Gennaro Esposito (Magazine – luglio 2009)

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Gennaro Esposito, 39 anni, chef pluripremiato con stelle, cappelli e forchette, mi passa a prendere alle sette di mattina. In un paio d’ore mi fa capire che cos’è la cucina a chilometri zero: quella fatta con prodotti freschi, local ed ecosostenibili. Si parte da Vico Equense (Napoli), dove lui è nato e cresciuto. Eccoci in un minicaseificio dove Fernando fa roteare un gigantesco mestolo di legno in una vasca di latte. Eccoci in pescheria, dove ogni mezz’ora un marinaio sbarca una cassetta di pesci appena acchiappati. Eccoci in un orto, incastrato tra i palazzetti del paesino, dove tira un vento che sa di basilico. Gennaro tasta la provola, controlla le branchie di una cernia gigante, infila l’unghia dell’indice nella buccia di un limone. Lo annusa. Mezza intervista la fa con il limone in mano. Se ne libera solo
quando entra nella cucina del suo ristorante: La Torre del Saracino. Qui, silenziosamente («Serve concentrazione»), comincia a coordinare il lavoro della sua squadra: Fumiko accarezza con la ricotta le cozze, Salvatore inforna i grissini e coordina i “secondisti”, Vittoria e Sharon piroettano tra i babà. Luciano fa su e giù dalla cantina. In tutto ci sono dodici persone al lavoro. Gennaro, decisamente massiccio («Ma ho perso 20 chili»), controlla fuochi e fumi zigzagando tra i fornelli. Lui è un teorico della condivisione. Dice di far parte di una generazione di cuochi in cui l’idea della ricetta segreta è scomparsa. Anche per questo ogni anno, a giugno, organizza una festa a Vico Equense dove si incontrano tutti gli chef d’Italia. Lui dice: «Per confrontarsi». Ma anche per parlare di attualità culinaria. Quest’anno, tra le altre cose, si è discusso dell’agguato di Striscia la notizia allo chef Massimo Bottura: reo di creare qualche piatto con l’aiuto della chimica. Gennaro mi spiazza con una difesa a oltranza del collega. Partiamo da qui. Ci diamo del tu.
Tu selezioni ogni foglia di basilico delle tue ricette e poi difendi la cucina molecolare, quella che ricorre alla lecitina di soia o all’alginato di sodio?
«Difendo la libertà di sperimentare. Soprattutto se si parla di uno chef come Bottura legatissimo alle tradizioni culinarie del suo territorio. E poi non mi piacciono le ipocrisie».
Quali ipocrisie?
«Non ci sono additivi chimici nelle merendine per i bimbi?».
Può essere, ma le merendine non costano centinaia di euro, come i piatti della cucina molecolare.
«Una sedia di plastica disegnata da Philippe Starck quanto costa? Eppure è di plastica. Si paga l’idea. La domanda da farsi sarebbe un’altra»
Quale?
«È meglio “l’aria di parmigiano”, e cioè la schiuma parmigianata creata da Bottura, o il parmigiano?».
Ma a te piace la cucina molecolare?
«A me piacciono le cose buone. L’importante è che l’obiettivo principale resti il sapore. Poi vengono cromaticità, presentazione e il resto».
Se incontrassi un giovane cuoco che maneggia il kit per la cucina molecolare ideato dallo chef spagnolo Ferran Adrià, che cosa gli diresti?
«Gli chiederei se ha imparato prima la cucina tradizionale. Gli chiederei se ha risposto alla domanda che ogni cuoco dovrebbe farsi: “Da dove vengo?”».
Da dove vieni tu, la Campania, è nato lo scandalo delle mozzarelle di bufala alla diossina.
«È una cosa che mi ha amareggiato».
Hai visto Gomorra? C’è una scena impressionante sulla frutta contaminata.
«Purtroppo in certe zone è proprio così».
La mozzarella che tu compri, potrebbe essere gomorrata, contaminata?
«Io non compro una mozzarella. Io mi affido a una persona che conosco da trent’anni e che a sua volta conosce le mucche di cui lavora il latte».
Pensi di essere un artista della cucina?
«No. Siamo tutti artigiani».
Uhm. Mi pare falsa modestia. Non credi che per costruire certi piatti sia necessario un dono?
«Il mio dono è in come sono cresciuto e il fatto che il mio cervello elabora 24 ore su 24 sapori, profumi, abbinamenti».
Quando hai cominciato a cucinare?
«Sono cresciuto con gli odori della cucina di mia madre. Mi ha insegnato la disciplina e i tempi. Non scorderò mai i suoi gesti: il modo in cui con il pollice salvava le gocce d’olio che se no sarebbero scivolate sulla bottiglia».
Il tuo primo lavoro?
«A nove anni. Prima di entrare a scuola andavo ad aiutare mio zio che aveva una pasticceria: sfornavo brioche e le spolveravo di zucchero».
Che studi hai fatto?
«L’istituto alberghiero. Ma non ho mai smesso di lavorare in cucina. Ho sempre portato i soldi a casa. Poi il 9 novembre del 1988 sono partito».
Per andare dove?
«A Bergamo. Finii in un postaccio. Per quattro mesi. Lì ho imparato tutto quello che non deve fare un cuoco».
Un esempio?
«Congelare, scongelare e ricongelare la carne».
Quando hai deciso di aprire un ristorante tutto tuo?
«Nel 1991, il padre di Vittoria, la mia fidanzata, mi disse che si era liberata la torre di un circolo sulla spiaggia sotto Vico. All’inizio mi sembrava una follia, ma poi…».
A ventun anni potevi permetterti di aprire un locale?
«Facendo debiti. A quei tempi aspettavamo la fine della giornata per capire se potevamo comprarci le sigarette».
Hai cominciato subito con una cucina ispirata alla tradizione?
«Sì e no. Ho avuto pure il periodo con le pennette alla vodka e gli gnocchi al salmone. Poi nel 1995, dopo essere stato
a Vinitaly, decisi di presentarmi alla corte di Vissani a Baschi, in Umbria. Vissani è uno che ti fa sgobbare duro, ma poi ti contagia con la passione per i prodotti tradizionali».
Che cosa facevi da Vissani?
«Ho cominciato pulendo calamaretti e sono arrivato ai primi piatti. Tornai al mio ristorante con le idee più chiare».
È vero che un giorno si presentò per caso nel tuo locale lo chef di fama planetaria Alain Ducasse?
«Be’, per caso… un amico che lavorava nell’hotel di Positano dov’era in vacanza Ducasse gli consigliò di passare da me».
Che cosa ordinò?
«Mi disse di non portare primi, voleva restare leggero».
E tu?
«Un primo lo portai comunque. Mi chiese se volevo andarlo a trovare. Tre mesi dopo ero ai fornelli del Louis XV a Montecarlo e poi al Plaza Athénée di Parigi».
Che cosa ti ha insegnato Ducasse?
«Lui è un maestro rinascimentale. Asseconda le tue doti e ti trasmette le sue conoscenze senza riserve».
Ma voi cuochi non avete la ricetta segreta in cassaforte?
«Ahah. Mi è capitato di incontrare qualche cuoco stolto che mi allontanava quando stava per dare il suo tocco segreto. Io preferisco la condivisione».
Regaleresti a chiunque i segreti delle tue ricette?
«Certo. Io porto anche i clienti in cucina, se vogliono. Il progresso si asseconda solo con la condivisione del sapere e con la continua sperimentazione».
Chef 2.0. I tuoi colleghi la pensano così?
«Se domani chiamo lo chef Bottura sono certo che mi dice come realizza la sua “aria di parmigiano”».
Qual è il piatto che ti ha reso celebre?
«La parmigiana di pesce bandiera. L’ho inventata nel 1997: un’unione felice di pesce locale, non troppo nobile, e cacio».
Dimmi i tre piatti irrinunciabili di tre colleghi straordinari.
«Un cubo di vitello crudo di Antonino Cannavacciuolo».
Dov’è l’abilità del cuoco nel cubo di carne cruda?
«Nello scegliere la carne. E di fronte a un sapore straordinario decidere di non intervenire se non con una salsetta».
Secondo piatto.
«La beccaccia di Ducasse. Servita con le sue interiora».
Il terzo?
«La parmigiana di melanzane di mia madre».
Non vale.
«Vale, vale. L’ho pure proposta a dei clienti del mio ristorante. È superiore».
Tu non la sapresti fare più buona?
«Forse sì. Ma io ho anche a disposizione tecniche e tecnologie che mia madre non ha».
Un esempio?
«Ho una macchina che abbatte le temperature. Serve per evitare che nelle fasi di raffreddamento si perdano i sapori».
Quando ti è arrivato il primo riconoscimento?
«Nel 2001, la prima stella Michelin».
Ora quante ne hai?
«Due».
Aspiri spasmodicamente alla terza?
«Mi piacerebbe. Perché no? Ma vorrei anche aprire un ristorante di cucina tradizionale, meno sperimentale».
Che cosa succede in cucina se si viene a sapere che in sala c’è un ispettore di qualche guida?
«Quando è successo io sono entrato e ho detto ai ragazzi: “Prepariamoci a tirare il nostro calcio di rigore”».
Come tiri i rigori? Fai la “palomba” alla Totti, da fuoriclasse spericolato, o tiri forte vicino al palo?
«Prima ero più tottesco. Ora meno. Calcola però che nel mio mestiere l’azzardo ci vuole».
Il tuo azzardo meno riuscito?
«Una seppia intera con tanto di interiora cotta in un tegame a fuoco lento».
Nature.
«Alcuni clienti sono tornati apposta per rimangiarla, altri non l’hanno proprio toccata».
Perché?
«Be’, era un piatto canagliesco. Il tema era la violenza della purezza».
L’azzardo più riuscito?
«Una zuppa di cozze e provola con tagliolini di mortadella».
Mortadella? E tu che c’entri con la mortadella?
«Se trovo un artigiano bolognese fenomenale che mi strega con la sua mortadella io lo valorizzo, anche se non è del mio paesino o della mia provincia».
Così rompi il neotabù della cucina a km zero.
«A me piace l’incontro tra filosofie, anche culinarie, e non lo scontro tra ideologie. Dopodiché so bene che tra un polipetto pescato nel golfo di Vico e uno preso nel golfo accanto ci sono differenze dovute ai fondali, alle alghe… Cerco
sempre il meglio».
Un’orata d’allevamento finirà mai nei tuoi piatti?
«Ma sei matto? Piuttosto ti cucino delle verdure».
On line circolano stroncature brutali. Dicono: «Sei famoso perché fai buone pubbliche relazioni».
«Dovrei trattare male le persone?».
No, ma a Vico organizzi ogni anno una festa con cuochi e critici.
«E che c’è di male? È l’occasione più informale e godereccia del pianeta. Ci si scambiano dritte e sapori».
Altre stroncature: «Uno non può arrivare fino a Vico e non trovare a tavola i paccheri col ragù».
«Chi ha scritto quella critica lo ha fatto 14 mesi dopo che era venuto qui, probabilmente perché non l’ho invitato alla festa di Vico. E poi se me li chiedi il giorno prima, io i paccheri al ragù te li faccio. Anche piuttosto bene».
C’è anche chi si lamenta perché non rimane estasiato dai tuoi piatti. C’è aspettativa.
«Questo lo ritengo più giusto. Se vai a vedere Maradona ti aspetti il tocco divino».
Ti senti un “pibe de oro”?
«Ma no, dicevo per dire, da tifoso».
La critica più feroce ricevuta?
«Non ricordo. Ma la cosa che mi fa più male è una certa diffidenza che trovo da sempre qui a Vico».
C’è chi è geloso?
«Non lo so. Ma quando ho aperto, molti erano scettici. Ora c’è pure chi mi boicotta: false denunce, cassonetti della spazzatura piazzati a tre metri dal mio ingresso… Lo sai che la scuola alberghiera di Vico, dove ho studiato, non mi ha mai invitato a parlare agli studenti? Mi chiamano da tutta Italia. Domani metto a tavola duecento persone in Turchia,
in mezzo alle rovine di Efeso, e a casa mia non mi chiamano per parlare con gli studenti?».
Ti è capitato di risarcire un cliente insoddisfatto?
«Sì, se un piatto non era venuto effettivamente bene, sì».
A Roma, due giapponesi hanno denunciato un ristoratore per un conto gonfiato all’inverosimile.
«Purtroppo c’è ancora chi punta a fottere i clienti».
Hai mai fatto politica?
«Mi sono candidato alle amministrative del 1994, col centrosinistra. Non eletto».
Abbina un politico a un piatto. Berlusconi…
«Zuppa d’aglio novello…».
Berlusconi non mangia aglio.
«Insisto. L’aglio non può non piacere».
D’Alema…
«Risotto di pomodori testa di toro, con limone candito, calamaretti e provola affumicata».
Lo dici perché D’Alema andò in trasmissione da Bruno Vespa a cucinare un risotto?
«No. Lo dico perché D’Alema ha mangiato quel piatto da me e gli è piaciuto parecchio».
Il tuo film preferito?
«Forrest Gump».
Ti senti un po’ Forrest Gump?
«Mi riconosco in certe sue ingenuità».
Pensavo che mi citassi un film sulla cucina.
«Intendi roba tipo Tutte le donne della mia vita, con cuochi strafichi rimorchioni? Allora meglio il Pranzo di Babette».
Il libro?
«Leggo poco, purtroppo. Comunque recentemente ho amato la Solitudine dei numeri primi».
La canzone?
«No quarter, dei Led Zeppelin. Nella Torre ho creato uno spazio per l’ascolto della musica ad altissimo livello».
Quanto costa una bottiglietta d’acqua?
«Un euro».
Nel tuo ristorante?
«Un litro, tre euro. Troppo?».
No. I confini dell’Afghanistan?
«Non li so».
Quanti articoli ha la Costituzione?
«Boh».
Che cosa è successo il 20 luglio 1969?
«Hanno ammazzato qualcuno?».
No. L’uomo è sbarcato sulla Luna.
«Se vuoi ti do un consiglio su come cucinare un pesce luna».
Ti prego.
«Devi stare molto attento ai fuochi, perché è un pesce con un grasso che se cuoce troppo diventa sgradevole. Molto poco lunare».

Categorie : interviste
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