Agostino Saccà (Sette – luglio 2010)

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La prima cosa che si nota appena entrati in casa di Agostino Saccà, 66 anni, ex megadirigente Rai, è la foto di Berlusconi piazzata di fronte all’ingresso. La dedica: “Ad Agostino, il più bravo di tutti”. È una frase che in quattro ore di conversazione Saccà cita più volte, insieme alle cifre dei conti Rai: «Vede? Erano ottimi durante la mia gestione. E pessimi, subito prima e subito dopo». Saccà ha la voce roca e chiude quasi ogni frase con un “non so se è chiaro”. Sventola tabelle. Sfoglia un quadernone su cui ha trascritto, uno per uno, gli sms e le telefonate di solidarietà che ha ricevuto negli ultimi due anni. S’infervora mentre srotola tutti i guai della Rai di oggi e descrive la sua parabola mediatico-giudiziaria. Da quando, nel dicembre 2007, sono state pubblicate le conversazioni intercettate tra lui e Silvio Berlusconi, Saccà ha marchiata addosso la “M” del malcostume italico: inghippi e magheggi. Nell’aprile del 2009, però, il gip di Roma, Pierfrancesco De Angelis, ha stabilito che quelle intercettazioni non andavano fatte, che vanno distrutti anche i brogliacci, perché Saccà non ha commesso alcun reato e non ha violato i suoi doveri d’ufficio. Ora l’ex dirigente aspetta un risarcimento dalla Rai. Si è appena conclusa una supertransazione. Nel frattempo organizza il suo futuro da produttore e bacchetta chiunque scriva una riga fuori posto su di lui. Questa intervista nasce così: dopo una lettera a Sette in cui Saccà cerca di spiegare che al contrario di quel che si leggeva nell’intervista a Pierluigi Celli, non è stato lui a cacciare Santoro nel 2002.
Saccà, lei sostiene che alla base dell’allontanamento di Santoro dalla Rai ci sia una puntata di “Sciuscià” del maggio 2002, con cui il conduttore aveva violato gli obblighi di lealtà e fedeltà alla Rai.
«È così».
Si rende conto che in questa ricostruzione manca il celebre “editto bulgaro” del premier Berlusconi, pronunciato nell’aprile 2002, mentre lei era direttore generale?
«Collegare il cosiddetto “editto” alla mancata messa in onda nell’autunno successivo è scorretto. I fatti sono altri».
Ne è proprio sicuro? La Rai ha dovuto risarcire Santoro per quel licenziamento.
«Io ero e sono amico di Santoro. L’azienda gli chiese garanzie di equilibrio e lui non volle darle. È stato testardo».
Sono passati otto anni e… rieccoci. La messa in onda di “Annozero” ha traballato. Ha senso mettere in discussione una trasmissione che fa il 20% di share su Raidue?
«Io sono un amante della drammaturgia televisiva. Quindi dico che no, non ha senso, ma…».
C’è un “ma”?
«Sarebbe meglio se Michele raccontasse i conflitti mettendo da parte la clava dell’etica. Santoro fa una trasmissione necessaria per un Paese che non ha più l’estrema sinistra in Parlamento. Fa igiene sociale. Ma è troppo fazioso. Sarebbe perfetto per le docu-fiction. Lo chiamai per questo a Raiuno, dopo la sua parentesi a Mediaset. Di narratori così, con quella potenza drammaturgica, non ce ne sono in tutta Europa».
Anche le serate di Raitre con Fabio Fazio e Roberto Saviano hanno traballato.
«Sa chi ha fatto esordire Fazio come conduttore in una prima serata Rai? Io. Gli feci fare Fate il vostro gioco, un varietà su Raidue. E sa chi lottò per mandarlo a Sanremo?».
Provo a indovinare: lei.
«Quando dirigevo Raiuno. Lottai con Celli che diceva di non volerlo più per motivi pubblicitari. Be’, Fazio negli ultimi due anni non mi ha scritto nemmeno un sms. Non va bene».
La Rai oggi sembra il regno dell’incerto. Direttori di rete che vanno e vengono per ordine dei tribunali… L’affaire Ruffini, il caso Liofredi…
«La macchina c’è, ma va guidata. I conti vanno male e manca la freschezza del prodotto».
Masi…
«Non mi farà polemizzare con l’attuale direttore».
Lei ha sempre detto che la tv la dovrebbero fare gli uomini che sanno di tv.
«Qualcuno (ma non sono io quel qualcuno, eh) potrebbe pensare che è in atto un piano per mandare in pezzi la Rai».
Vorrebbe esserci lei alla guida della tv di Stato?
«Se non avessi avuto da risolvere i miei problemi con la giustizia e con l’azienda, il direttore designato sarei stato io, non Masi. Tremonti lo aveva detto a Berlusconi. Ma lui sapeva che avrei rifiutato. Voglio fare l’imprenditore».
In passato ha detto che dietro il suo siluramento c’erano Guido Paglia e Fabrizio Del Noce.
«Non voglio litigare. Sono pacificato. E poi ora Del Noce è tornato a parlar bene di me».
Nessun conto in sospeso?
«Petruccioli nei miei confronti ha usato parole da caccia alle streghe. Insieme con Cappon è l’unico che ho denunciato».
Il gip De Angelis ha cancellato le accuse che la riguardano. Ma le telefonate tra lei e Berlusconi restano nella memoria di chi le ha ascoltate o lette: le attrici raccomandate, la caccia al senatore ribaltonista…
«Non ci siamo».
Come, scusi?
«Io non dovevo essere intercettato. È successo, come ha scritto il giudice, sulla base di “una mera fantasiosa illazione”. Già qui, il discorso andrebbe chiuso».
Ma quelle telefonate… il Capo…
«Dopo mesi di intercettazioni e il controllo dei conti bancari, non è venuto fuori nulla. Nulla. E per questo “nulla” sono finito sull’antica via degli empi».
Sull’antica…?
«…Via degli empi. Ricorda il libro di Giobbe? Ne parla l’antropologo René Girard: quando si fa cadere dal piedistallo qualcuno a colpi di falsità, quando l’etica esce dai cuori e viene usata per colpire gli avversari».
Filosofeggia?
«In Italia ormai il dibattito, soprattutto quello politico, si è imbarbarito. Un politico dovrebbe essere giudicato dagli elettori e dalle leggi dello Stato. L’etica resti fuori dal conflitto pubblico».
Sembra una formula per giustificare comportamenti eticamente scorretti.
«No. Devono essere i cittadini a giudicare, votando. Per il resto ci sono le leggi. E se ti becco a violarle ti metto in galera. Ho testato sulla mia pelle le garanzie costituzionali. Il sistema funziona».
Quindi non crede nei complotti dei giudici contro il premier?
«Un accanimento c’è. Ma se sei una persona perbene, alla fine te lo mettono pure per iscritto. A me è successo così».
Lei rifarebbe quelle telefonate con Berlusconi?
«Certo. In una, tra l’altro, gli dico chiaramente: “Lei non mi ha mai chiesto nulla”…».
Però in quelle telefonate Berlusconi chiede eccome, e lei è ben disposto.
«Che male c’è ad ascoltare delle richieste? E poi ci sono solo le intercettazioni con Berlusconi…».
Riceveva richieste telefoniche anche da altri?
«Segnalazioni. Potrei raccontarne di destra, di sinistra, del mondo della finanza… Io per tutelarmi avevo creato una commissione che valutava i provini degli attori. Solo in pochi casi mi sono imposto».
Un esempio?
«Con Neri Marcorè. Il regista Giorgio Capitani all’inizio non lo voleva per fare Papa Luciani. Mi imposi, perché era il più adatto. Ma lei pensa che si possano ottenere certi risultati con attori raccomandati? Lo stesso discorso vale per i conduttori delle trasmissioni. I numeri degli ascolti non mentono».
Fra le trasmissioni che lei ha lanciato, ce n’è una che farebbe riesumare per mandarla in onda?
«Aggiornandola, Il testimone, con Giuliano Ferrara. Il segreto di quella trasmissione è che la scrivevamo. Era sceneggiata. Anche per i varietà facevo così. La tv è racconto e tecnica».
La trasmissione in onda oggi che cancellerebbe?
«Tante. C’è un problema serio di palinsesto. Il pubblico ha gusti sempre più veloci, da Internet o da pay tv, e la Rai che cosa fa? Conserva palinsesti ingessati, dagherrotipici, con varietà eterni».
Il palinsesto serale di Saccà?
«Cinquanta minuti di fiction, trenta minuti di docu o di talk o di game e poi pillole… come in America. Proposi questa soluzione quando dirigevo la Rai».
Perché l’idea non venne realizzata?
«Mi sostituirono con Cattaneo, che di tv non capiva molto. Lucia Annunziata ancora mi chiama per dirmi che fu un errore».
Il consiglio del veterano Rai al giovane che sta per entrare in azienda?
«Studiare e non fare il furbo. Se fai il furbo ti fanno a pezzi. In Rai c’è il più alto tasso di scaltrezza del mondo».
Il nome di un giovane conduttore che consiglierebbe a un direttore Rai?
«La Rai ha molti ragazzi da valorizzare. Nelle redazioni locali, in radio. Floris nacque così: lo lanciò Ruffini mentre ero direttore generale. A me stava simpatico perché da ragazzo aveva scritto sull’Avanti! Io sono stato segretario dei giovani socialisti calabresi. Ho guidato la prima occupazione universitaria a Roma. Giuliano Amato, che era assistente, per non farci commettere troppi reati ci passò le chiavi di Scienze politiche. A 24 anni, Mancini, leader del Psi, calabrese come me, mi chiese se preferivo fare il deputato o il giornalista. Scelsi di fare il cronista e finii nella redazione del Giornale di Calabria».
I primi articoli?
«Scrissi le prime inchieste sulla ’ndrangheta. Nel ’71 arrivai alla redazione di Panorama».
In Rai quando ci arrivò?
«Nel 1976. Stava nascendo il Tg3».
Da redattore del Tg3 è arrivato alla Direzione generale. E infine boss della Fiction.
«E poi mi hanno buttato giù dal piedistallo. Qualcuno potrebbe pensare a un complotto».
Un complotto per ottenere che cosa, scusi?
«Anche un risultato politico».
Quale?
«Far fuori una persona che invalidava la teoria del conflitto di interessi».
Sarebbe lei?
«Sì, un amico di Berlusconi, che vota Forza Italia, ma sconfigge Mediaset».
Lei è stato accusato di prospettare affari, con Mediaset, mentre era in Rai.
«Accuse cadute. Se Berlusconi mi stima è anche perché televisivamente gli rompo le ossa dagli anni Ottanta. Da quando come vicedirettore di Raidue andai in America e presi i diritti di Beautiful. Da quando ho realizzato Indietro tutta con Arbore e ho riportato Celentano e Morandi in Rai. E Panariello, Fiorello… Per non parlare delle fiction: le mie erano sempre nella top ten degli ascolti».
Quante volte le hanno proposto di passare a Mediaset?
«Due. Nel 2000 per guidare Canale 5 o come direttore generale. E nel 2006 come capo della fiction. Rifiutai».
Ha mai pensato di far politica con Forza Italia?
«Nel 2008 c’era un seggio in Senato pronto per me. Mi volevano capolista in Calabria. E alle ultime Regionali si è ventilata una mia candidatura alla presidenza. Ma io sono un uomo della tv. E voglio fare tv».
Farà fiction?
«Ho in cantiere una grande storia italiana, una lunga serialità in codice romantico. Un paio di film in 3D. Ho contatti strettissimi con Chris Albrecht, l’ex boss della Hbo, che ha prodotto I Soprano e Six Feet Under. E sto trattando i diritti di La ragazza Drago, che potrebbe diventare una saga epica…».
È vero che nella transazione con la Rai, invece che in soldi, verrà pagato con un accordo di volume, cioè un tot di ore di programmazione per la sua società di produzione?
«Sì, ma un po’ di soldi mi spettano».
Dov’è nascosto il tesoro di Saccà?
«Quale tesoro?».
Lei ha guadagnato per molto tempo centinaia di migliaia di euro l’anno…
«E ora vivo in un appartamentino a millequattrocento euro al mese. Anche la Guardia di Finanza è rimasta sbigottita. È semplice: ho cresciuto tre figli e la mia ex moglie non lavorava».
A cena col nemico?
«Nino Rizzo Nervo, è intellettualmente onesto».
Che cosa guarda in tv?
«I canali di storia e i Tg».
Il miglior Tg?
«Il Tg2 di Orfeo. E il Tg1 di Minzolini…».
È il più criticato nella storia dei Tg.
«Al di là del dato politico, mi piace la nuova cifra pop».
 
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