo orto, a Gerace. Ma non rinuncia a lunghi tour nelle scuole per convincere i ragazzi che la carriera mafiosa non conviene: «Anche perché in quel mondo, o fai parte della famiglia giusta, oppure entri ed esci “picciotto liscio”, cioè pezzente e sfruttato».
È di poche parole. Ha un forte accento calabrese e mi dà del “voi”. Ricambio col “lei”. Procediamo tra telefono, email e chat. I suoi racconti sono vortici dell’orrore. Una palude di malaffare su cui galleggia una Calabria asfissiata e una politica se non altro distratta. Distrazione numero uno: “La chiusura delle carceri dell’Asinara, di Gorgona e di Pianosa”. Chiedo: «Perché li hanno chiusi?». Risponde: «Dovete girare la domanda ai politici». A quali politici? «Di destra e di sinistra. Chiudono le carceri, quelle più dure ed efficaci, e poi fanno l’indulto per sfoltire le altre carceri. Strano, no?». Distrazione della politica numero due? «La normativa sulle intercettazioni». Visto il patatrac scaturito da quelle di Trani, che hanno travolto il premier, il direttore del Tg1 e l’Agcom, partiamo da qui.
Lei ha definito le intercettazioni “economiche, garantiste e sicure”. Una provocazione?
«No».
Se sono economiche, perché il ministro Alfano sostiene che l’Italia dilapidi un patrimonio in intercettazioni?
«Chiedetelo a lui. Sono un esperto e vi assicuro che costano poco: per intercettare una persona 24 ore al giorno si spendono 12 euro più Iva».
La spesa complessiva dipende da quante intercettazioni si fanno, però.
«Provate a immaginare quanto costerebbe ottenere le stesse informazioni con altri mezzi: uomini e macchine per i pedinamenti…».
Si dice: sono troppe le persone che hanno visto violata la propria privacy pur non avendo commesso reati.
«Si potrebbe tranquillamente scoprire chi fa uscire certe notizie. E io sono favorevole a un maggiore controllo sulle informazioni che non riguardano il contenuto del capo d’imputazione…».
Però…?
«Però non si metta in discussione uno strumento così indispensabile per la lotta alle mafie: i pentiti e i collaboratori di giustizia possono manovrare quel che dicono. Gli intercettati, no. E poi i pentiti di ’ndrangheta sono rari».
Quanto rari?
«Io ne ho conosciuto solo uno».
Uno in più di vent’anni?
«Sì. Un killer ragazzino. Un professionista abilissimo che ripercorreva a ritroso le sue orme per non lasciare tracce».
Perché sono così pochi?
«È un sistema mafioso fondato sui legami di sangue. Ci si sposa anche tra cugini. Si fondano dinastie criminali con i matrimoni».
Che cosa c’entra questo col mancato pentimento?
«Un pentito dovrebbe denunciare e mettere nei guai tutti i suoi parenti più stretti. Impossibile. Così la ’ndrangheta è diventata l’organizzazione criminale più “affidabile” del pianeta».
Nel suo libro La malapianta (scritto con lo storico Antonio Nicaso), lei parla di un giro di affari di 44 miliardi di euro.
«Con “locali”, cioè cellule, in tutto il mondo. Circa 27 miliardi solo con il narcotraffico».
Nel libro scrive anche che se il narcotraffico venisse debellato, l’economia degli Stati Uniti subirebbe perdite del 20% circa. Un paradosso?
«No. Quando si parla di narcotraffico bisogna tenere conto del denaro che si ricicla nell’economia di un Paese. La ’ndrangheta, quando si muove sotto traccia, purtroppo non dà fastidio, anzi».
La ’ndrangheta in Italia dove ricicla?
«Ovunque: supermercati, ristoranti… I mafiosi fanno valanghe di soldi con la droga. Contrariamente agli imprenditori onesti, hanno interesse a pagare molte tasse per giustificare il loro tenore di vita».
Le mafie hanno usato lo scudo fiscale?
«Non lo so. Non lo escluderei».
È vero che la ’ndrangheta vuole mettere le mani su Expo 2015?
«A questa domanda non posso rispondere».
La sua non risposta è una risposta. La ’ndrangheta ha fatto molti affari nel Nord?
«Quando gli imprenditori del Nord vincono appalti in Calabria, spesso prima di iniziare i lavori trattano con la ’ndrangheta».
Che cosa trattano?
«Le tariffe del lavoro nero, la percentuale da versare per non subire danni nei cantieri…».
Il pizzo.
«A far crescere economicamente molti ’ndranghetisti negli anni Settanta sono stati gli imprenditori del Nord che non avevano fiducia nello Stato. Pensare che le mafie agiscano solo nel Sud Italia è la prima forma di resa alla ’ndrangheta».
La seconda?
«Chi fa uso di cocaina sovvenziona la ’ndrangheta. Sembra una banalità, ma spesso non lo si considera».
Perché finora si è parlato così poco della ’ndrangheta?
«Perché è sempre stata considerata una mafia stracciona. Se ne parlava solo durante i sequestri. Durante il periodo stragista di Cosa Nostra, invece, la ’ndrangheta ha silenziosamente preso il sopravvento».
Ora ci sono stati l’omicidio Fortugno, la strage di Duisburg e la bomba alla Procura di Reggio Calabria.
«Qualcosa sta cambiando nella ’ndrangheta: ci sono tanti giovani che scalpitano».
Vogliono conquistare potere?
«È un momento particolare. C’è qualcuno che si sta muovendo fuori dagli schemi tradizionali della malavita calabrese. Se ne stanno occupando gli inquirenti».
L’ha stupita la vicenda dei voti procacciati dai boss calabresi in Germania all’onorevole Di Girolamo?
«No. La ’ndrangheta vota e fa votare. In Calabria sono stati condannati per mafia anche politici eletti in Parlamento. In linea di massima però è interessata soprattutto agli enti locali che gestiscono risorse sul territorio».
Lei ha scritto che ormai “sono i politici a cercare gli ’ndranghetisti, non il contrario”.
«È così, anche perché con la “Santa”, un rango d’élite ’ndranghetista creato negli anni Settanta, i mafiosi calabresi si sono intrecciati con le logge deviate della massoneria e hanno acquisito sempre più peso e poteri, non solo in Calabria».
In Sicilia è stato appena arrestato un boss architetto. Anche gli ’ndranghetisti hanno fatto il salto di qualità nell’istruzione?
«Certo. Ma un piede nella tradizione lo mantengono sempre».
Mi fa un esempio?
«I riti di affiliazione sono ancora legati ai miti di Osso, Mastrosso e Cargagnosso».
Chi sarebbero?
«Tre fratelli, leggendari, fondatori nel XVI secolo di mafia, ’ndrangheta e camorra. I riti garantiscono, anche a chi comunica solo con Skype per non farsi intercettare, il senso di appartenenza a qualcosa che ha radici antiche».
È vero che sono le donne a tramandare le tradizioni ’ndranghetiste?
«Sono le vestali della cultura mafiosa. E sono loro a chiedere vendetta quando sono colpite negli affetti».
Lei da ragazzo ha mai subito il fascino del malavitoso?
«No. E non ho mai avuto manie di grandezza».
Che studi ha fatto?
«Elementari a Gerace. Medie e liceo a Locri. Il mio compagno di banco è stato ammazzato a colpi di lupara».
Le è mai capitato di avere a che fare per lavoro con i suoi vecchi compagni di classe?
«Per alcuni ho chiesto io la pena».
L’Università?
«La voglia di studiare venne dopo la morte di uno zio avvocato: durante la sua malattia trascorsi un po’ di tempo con lui e decisi che dovevo provare Legge. A Catania».
Perché lasciò la Calabria?
«Per allontanarmi dalla gente della Locride».
Catania anni Settanta. Era un contestatore?
«Facevo vita ritirata. Volevo finire presto per non pesare sulle finanze della mia famiglia. Dopo la laurea cominciai a studiare segretamente per il concorso in magistratura».
Perché segretamente?
«Per non creare aspettative. I fatti valgono più di mille parole».
Il primo arresto effettuato da magistrato?
«Settore della forestazione. Si dimise la giunta regionale».
Vita sotto scorta. Mai pensato: “chi me lo fa fare”?
«Quando ho cominciato a fare il magistrato ho messo in conto tante cose».
Nel 1996 una delle sue macchine di scorta investì e uccise un ragazzo.
«Fu un incidente. I clan di Locri ne approfittarono per attaccarmi. Presero in ostaggio la città, bloccarono strade e ferrovia. Un politico sostenne la mia incompatibilità col territorio. Il processo, celebrato a Messina per legittima suspicione, ha dimostrato che il giovane aveva tagliato la strada all’auto di scorta».
Fa anche le vacanze sotto scorta?
«Non vado quasi mai in vacanza. Le mie ferie le utilizzo andando a parlare ai giovani nelle scuole».
Come le sembrano? Rassegnati o determinati?
«C’è tanta rabbia e voglia di lottare».
A un giovane imprenditore calabrese, lei consiglierebbe di restare in Calabria, oggi?
«Sì. Anche se i boss determinano ogni battito cardiaco dei calabresi, credo ci sia spazio per combattere e resistere».
Si rischia la vita.
«Il coraggio fa la differenza tra gli uomini. Certo, a un ragazzo mi piacerebbe poter dire che se acchiappo un boss lo farò stare dietro le sbarre venti anni».
Non è così?
«A me è capitato di vedere persone che ho fatto condannare, uscire, delinquere e rientrare in carcere a ciclo continuo».
Vorrebbe pene più dure?
«Vorrei pene adeguate. Se vendi droga o tieni sotto ricatto un paese, il prezzo da pagare dovrebbe essere alto».
Quante sono le famiglie ’ndranghetiste?
«In questo momento ci sono circa 170 “locali”, con 1.500 affiliati ciascuno».
C’è un capo dei capi super latitante?
«No. La ’ndrangheta è molto federalista. C’è un organismo di raccordo, che si riunisce a San Luca, ma serve solo a evitare conflitti».
A cena col nemico?
«Le mie cene sono sempre di lavoro e non prevedono nemici».
Ha un clan di amici?
«Ho amici di lunga data. Pochi ma buoni».
La scelta che le ha cambiato la vita?
«Cominciare a studiare seriamente, mettendo da parte i motori».
Era appassionato di macchine?
«Abbastanza. Di auto e di moto».
L’errore più grande che ha fatto?
«Non ho nulla da rimproverarmi».
Rinunce?
«Tante. Ho rifiutato incarichi altisonanti».
La canzone preferita?
«Non ne ho, ascolto di tutto».
Il film?
«L’ultimo che ho visto in un cinema è di 30 anni fa».
Scherza?
«Mi pare che fosse La febbre del sabato sera».
Il libro?
«Gli ultimi che ho letto sono Eros Terminal di Oliviero Beha e La bellezza e l’inferno di Roberto Saviano».
Che cosa guarda in tv?
«Notiziari o approfondimenti».
I film e le fiction sulla mafia… c’è chi è contrario perché i mafiosi ne escono troppo affascinanti.
«Non amo la censura. Ma eviterei di mitizzare i boss».
Sa qual è l’articolo 139 della Costituzione?
«Mi pare che abbia a che fare con la forma Repubblicana… Ma ho più dimestichezza con il diritto Penale».
I confini della Colombia?
«Ci sono stato più volte: Panama, Perù, Brasile…».
Quanto costa un litro di latte?
«Un euro e mezzo? Confesso: non faccio la spesa».
E quanto costa un voto?
«Il voto per alcuni è un investimento. A chi lo riceve costa un favore».

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Categorie : interviste
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