Gianluca Paparesta (Magazine – febbraio 2009)

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Gianluca Paparesta, 39 anni, commercialista ed ex arbitro, ha due missioni: tornare a fischiare un calcio d’inizio su un prato verde e fare sì che il suo cognome non finisca più in una frase in cui c’è anche la parola spogliatoio. Per l’immaginario calcistico, lui è “quello chiuso da Moggi nello spogliatoio”. Tanto che la prima cosa che penso quando mi accorgo che è in ritardo di venti minuti è: e se un tassista tifoso pazzo lo avesse chiuso nel portabagagli? Paparesta si presenta in gessato grigio, cravatta a pallettoni rossi e un’abbronzatura che è una piccola dichiarazione di vanità. Non fa nemmeno in tempo a sedersi sui divanetti dell’hotel Plaza, a Roma, che ha già cominciato a parlare dei suoi processi, archiviati, delle sanzioni disciplinari, scontate, e del fatto che è l’unico arbitro che ha chiarito tutto con la
giustizia, ma è tenuto lontano dai campi. È finito nel girone infernale di Calciopoli per la vicenda delle schede telefoniche di Moggi, per i presunti contatti illeciti con un dirigente del Milan, Meani, e per i fattacci dello spogliatoio di Reggina-Juventus. Ospite di Simona Ventura a Quelli che il calcio, Paparesta ha lasciato intendere che se lui viene discriminato, è solo perché non è stato “funzionale al sistema”. Provo a sdrammatizzare: «Gene Gnocchi sulla Gazzetta ha scritto che agli esami di maturità avrebbero dato da tradurre la versione di Paparesta». Non ride. Ci diamo del tu.
Partiamo dai tasti dolenti. Stadio Granillo, 6 novembre 2004. La versione di Paparesta.
«Non esiste nessuna versione di Paparesta».
Moggi, intercettato, si vantava di averti chiuso nello spogliatoio. Tu neghi che sia successo. Ma Giovanni Remo, dirigente della Reggina, sostiene che Moggi gli diede le chiavi, e che per qualche secondo sei rimasto chiuso. Magari non te ne sei accorto.
«Non se ne è accorto nessuno. Nello spogliatoio con me c’erano anche i due guardalinee e il quarto uomo».
Moggi e Giraudo, ex dirigenti della Juventus, entrarono nello spogliatoio e fecero una scenata.
«Vennero a protestare, per un rigore non assegnato e un gol annullato».
È un’abitudine dei dirigenti presentarsi dagli arbitri sbraitando?
«Diciamo che può succedere».
Perché non hai denunciato l’accaduto sul referto della partita?
«È stato l’errore più grande della mia vita. E l’ho pagato: la Corte federale mi ha sospeso per tre mesi».
I maligni dicono che non hai scritto nulla per paura di ritorsioni da parte di Moggi.
«Non mi andava di aggiungere tensione a tensione».
Due giorni dopo il fattaccio hai chiamato Moggi. E i quotidiani hanno scritto che era per scusarti.
«Le intercettazioni dimostrano che lo invitai a smettere di pilotare una campagna di stampa contro di me».
Lo chiamasti da un telefono con scheda svizzera. Una di quelle finite nell’inchiesta di Calciopoli.
«Lo chiamò mio padre e mi passò il telefono. Io, come ampiamente dimostrato, ignoravo l’esistenza di quelle sim
svizzere».
«Qualche mese prima aveva chiesto al presidente dell’Associazione arbitri (Aia), Lanese, un incarico locale. Lanese
gli disse che era Moggi a incidere su quelle decisioni».
Moggi? Un dirigente della Juve…
«Mio padre lo incontrò e lui gli diede quel telefono».
Non mi pare una scena edificante.
«La procura di Napoli, che sta portando avanti proprio ora il processo penale di Calciopoli, anche sulla questione delle
schede mi ha giudicato estraneo e ha archiviato la mia posizione».
Ma un anno fa (nell’aprile 2008) per quella storia hai patteggiato una condanna di due mesi con la giustizia sportiva.
«Mi avevano detto che era il modo più rapido per tornare ad arbitrare. Una fregatura…».
Resta la vicenda dei tuoi rapporti con il dirigente del Milan, Meani: gli passasti un dossier chiedendogli di consegnarlo a Berlusconi.
«Ma quale dossier. È una montatura».
Dicono tutti così.
«Meani, che si occupava dei rapporti con gli arbitri, una sera, al termine della gara, mi disse che Berlusconi non era allo stadio e che altrimenti sarebbe passato a salutare. Replicai che il premier aveva altro a cui pensare. Sono anche un revisore dei conti e il giorno prima ero venuto a sapere che l’Ue voleva sanzionare il governo per una violazione del trattato di Kyoto. Il famoso dossier per Palazzo Chigi, in realtà era una newsletter pubblica che spiegava la possibile sanzione».
Perché un arbitro di calcio si preoccupa di informare il premier su una cosa che probabilmente il premier sa benissimo?
«Ritenevo che non lo sapesse. E non ho mica segnalato un mio interesse personale».
Non è che ti piaceva l’idea di avere un qualsiasi rapporto con un capo di governo?
«Ho segnalato un problema pubblico. Ingenuamente, lo ritenevo doveroso. Comunque sono stato prosciolto anche
da quelle accuse e non è emerso alcun favoritismo nei confronti del Milan».
Allora perché non stai arbitrando?
«Questo andrebbe chiesto all’Aia e al designatore Pierluigi Collina. Io, dopo la prima sospensione, nel novembre
2006 ho ripreso ad arbitrare. Poi è cominciata una serie di decisioni dell’Aia, praticamente ad hoc contro di me».
Ma chi ce l’ha con te e perché?
«Forse non piace il fatto che sono testimone al processo di Napoli e che ho detto che nel mondo arbitrale si avvertivano certe pressioni. Chi ce l’ha con me? Non lo so. Fatto sta che Collina e Gussoni, l’ex presidente dell’Aia, per
mesi mi hanno rassicurato sul fatto che mi avrebbero reintegrato. Mi hanno pure convocato a Roma».
Per dirti che cosa?
«Che avevo la loro parola d’onore. Pensa tu… Persino il Consiglio di Stato mi ha dato ragione dicendo che, o mi reintegravano, perché dal punto di vista della giustizia sportiva è tutto risolto, oppure dovevano motivare la mia
esclusione con motivi tecnici».
Com’è finita?
«Collina mi ha allontanato per “normale avvicendamento”. Lui… che mi aveva chiamato per dirmi che non aveva motivi tecnici per escludermi».
Francesco Boccia, onorevole del Pd, ha fatto un’interrogazione parlamentare in cui in pratica dice: perché gli arbitri Rocchi, Dondarini e Griselli, rinviati a giudizio al processo di Napoli, ancora arbitrano e Paparesta, la cui posizione è stata archiviata, no?
«Bella domanda. Mi viene in mente una intercettazione del 2004 in cui un alto dirigente della Federazione, ancora in carica, dice a Moggi che la giustizia sportiva è sui generis e che bisogna prendere persone funzionali al sistema. L’intercettazione l’ho messa sul mio blog».
L’Espresso la settimana scorsa ha scritto che l’alto dirigente citato sul tuo blog sarebbe Antonello Valentini, capo ufficio stampa della Federazione calcio.
«Se gli inquirenti non lo hanno coinvolto nei processi, avranno le loro ragioni. Io non voglio creare problemi né a lui né a nessun altro. Mi interessava evidenziare il meccanismo descritto in quella telefonata».
Il sistema. Gestione del potere o vero e proprio meccanismo per pilotare i campionati?
«Non credo che i campionati siano stati decisi a tavolino».
Non è che se ti ridanno la giacchetta nera ti metti zitto e buono, “funzionale” al sistema?
«Non lo sono mai stato e non potrei mai. Intanto vorrei che qualcuno accertasse se c’è ancora un “sistema”.
Ho portato apposta un dossier, con documenti e considerazioni, al Procuratore federale Stefano Palazzi. E poi vorrei tornare ad arbitrare. Non è facile smettere dopo vent’anni… il profumo dell’erba in campo…».
Quando hai arbitrato la tua prima partita?
«A diciassette anni: una partita di bimbi. Ma respiravo fischi e sbandierate sin dall’infanzia. Ho sempre seguito mio padre».
Da ragazzino nessuno sogna di fare l’arbitro.
«Già. L’immagine è un po’ sfigata. Prima ho giocato a basket, poi a calcio. Ma ho capito che non avrei sfondato».
Arbitri. Che cosa è cambiato tra la generazione di tuo padre e la tua?
«Tutto. Anche il fatto che prima non potevi pensare di vivere di solo fischietto».
Ora sì?
«Certo. Un arbitro internazionale arriva a guadagnare circa 180.000 euro l’anno».
Come, scusa?
«Settantamila euro di fisso e poi 3.500 circa a partita. Un’altra differenza fondamentale è la preparazione: mio padre andava a correre con gli amici. Ora ci sono i ritiri».
Chi è il giocatore più forte che hai mai arbitrato?
«Ronaldinho. E poi Cassano».
Lippi doveva convocare Cassano?
«Sì. Antonio è un fenomeno, un talento pazzesco».
Da tifoso chi vorresti come allenatore della tua squadra: Lippi o Zeman?
«Lippi ha vinto il Mondiale, è il top. Ma questa storia di Cassano…».
L’azione più incredibile a cui hai assistito da arbitro?
«Una fuga palla al piede di Adriano. Durante Inter-Udinese. L’ho seguito per tutto il campo. Che potenza!».
Il giocatore più irascibile con voi arbitri?
«Gattuso. Fuori dal campo è un ragazzo tranquillo. In campo si trasforma. Mi ha ringhiato in faccia persino durante un’amichevole con la Nazionale cantanti».
Quale è stata la prima partita tra big che hai arbitrato?
«Milan-Juve, in notturna. Ero emozionato. La prima volta a San Siro non te la scordi più. A fine partita Ancelotti,
che allora allenava la Juve, venne a complimentarsi. Ero soddisfatto. Dopo la doccia, Ancelotti ribussò».
Per dirti che cosa?
«Che confermava i complimenti, ma in tv aveva visto che avevo dato un rigore al Milan che non c’era».
Come si sente un arbitro dopo aver preso una toppa clamorosa?
«Male: siamo consapevoli di incidere sul lavoro dei calciatori, degli allenatori e su parecchi interessi».
Gli arbitri guardano le proprie pagelle sui giornali?
«Sì. Da ragazzo non vedevo l’ora di essere pagellato».
Sei un po’ vanitoso.
«Un po’ di vanità c’è, lo ammetto».
Ogni tanto arriva il votaccio.
«Col tempo impari a dimenticare in fretta pure le sviste più gravi. Anche perché, ormai, gli errori te li fanno notare due minuti dopo che li hai commessi. E se non impari a ignorarli rischi di andare in confusione».
Ti hanno mai segnalato una tua toppa in diretta?
«Più volte. I giocatori ti si avvicinano, protestano, lo stadio ruggisce. Tu stai in mezzo al campo e intorno ci sono persone che sanno che hai sbagliato, perché qualcuno a casa o a bordo campo ha visto le immagini al ralenti e glielo ha comunicato. Vai avanti, ma gli altri sanno che in qualche modo il match è stato falsato. È per questo che sono favorevole alla moviola in campo sul modello del basket Nba».
Chi si oppone dice: «La moviola snaturerebbe ilcalcio».
«Ma il calcio si è già evoluto più volte. All’inizio c’era un arbitro su un seggiolone, tipo quelli del tennis, ora ce ne sono quattro. Io sono per usare la moviola solo in certe occasioni».
Fammi qualche esempio.
«Quando è in dubbio se la palla è entrata o no. E poi sulla condotta violenta: può capitare che a un arbitro sfugga un pugno, un calcione o uno sputo, be’, in quei casi…».
Sui fuorigioco?
«Direi che dovrebbe essere l’arbitro a decidere. Se ha dei dubbi, si ricorre alla moviola».
Sei favorevole anche al chip dentro il pallone che segnala quando è entrato completamente?
«Certo. Preferisco un’innovazione tecnologica che dia certezze a un aumento del numero di arbitri».
Com’è la vita di chi viene insultato sempre e comunque?
«Gli insulti non fanno piacere. Ma il vantaggio di fare l’arbitro è che ti abitui sin da ragazzo a confrontarti con realtà ostili. È molto formativo».
Realtà ostili?
«Quando vieni catapultato in un campo del Casalese ad arbitrare una partita interregionale, può succedere di tutto».
Racconta.
«Una volta un dirigente mi ha mostrato la pistola: “Non si preoccupi, se ci sono tafferugli la difendiamo noi”».
Ti hanno mai picchiato?
«Quasi. Diedi un rigore all’ultimo minuto contro la squadra di un boss locale della Sacra Corona Unita. A fine partita sentii una mandria di persone che mi inseguiva. I due guardalinee fermarono l’assalto».
A cena col nemico?
«Devo ancora capire chi c’è dietro ai miei casini».
Qualcuno con cui vorresti un chiarimento ci sarà.
«Collina. Vorrei che mi spiegasse, guardandomi negli occhi, perché ha deciso di farmi fuori».
Hai amici tra gli arbitri?
«Ho molti sostenitori nella base, tra i ragazzi. Si presentano su Facebook e chiedono di fare amicizia».
Chi è il miglior arbitro che hai incontrato?
«Lo slovacco Lubos Michel».
La scelta che ti ha cambiato la vita?
«Sposarmi con Maricetta e avere tre figli: Giorgia, Allegra e Romeo. Vorrei arbitrare ancora anche perché mi piacerebbe che mio figlio maschio mi vedesse in campo. Le ragazze non sono molto interessate».
Il libro?
«Il Cacciatore di aquiloni, di Khaled Hosseini. E tutto Carofiglio, che ambienta i suoi libri a Bari».
Il film?
«Madagascar. Avendo figli piccoli…».
La canzone?
«Spiegame cherè, di Gigi D’Alessio».
Sai qual è l’articolo 3 della Costituzione?
«Quello sull’informazione?».
No. Quello che dice che siamo tutti uguali di fronte alla legge. Quanto costa un litro di benzina?
«Un euro e dieci».
E il tuo fischietto blu?
«Non ha prezzo. Ed è lo stesso da una decina d’anni».

Categorie : interviste
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