Marcello Lippi (Magazine – febbraio 2009)

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Marcello Lippi, sessant’anni, cittì della Nazionale, vincitore del Mondiale di Germania nel 2006, mi accoglie nella veranda di un hotel di Viareggio. Parla a bassa voce, con garbo. Negli ultimi due anni è stato invitato da università, da aziende e da federazioni calcistiche di tutta Europa per spiegare i segreti della costruzione di un gruppo vincente. Su questi argomenti mette il pilota automatico: lo spogliatoio, i leader, l’importanza del fuoriclasse che lavora per la squadra, e via dicendo. Diventa ruvido, molto ruvido, solo quando cerco di spostare la conversazione dalle vette del pianeta pallonaro al retrobottega di Calciopoli. L’uomo che fa il mestiere che vorrebbero fare quasi tutti gli italiani, è arrivato dov’è correndo con la maglia della Sampdoria negli anni Settanta e sedendosi sulla panchina di molte squadre della provincia toscana durante gli Ottanta. Nei Novanta poi, dopo una breve esperienza con il Cesena, con l’Atalanta
e con il Napoli, è approdato alla corte bianconera: lì ha vinto scudetti e coppe in quantità. L’Avvocato Agnelli lo definì
il miglior prodotto di Viareggio, dopo Stefania Sandrelli. Quando gli domando quale sia stata, in questa lunga scalata
calcistica, la scelta che gli ha cambiato la vita, mi descrive il momento in cui, da giovane guida della Primavera della Sampdoria, accettò di allenare il Pontedera, in C2. «Volevo la lotta per i primi posti o per evitare la retrocessione.
Sono un animale da classifica». E allora, eccoci. Cominciamo applicando l’esperienza lippiana alla classifica del campionato in corso.
Chi vince lo scudetto?
«L’Inter. Dovrà sudarselo. Ma ha l’organico più forte».
La squadra che gioca meglio?
«Ne dico due: il Genoa di Gasperini e il Cagliari di Allegri. Guardarle è piacevole».
Per lei conta più l’organico che il bel gioco?
«Contano la concretezza e la continuità. Che non escludono il bel gioco».
Nel campionato italiano si vede meno bel gioco che altrove. In Inghilterra…
«Non sono d’accordo. I nostri calciatori sono i migliori al mondo per cultura del lavoro e mentalità».
Li coccola come una chioccia.
«Ma figuriamoci. Non ho difficoltà a dire che sono bravi, ma maleducati. Si rivolgono agli arbitri in maniera troppo sguaiata. Io al primo sgarbo li butterei fuori».
Al primo sgarbo, ma non alla prima bestemmia. Lei ha difeso il diritto dei giocatori di bestemmiare.
«Sono stato frainteso. Ho solo detto che in molti dialetti la bestemmia è molto comune. Siete voi giornalisti che ci marciate, come sui gay».
Ha detto che nel calcio non ne esistono.
«No. Ho detto che non ne ho incontrati. E che se un ragazzo mi confessasse questa sua inclinazione sessuale gli
sconsiglierei di fare coming out».
Perché?
«Per non creare scompiglio nello spogliatoio».
Chi è il giocatore rivelazione del campionato?
«Pato del Milan. Non credo che al mondo ci sia un ragazzo sotto i venti anni più forte di lui».
Il nostro under 20 più forte?
«Se dico un solo nome, domani i giornali lo considerano convocato per la prossima partita».
Ne dica tre.
«Uhm. Giovinco, Marchisio…».
Giovinco e Marchisio… entrambi juventini.
«Aggiungo Acquafresca, del Cagliari. Tutti e tre hanno l’Europeo a giugno con l’Under 21. Per ora stanno bene lì. Comunque, c’è tutto l’anno prossimo per metterli alla prova e convocarli in Nazionale. L’unico che ho voluto subito dalla squadra dei giovani di Casiraghi è stato Giuseppe Rossi».
Che gioca in Spagna nel Villarreal.
«È maturo, come lo era De Rossi, della Roma, quando lo chiamai giovanissimo tra gli Azzurri».
De Rossi e gli altri reduci dalla finale di Berlino ci saranno al prossimo Mondiale sudafricano?
«Non cominciamo con queste domande».
Sa com’è, ci sono un po’ di pratiche aperte. Si è riaffacciato allo spogliatoio azzurro anche Totti.
«I ragazzi lo sanno: non farò le convocazioni pensando a un debito di riconoscenza. Ma prima di privarmi della saggezza, del carisma e dell’esperienza di certi fuoriclasse ci penserò bene».
Amauri…
«Non ne parlo».
La Federazione brasiliana lo ha convocato. La Juve gli ha dato lo stop. C’è anche il suo zampino in questa operazione? Spera ancora di farlo giocare in azzurro?
«Non ho commenti da fare. E in ogni caso aspetto che Amauri stesso faccia una scelta definitiva sulla sua nazionalità».
Chi sono i giocatori su cui le fanno più richieste nei bar?
«Del Piero e Cassano. Li raccomandano. Allora io tiro fuori un blocchetto e faccio finta di segnarmelo, dicendo: “Così
non me li scordo”».
Le capita mai di bisticciare con qualche tifoso troppo infervorato?
«È un continuo di commenti e osservazioni. È normale. Una volta sono sbottato con un signore che mi rimproverava
una sostituzione di Del Piero. Erano le 6 di mattina. Ero appena rientrato da Torino, stanco. Gli dissi: “Si beva il cappuccino e non rompa i coglioni”».
Come costruirà la Nazionale per il prossimo Mondiale?
«Come ho sempre fatto. Cercando di mettere insieme fuoriclasse altruisti. Io faccio una certa distinzione tra campioni
e fuoriclasse».
Ci spieghi.
«Il campione è semplicemente molto dotato. Il fuoriclasse mette le sue doti al servizio della squadra. Se c’è una testa
di cavolo che semina scompiglio nello spogliatoio e non riesce a sintonizzarsi con gli altri, lo prendo per un orecchio
e lo allontano. Quel che perdo tecnicamente lo recupero dagli altri di cui ho difeso l’impegno e la dignità».
Ci litiga mai con i suoi giocatori?
«Certo. Una volta con un ragazzo del Cesena sono quasi venuto alle mani. E poi con Bobo Vieri…».
Bobo Vieri è uno bello grosso con cui scontrarsi.
«Anni fa, alla fine di un primo tempo, bofonchiò un paio di parole di troppo. Ci dovettero dividere. Poi la sera a cena,
a un certo punto sentii una zampa d’orso che mi si poggiava sulla spalla. Era lui che veniva a fare pace. Litigare e chiarirsi a volte fa bene».
Mi fa i nomi di tre “fuoriclasse” che ha avuto in squadra recentemente?
«Gattuso, Materazzi e Cannavaro…».
Non sono esattamente giocatori con piedi raffinatissimi.
«Ma sono grandi uomini-squadra. E poi Cannavaro ha vinto il Pallone d’oro e il Fifa World Player, dopo il Mondiale
del 2006».
Due mesi prima di quel Mondiale c’è chi non lo voleva in Nazionale, in quanto simbolo della Juve di Moggi, Bettega e Giraudo.
«Capito?».
Quella coinvolta in Calciopoli era la sua Juve.
«Preferisco non parlarne».
Il manifesto nel maggio 2006 titolò: “Lippi Cannavaro e Buffon a casa, o tiferemo Ghana”.
«Ricordo titoli peggiori».
C’era un fronte politico che andava da Gasparri a Pecoraro Scanio che la voleva lontano dalla Nazionale.
«È un argomento che non voglio più toccare. Ci furono strumentalizzazioni assurde».
Ora i giudici di Moggiopoli hanno condannato Luciano Moggi e il figlio e hanno assolto gli altri.
«C’era anche mio figlio tra gli assolti. E non ne poteva uscire più pulito. Ripeto. Non ne parlai allora, per non alzare ulteriormente il polverone. Le pare che ne parlo oggi?».
Prima del Mondiale del 2006, viste le polemiche, ha mai pensato di mollare?
«Mai. Ma dopo, a scanso di equivoci, mi sono levato dalle scatole».
Pentito?
«Sì. È stato l’errore più grande della mia vita professionale. Avevo lasciato un arsenale. Ho rischiato di perderlo.
Per fortuna l’ho ritrovato».
Quando ha dato il suo primo calcio a un pallone?
«In un momento indefinito della mia infanzia. Ricordo che ero in pineta. È lì che ho imparato, dribblando alberi».
La sua prima squadra?
«La Stella rossa».
Un team di “compagni”?
«Ogni tanto sul pullman partiva qualche Bella ciao. Ma nulla di più. In compenso mio padre era socialista, della
vecchia guardia. E, per questo, anti juventino, anti padrone».
Lei è mai stato anti juventino?
«No. Ricordo le discussioni al bar con papà, guardando le partite. Lui pur di dare contro alla Juve, negava l’evidenza
di certi rigori. Nel 1994 prima di accettare l’incarico di allenatore bianconero, sono andato sulla tomba di mio padre e gli ho detto: “Abbi pazienza”».
Nel 1994, prima che alla Juve, lei stava per finire all’Inter.
«Ci fu qualche incontro con il presidente Pellegrini. Sua moglie una sera mi fece pure una specie di test calligrafico. Per capire il mio carattere. Ma non si raggiungeva l’accordo e quindi… Calcoli che Pellinacci, il presidente del Pontedera, la mia prima squadra, me lo aveva detto: “Lei finirà alla Juve”».
Alla Juve, dopo 20 anni di gavetta come allenatore.
«La prima sconfitta ce l’ho ancora stampata in testa. Derthona 3 – Pontedera 0. Pensai: “Ma chi me lo ha fatto fare di lasciare le giovanili della Samp?”. Mi feci la stessa domanda dopo il primo esonero, a Siena. Quando ti mandano via da una squadra di serie C ti crolla il mondo addosso».
Con occhio da allenatore. Mi dica l’azione a cui avrebbe voluto partecipare?
«Quella del secondo gol alla Germania, nella semifinale Mondiale del 2006: uscita imperiosa di Cannavaro dall’area, lancio di Totti a Gilardino che tiene palla aspettando che arrivi Del Piero… passaggio e gol».
Il gol più bello di sempre?
«Di nuovo Del Piero, ma con la maglia bianconera. Un pallonetto forte, al volo, d’esterno alla Fiorentina. Lo ricorda?».
Sì. Ma mi aspettavo che dicesse qualcosa come il gol di Maradona all’Inghilterra nel 1986.
«Quel gol di Del Piero per noi fu molto importante».
La spina dorsale ideale di una squadra? Portiere…
«Buffon, senza dubbio».
Difensore?
«Ciro Ferrara».
A centrocampo e in attacco?
«Didier Deschamps e Gianluca Vialli».
Ha citato solo juventini!
«Preferisco parlare di chi ho allenato».
La canzone della vita?
«Una carezza in un pugno. La canto in continuazione. Celentano è il mio preferito».
L’ha mai conosciuto?
«La prima volta l’ho visto alla Bussola».
Il locale leggendario in Versilia…
«Sì. Ci riuscivo a entrare perché mio zio era caposala. Altrimenti non me lo sarei mai potuto permettere».
Il film?
«Mi piacciono quelli storici: Ben Hur… quella roba lì. Ma se devo dire un solo titolo è Il paradiso può attendere, con Warren Beatty».
Il libro?
«Non ne ho letti moltissimi. Il mio preferito è la storia dell’Artiglio: un gruppo di sommozzatori viareggino. Andavano a decine di metri di profondità con attrezzature rudimentali».
Anche lei fa il sub?
«Diciamo che il mare è un elemento fondamentale della mia vita. Con i miei migliori amici vado per mare».
Ha un gruppo di amici fedelissimi?
«Sì, viareggini: Mauro, Attilio…».
A cena col nemico?
«Non ho idea. Mi suggerisca lei un nome».
Zdenek Zeman.
«Mai. Con lui, mai».
È l’allenatore anti Juve per eccellenza e chiese le sue dimissioni quando scoppiò Calciopoli.
«Non si può andare a cena con un nemico di quel livello. Invece direi Capello: era il mio antagonista milanista quando allenavo la Juve e ora rischia di esserlo con la sua nazionale inglese. Tra l’altro con lui ci vado davvero a cena».
Com’è la sua Inghilterra?
«Molto umorale».
Lei ci andrebbe ad allenare all’estero?
«Negli ultimi due anni ho ricevuto offerte da tutto il mondo. Persino dal Messico. Non sono nemmeno andato a parlarci, per non fargli perdere tempo».
Lo esclude anche per il futuro?
«Tra i miei motti c’è anche “mai dire mai”».
Cultura generale. I confini dell’Argentina?
«L’Oceano… Il Brasile…».
Maradona sarà un buon ct?
«Nello spogliatoio i suoi giocatori lo ascolteranno come un oracolo».
Maradona…?
«È un fuoriclasse».
Malgrado fuori dal campo ne combinasse di tutti i colori?
«Da giocatore era capace di coinvolgere tutti, e di farsi voler bene da tutti. Forse a Napoli gli hanno voluto addirittura troppo bene».
Lei ha detto che i ragazzi vanno lasciati liberi di divertirsi, se non esagerano.
«A venticinque anni… mi pare ovvio».
Lo dice perché una volta da ragazzo, il suo allenatore alla Samp, Bernardini, la beccò con due parrucchiere?
«Io ai giocatori dico sempre: “Vivete la spensieratezza dei vostri anni, fate le vostre cazzate, perché a 20 anni hanno un sapore che non troverete più. Ricordatevi però che fate un lavoro particolare. Uno non può fare tutte le sere le 4 se fa il professionista di calcio”».
Ancora cultura generale. Sa quando è caduto il Muro di Berlino?
«Venti anni fa, nel 1989. Ho pure conosciuto Gorbaciov».
Dove e come?
«L’Avvocato ogni tanto portava all’allenamento della Juve questi super big internazionali. Venne pure Kissinger».
L’Avvocato era molto presente?
«Sì. Quando perdevamo per aver snobbato un avversario, si presentava al campo e restava in disparte a parlare col magazziniere. Era un modo per dirci: qui c’è gente che guadagna un centesimo di quel che prendete voi, vedete di svegliarvi».
Sa che cosa è Facebook?
«Me ne parlano spesso i miei figli».
Che cosa farebbe se venisse a sapere che un suo giocatore parla male di lei nel proprio spazio su Facebook?
«Glielo dirò quando succederà».
Intanto è successo che Buffon sul suo sito assegna alla Juve gli scudetti dal 2004 al 2006. Contento?
«Che fa, insiste?».

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