Corrado Clini (Sette – gennaio 2012)

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Ora che è diventato ministro sul serio, nei palazzoni della politica possono smettere di bisbigliare che il vero dominus dell’Ambiente da venti anni è lui. Corrado Clini, sessantaquattrenne, tecnico di lunghissimo corso, pur frequentando la politica da tre decenni è l’esponente del governo Monti mediaticamente meno cauto. Subito dopo essere stato nominato a capo del dicastero di viale Cristoforo Colombo si è presentato di fronte ai microfoni di Un giorno da pecora e ha infilato in pochi minuti una serie di dichiarazioni sugli Ogm, il nucleare e la Tav, da far gridare vendetta al coro delle associazioni “verdiste”.
Lo incontro in una dépendance centralissima del ministero: foto d’autore alle pareti, mobilio ultra-design. Durante l’intervista Clini non sta fermo un attimo. Piazzato su una sedia da ufficio con rotelle, piroetta al centro del suo studio. Sorride: «Voglio rendere attraente l’Italia per gli investitori esteri. Attualmente non lo è, anche per colpa delle regole incerte in campo ambientale e dei veti tra i vari livelli delle amministrazioni».
Quando gli faccio notare che un “Richelieu” come lui, per anni ministro ombra, dovrebbe imparare al più presto a contenere le dichiarazioni spericolate, mi fulmina: «Non sono un politico-politicante. Questo non è un governo di politici in cerca di voti». E quindi? «Quindi quando parlo mi riferisco al merito delle questioni, che sono più complesse delle semplificazioni in politichese». Chiude: «Per fortuna che sono sciatore». Chiedo: «Perché?». Replica sorniona: «Così riesco a fare lo slalom tra le rotture di cabasisi che mi capitano da quando sono ministro».
Tra le rotture c’è stata anche una polemica abbastanza chiassosa con il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris: “Giggino” è contro i termovalorizzatori, Clini è a favore.
Ministro, l’emergenza rifiuti a Napoli…
«È un classico esempio di carenza di governo del problema, che dura da almeno vent’anni, al quale si associa la convergenza di interessi di lobby diverse».
Quali lobby, mi scusi?
«Quella che si oppone alla gestione razionale dei rifiuti e alla realizzazione degli impianti, e quella che ha un florido mercato nello smaltimento dei rifiuti gestiti dalla malavita».
Sta dicendo che ambientalisti e malavitosi sono d’accordo?
«No. Dico che purtroppo contano i risultati. Chi rema contro le soluzioni già adottate in quasi tutte le regioni italiane e nelle città europee, finisce col favorire l’aumento dei costi e le “procedure” di smaltimento che, come dimostrano le inchieste, hanno arricchito la malavita organizzata. In tutto questo ha avuto un ruolo determinante la disinformazione».
Quale disinformazione?
«Negli ultimi venti anni la popolazione campana ha subito un martellamento costante, di tipo ideologico. Mentre i suoli agricoli e le falde acquifere venivano inquinati dalle discariche abusive e la malavita faceva i suoi affari, gli impianti che assicurano “normalmente” lo smaltimento sono stati presentati a Napoli come il “male assoluto” per la salute e per l’ambiente. Se parlando di inceneritori si esordisce dicendo che fanno venire il cancro, è evidente che la conoscenza e l’informazione non sono una priorità».
Anche sul nucleare pensa che ci sia “disinformazione ideologica”?
«Sì. Vengono dati messaggi semplificati sia da una parte (i contrari assoluti) sia dall’altra (i favorevoli acritici)».
In medio stat Clini?
«Poco più di un anno fa, quando la ripresa del nucleare in Italia sembrava cosa fatta, ho cercato invano di suggerire una valutazione di merito sugli impianti proposti (gli EPR francesi) che sono problematici per gran parte dei siti indicati in Italia».
Lei recentemente ha detto di essere favorevole al nucleare.
«Alla ricerca sul nucleare. Certo. Non capisco perché l’Italia debba autoescludersi da un processo di ricerca in corso a livello globale sul nucleare di “quarta generazione”. Chi governa deve assumersi le responsabilità di vedere oltre. E bisogna evitare l’approccio ideologico. Come sui termovalorizzatori, è quell’approccio a fregarci».
Lei vivrebbe vicino a un termovalorizzatore?
«Sì. Non credo di essere modificato geneticamente rispetto a un cittadino di Copenhagen o di Brescia».
E andrebbe ad abitare accanto a una centrale atomica?
«Io sono nato a Latina e sono cresciuto a pochi chilometri da Borgo Sabotino, dove sorgeva una centrale elettronucleare. Come vede… sto bene».
Era ventenne nel Sessantotto.
«Ho studiato medicina a Parma e ho partecipato al movimento studentesco. Poi quando mi sono trasferito a Venezia mi sono avvicinato ai socialisti lombardiani. Volevamo rivoluzionare la città».
Il partito, la zona e gli anni di Gianni De Michelis.
«E di Renato Brunetta, Massimo Cacciari…».
Andava a ballare in discoteca con Gianni De Michelis.
«Non mi pare un delitto».
Medico socialista a Venezia: di che cosa si occupava?
«Di medicina del lavoro. Sono stato testimone dell’accusa nel processo al petrolchimico di Porto Marghera. E sono stato il primo a denunciare i casi di angiosarcoma epatico tra i lavoratori della zona».
Al ministero dell’Ambiente come ci è arrivato?
«Mi chiamò Giorgio Ruffolo alla fine degli anni Ottanta. Nel 2000 il ministro Willer Bordon decise che mi sarei dovuto occupare solo di questioni internazionali. Una svolta».
Perché?
«Da allora ho promosso e curato personalmente circa 600 progetti di cooperazione ambientale in 48 Paesi in via di sviluppo».
Personalmente… nel senso che lo ha fatto con aziende legate a lei?
«No, come ministero. I nostri progetti sono stati indicati spesso come esempio nelle sedi delle Nazioni Unite. Il ministro cinese dell’Ambiente cita me, quando vuole fare un buon esempio di cooperazione internazionale. E le imprese italiane che sono state selezionate e coinvolte nei nostri progetti hanno usato con successo il “volano” ambientale per consolidarsi nei nuovi mercati. A cominciare dalla Cina».
Lei ha un rapporto molto stretto con la Cina.
«Il giorno in cui Monti mi ha chiamato per fare il ministro dovevo essere a Pechino con il vicepremier cinese. Faccio parte di un ristretto gruppo di esperti internazionali che aiutano il governo cinese nelle strategie per lo sviluppo sostenibile della Cina».
Un ministro italiano che fa l’esperto per il governo cinese. C’è un lieve conflitto d’interessi?
«No. Fanno parte del gruppo di esperti anche i responsabili delle Agenzie delle Nazioni Unite e alcuni ministri di altri Paesi europei. Naturalmente a titolo gratuito».
La Cina ha superato gli Stati Uniti nell’emissione di CO2.
«Ma è all’avanguardia nelle tecnologie verdi».
Riduzione delle emissioni. Sbaglio o lei non è mai stato un fan degli accordi di Kyoto?
«Io sono fan solo di Freddie Mercury».
Kyoto…
«Quando nel 1999 il Senato degli Stati Uniti si è rifiutato di ratificare il trattato, si è capito che si doveva andare oltre. Detto ciò, nel 1997, a Kyoto, nell’ultima notte di negoziato io ero al tavolo con l’allora ministro dell’Ambiente tedesco Angela Merkel e con Al Gore».
Il decalogo di Al Gore: lei va al lavoro in bici?
«A Roma mi muovo in auto elettrica».
La sua scorta come si muove?
«Non ho la scorta».
Mangia poca carne?
«Sì, anche perché il 25% delle emissioni di carbonio provengono dal ciclo produttivo e di consumo della carne».
Ottimo. Dopodiché la sede del ministero dell’Ambiente è ad alta dispersione energetica. Ci sono spifferi ovunque…
«Credo che sia una delle sedi ministeriali più brutte d’Europa. In compenso il ministero dell’Ambiente contribuisce a costruire palazzi a impatto zero in tutto il mondo: in Cina, in Ungheria, in Montenegro…».
Bella consolazione.
«In Cina ci hanno messo due anni per realizzare una sede universitaria eco-efficiente progettata dagli italiani. In Italia secondo lei quanto ci si metterebbe a edificare una sede del ministero dell’Ambiente che sia uno showroom della nostra innovazione tecnologica?».
Me lo dica lei.
«Da noi non ci si prova nemmeno. La nostra politica non è abituata a progettare per il futuro».
A cena col nemico?
«Sarei curioso di andare a cena con Antonio Padellaro, il direttore del Fatto Quotidiano».
Perché?
«Mi prendono di mira. Continuamente».
Ci sarà un perché? Hanno scritto che lei ha un doppio stipendio: quello ministeriale e quello della “Area Science Park” di Trieste.
«Purtroppo non è vero. Ho un solo stipendio da direttore generale del ministero e ho rinunciato all’indennità di presidente di Area. Nel 2010 ho dichiarato 194.000 euro».
Lei ha un clan di amici?
«Giorgio Ruffolo, Vittorio Canuto, climatologo della Columbia University, Antonio Moroni il decano dei professori di Ecologia, Antonio Strambaci, che si occupa di finanza al ministero dell’Ambiente, Bill Clark, un genio che insegna ad Harvard, e Yin Jun, che è l’addetto scientifico all’ambasciata cinese».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Smettere di fare il medico. Da medico sarei diventato certamente ricco».
Che cosa guarda in tv?
«Un po’ di news e qualche film».
Il film preferito?
«La guerra dei bottoni. Dove c’è una frase meravigliosa che ho usato recentemente quando un parlamentare mi ha chiesto com’era fare il ministro: “Se lo sapevo, non avrei venuto”».
Il libro?
«Giobbe di Joseph Roth. L’ho regalato a molti amici».
La canzone?
«We are the champions, dei Queen».
Sa che cos’è Twitter?
«Twitto poco. Ma i miei figli me lo consigliano per comunicare in Rete».
Quanti figli ha?
«Quattro. Ho cominciato presto. Ho anche quattro nipoti. E sta arrivando il quinto».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Non glielo so dire».
Sa quanti sono i principi fondamentali della Costituzione?
«No. Quanti sono? Penso di conoscerli ma non li ho mai contati».
Sono dodici. Che cosa succede il 21 dicembre 2012?
«Secondo un amico che insegna a Yale e studia i cambiamenti ambientali attraverso l’archeologia per i Maya il 2012 non è la fine di qualcosa. È un punto di riavvio».
Cioè? Alla fine del 2012 ripartirà il mondo?
«Esatto. E riparte anche grazie al governo Monti che rimetterà in piedi il progetto europeo e l’economia».

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Categorie : interviste
Commenti
carlo becherucci 2 Aprile 2013

fa il modesto e disinteressato, ma in realtà è un arrogante nelle sue funzioni di ministro dell’ambiente ed in più assai inconcludente.

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