Roberto Maroni – 3 (Sette – luglio 2012)

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Branko, il vate dell’astrologia nazionale, lo aveva previsto proprio su Sette. Di fronte alla data di nascita di un politico, senza sapere che fosse quella di Bobo Maroni, aveva detto: «A novembre 2011 ci sarà un cambio di rotta. Poi lotte intestine sul luogo di lavoro, fino a luglio. Infine una nuova carriera». Detto, fatto. Maroni ha trascorso gli ultimi mesi nella trincea dei suoi “barbari sognanti”. E mentre le truppe bossiane si sgretolavano sotto una scandalosa valanga fatta di lingotti d’oro, investimenti in Tanzania, raccomandazioni e beghe familiari, ha preparato l’attacco per conquistare la leadership del partito. Ora è lui il segretario. Dice: «Non voglio essere un Bossi in sedicesimo». Appena può srotola le prime novità: «Mai più carriere doppie. Mai più politici che diventano manager di aziende pubbliche. E viceversa». Elenca proposte e battaglie ineludibili per la nuova Lega: «In autunno partiremo contro il patto di stabilità interno che uccide i comuni. Monti deve ridurre del 15% il carico fiscale sulle piccole e medie imprese e vanno commissariate le banche che prendono soldi dalla Bce e non finanziano il territorio». Il suo slogan è: «Prima il Nord». Per dire: «La Lega preferisce la presidenza della Lombardia a qualsiasi incarico in un governo nazionale».
Lo incontro nel suo studio di Montecitorio. Tra statuette di elefantini e caschi della polizia spicca un ripiano gonfio di foto ricordo. Ce n’è una sola con Bossi. Cominciamo dal Senatùr.
Bossi ha detto che lui comanda ancora. E che voi due decidete insieme.
«Non è così».
E com’è?
«L’ho detto chiaramente ai delegati del congresso: “Se mi eleggete sappiate che voglio pieni poteri. Sulla linea politica e sulla gestione del partito”. Mi hanno eletto».
Bossi sul Fatto ha spiegato che lui continua ad avere un peso politico. E ai suoi fedelissimi ha detto: «Io non mollo».
«La questione è chiusa».
Bossi è il presidente del partito.
«La presidenza? È un ruolo affettivo».
Affettivo?
«Sì. Non ha nessun potere. È il riconoscimento concesso alla sua storia personale».
Una storia personale che ultimamente consiste anche nella gestione di un partito con “paghette pubbliche” ai figli, lingotti e diamanti, investimenti in Tanzania…
«Questo non è il Bossi che hanno conosciuto i vecchi militanti. Io non parlo della storia recente. Parlo del Bossi che ho incontrato nel 1979 e che cacciò la sorella dal partito».
È Bossi che ha permesso la rapidissima ascesa di Francesco Belsito da buttafuori a sottosegretario, da autista a vicepresidente di Fincantieri. Non esattamente la Lega dei “meriti” di cui parlate da anni.
«Bossi è stato male nel 2004. Da quel momento le decisioni hanno cominciato a prenderle solo Umberto e i suoi pretoriani. Qualcuno è ancora in azione».
Esiste ancora il “cerchio magico”?
«Esistono personaggi interessati all’autoconservazione che cercano di indirizzare Bossi. Solo così riesco a spiegarmi che lui sia venuto al congresso con la pretesa di avere per sé il 20% dei candidati alle elezioni».
Non avendolo ottenuto ha urlato: «Mi avete fregato».
«Zaia gli ha spiegato che lo statuto è stato votato all’unanimità».
Lei è quello che lo conosce da più tempo: poteva spiegarglielo lei.
«Io voglio bene a Bossi come a un fratello maggiore. Ma è lui che mi ha insegnato a distinguere tra la sfera degli affetti e la gestione del partito. I militanti presenti al congresso erano sgomenti di fronte alla sua pretesa».
L’onorevole Paola Goisis ha lanciato la sua tessera sul palco in segno di protesta contro l’acclamazione maroniana.
«Un caso isolatissimo. Gli altri erano tutti con me. Quello di Assago è stato il secondo congresso più emozionante della mia vita».
Il primo quale è stato?
«Quello del 1995».
Quando lei rientrò sotto l’ala di Bossi, dopo un breve “tradimento” anti-ribaltonista.
«Nel ’95 le emozioni furono negative. I militanti mi tirarono i fiori sul palco. Ma i fiori erano in un vaso di porcellana. E mi tirarono anche quello».
La Lega ha preso una martellata sulla nuca alle ultime amministrative. Che cosa vi ha fatto più male, gli scandali placcati d’oro e le lauree albanesi o l’appoggio decennale a Berlusconi?
«I primi».
Sicuro? I vostri militanti hanno ingoiato con gioia anni di leggi ad personam, il voto parlamentare su Ruby nipote di Mubarak…?
«I nostri militanti sanno che se per raggiungere il federalismo ti allei con qualcuno, qualche concessione la devi fare. Dopodiché fino alla vicenda dei soldi investiti da Belsito in Tanzania non abbiamo avuto problemi».
Bossi ha gridato al complotto. Si è chiesto: «Come mai a Roma nessuno ci ha avvertito di quel che stava succedendo nel partito?». Lei è un indiziato/complottardo.
«Non ho mai partecipato ad alcun complotto. E non ho mai organizzato gruppi per fischiare o applaudire qualcuno».
Già. Ma nei palazzi della politica ancora riecheggiano i cori dei maroniani alla “manifestazione delle scope”, a Bergamo: «Chi non salta Rosy Mauro è…!». Roba da caccia alle streghe.
«A Rosy Mauro l’ho detto in faccia: “Per queste reazioni prenditela con te stessa, non con me”. Sono trasparente. Come lo deve essere la Lega».
Lei ha detto: «La Lega deve ridiventare un partito moderno e inclusivo». Quando ha smesso di esserlo?
«Qualche anno fa. Siamo diventati un po’ autoreferenziali. A fine settembre organizzeremo gli stati generali del Nord, a Torino. Proprio per tornare ad aprire il partito a tutta la società. Dobbiamo dare risposte moderne alla questione settentrionale».
Tra le risposte moderne c’è anche quella di lasciare Roma e di non presentarvi più alle politiche nazionali?
«Ho una strategia chiara: conquistare l’egemonia delle regioni del Nord. Diventare come la Csu bavarese. Fatto questo, essere presenti a Roma diventa meno importante».
Per una Lega così diventa superflua anche la presenza nei cda delle grandi industrie di Stato?
«Dipende da quanto queste industrie hanno interessi nel Nord. In ogni caso ragioniamo in termini neo-europeisti».
E cioè?
«Io sono contro l’Europa-leviatano allevata dai tecnici. Lavoro per la costruzione di un’Europa delle Regioni e il superamento degli Stati nazionali. Il Financial Times settimane fa ha pubblicato una mappa delle Eurozone. Una di queste è il Nord Italia».
È un progetto per un futuro abbastanza lontano.
«Prima di tutto bisogna conquistare le tre regioni del Nord».
Piemonte e Veneto sono già amministrate da leghisti.
«Sì. Da Cota e da Zaia. Ma lì il Carroccio è alleato con altri partiti. Il mio modello è Verona: dove c’è la Lega appoggiata da liste civiche».
La terza regione, la Lombardia, è governata da Formigoni, del Pdl. Secondo lei quando ci saranno le prossime regionali lombarde?
«Matteo Salvini sostiene che si dovrebbero accorpare alle Politiche, nell’aprile 2013».
Lei si candiderà per la presidenza della Lombardia?
«No».
Il nome di un possibile candidato?
«Salvini… Giorgetti… Ne abbiamo tanti. Mi piacerebbe un quarantenne, per farlo restare lì almeno due mandati».
La Lega post-bossiana rottama se stessa.
«Il mio compito è creare un nuovo gruppo dirigente. Fra tre anni il prossimo congresso eleggerà un nuovo segretario».
Fra tre anni, nel 2015, scade il mandato naturale di Formigoni. Lei lascia la segreteria e si candida a governare la Lombardia. Smentisca pure, ma sarebbe un piano perfetto.
«Il congresso si terrà dopo le Regionali. La sua ipotesi quindi non sta in piedi».
Se le Regionali fossero nel 2013, c’è chi favoleggia di un patto Lega-Pdl. Voi non vi presentate alle Politiche e loro vi lasciano la presidenza della Lombardia.
«La tattica con cui ottenere l’egemonia nelle regioni del Nord dipenderà da tante cose. Anche dalla legge elettorale».
Il suo modello ideale…
«La legge friulana: proporzionale, con una sola preferenza e il premio di maggioranza».
Berlusconi riscenderà “in campo”. Lei ha commentato: «Dove? A San Siro?».
«Mi dispiace che sia stata tolta ad Angelino Alfano la possibilità di emergere. In Italia c’è bisogno di rinnovamento».
A cena col nemico?
«Con Mario Monti».
Pensavo che mi dicesse don Antonio Sciortino, il direttore di Famiglia Cristiana che l’ha definita “xenofobo”.
«Ma figuriamoci!».
Vladimir Luxuria, proprio a Sette, ha detto che con lei cenerebbe volentieri, per suggerirle come far tornare pimpante la Lega.
«Con lei cenerei volentieri. È brillante».
Lei è favorevole alle coppie di fatto?
«La Lega del futuro sarà molto laica: lasceremo libertà di coscienza su tutte le questioni legate ai diritti e ai temi etici. Detto ciò sono contrario a estendere i diritti della famiglia agli omosessuali».
Torniamo a Monti…
«Il professore permaloso non eletto. Il fatto che sia riuscito a dire che lo spread è salito a causa delle critiche del presidente di Confindustria… è grottesco».
È favorevole a una Grosse Koalition che sostenga Monti in futuro o che prosegua il suo percorso di governo?
«Continuare con l’esproprio delle tesorerie comunali, l’Imu, l’aumento dell’Iva e gli esodati? No, grazie!».
Esodati. Lei, come Fornero, è stato ministro del Welfare.
«La mia riforma delle pensioni era più lungimirante. Il centrosinistra, una volta andato al governo, la cancellò. Ora hanno votato una riforma peggiore che serve solo a fare cassa».
Un consiglio a Elsa Fornero?
«Cancelli la sua riforma e abbia l’umiltà di ammettere i suoi errori».
Qual è l’errore più grande che ha fatto Maroni?
«Ne ho fatti davvero tanti».
Sa chi è Akim Mastour?
«No».
È il talento quattordicenne appena acquistato dal Milan.
«Ah, è vero. Ho visto la foto on line. Ma non seguo gli acquisti. Amo il Milan a prescindere… Non sono tifoso, sono fazioso del Milan».
Conosce i confini dell’Ucraina?
«Polonia, Russia, Ungheria…».
Monti è appena stato lì per sostenere gli Azzurri.
«Non doveva andarci. Ma una volta lì, durante la premiazione avrebbe dovuto osare».
E cioè?
«Si sarebbe dovuto togliere la giacca e avrebbe dovuto mostrare una maglietta con su scritto “Tymoshenko libera”. Io lo avrei fatto».

Vittorio Zincone

Categorie : interviste
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