Vittorio Sermonti (Magazine – giugno 2007)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 21 giugno 2007).
Vittorio Sermonti, scrittore, regista, traduttore e pubblico-lettore è arrivato al pop-successo dopo aver compiuto i settantanni: nell’era del digitale a colpi di endecasillabi. Quelli danteschi. Nel tempo luccicante delle vallette accoppiate coi terzini è riuscito a riempire teatri e chiese a suon di terzine. E ora ha deciso di perseverare curando e leggendo una nuova traduzione dell’Eneide per Rizzoli. Ultranoto solo dopo 50 anni di carriera, prima di diventare declamatore della Commedia, Sermonti ha vissuto la Rai degli anni ’50, ha scritto romanzi e inventato programmi radiofonici, ha frequentato il Pci e l’Unità di Alfredo Reichlin, si è sposato con una Agnelli e ha compilato saggi filologici sul calcio.
Suo nonno materno era Giuseppe Marchesano, «il primo avvocato ad aver detto la parola mafia in un tribunale». E il suo padrino, di cui ha preso il nome, era Vittorio Emanuele Orlando, politico e giurista dell’Italia liberale. «Aveva capelli gloriosi», ricorda Sermonti, «talmente bianchi da sembrare celesti. La moglie invece, quando giocava a carte, si toglieva la parrucca, lasciando i bambini sbigottiti davanti alla pelata».
La leggenda vuole che il padre di Vittorio Sermonti, uomo di legge, leggesse Dante a lui e ai suoi sei fratelli sin da quando erano piccolissimi.
«Non è una leggenda».
Non è che lo racconta per dare un passato morbido al suo presente dantesco?
«Macché. Avevo dieci anni quando mio padre cominciò a leggermi l’Inferno durante le sgambate nel senese».
Invece di Pollicino, il conte Ugolino?
«Ebbi da subito un’idea emozionante della poesia. Arrivavano coriandoli di letteratura. Non capivo molto. Ma d’altronde è così: la poesia non si capisce. Se vogliamo essere più chic, diciamo che la poesia non si esaurisce nei suoi significati».
Chicchissimo. Un’infanzia tutta Inferno e Purgatorio?
«Dimettendo le pratiche di un’indole vivace/con le febbri reumatiche mi lessi Guerra e pace».
Come, scusi?
«Leggevo molto. Prima di Dante sono stato appassionato di Salgàri. Mi raccomando l’accento sulla seconda a, che a Verona ci tengono».
Sandokan e Tremalnaik…
«No, Yanez e Kammamuri. Meno volgari, più amari».
Scuole?
«Liceo Tasso a Roma. E poi La Sapienza fino a quando non ho incontrato Ettore Paratore».
Una leggenda della storia della letteratura latina.
«Mi cacciò dall’esame perché non ricordavo un minuscolo particolare delle Georgiche di Virgilio. Era un professore bestiale. Mi trasferii a Firenze. Anni dopo mi scrisse una lettera per complimentarsi di una mia traduzione del Tartufo di Molière. Gli ricordai il precedente».
Mentre studiava all’Università entrò in Rai.
«Anni musicali. Lì nacquero anche l’interesse per l’energia vocale latente nella letteratura, la passione per il teatro e l’irritazione per la recitazione di molti attori. Alcuni, tra i quali anche Vittorio Gassman, avevano un birignao spaventoso. Ha presente? Per dire una parola tipo accidenti, dovevano far smorfie, facendo zigzagare il suono tra il naso e le mascelle».
Gli attori di oggi?
«Ci sono giovani sconosciuti, come Vinicio Marchioni, che sono eccezionali. Molti del cinema, invece, sono abbastanza ridicoli. Ma io non posso parlare: ogni giorno guardo la soap Vivere. Non resisto… Accendo la tv facendo finta di cercare il tg e… zac. Lì gli attori sono terribili».
Suo figlio Pietro tra le altre cose fa il Medico in famiglia.
«Spesso sono i testi ad essere pieni di fregnacce».
Dopo la Rai andò a insegnare al Tasso.
«Prima scrissi un paio di romanzi. Poi cominciai con una supplenza».
Gli alunni?
«Era l’inizio della contestazione. Il 1967. Erano affetti da tutuaismo. Cercavano di darmi del tu, io replicavo con il lei».
Chi c’era?
«Paolo Mieli seguiva le mie lezioni interclasse. Tra i miei studenti c’era Valerio Veltroni, fratello di Walter. Tra l’altro con il sindaco di Roma ora stiamo organizzando una lettura dell’Eneide in Campidoglio».
Torniamo alla gavetta.
«Rimasi a Roma fino al 1968, poi mi trasferii in Cecoslovacchia. E in quel periodo subii uno dei tanti scacchi della mia vita».
Fa la vittima?
«L’editore Garzanti voleva che io partecipassi al Premio Strega col romanzo che mi aveva pubblicato. Io ero più interessato alla primavera praghese che non ai tramezzini al caviale delle premiazioni. Quindi rifiutai. Il libro non comparve nemmeno in libreria. Vendetti 97 copie. E solo perché ho molte zie».
In quel periodo conobbe Samaritana Rattazzi, la sua prima moglie, figlia di Susanna Agnelli.
«Grazie al mio amico critico/saggista Cesare Garboli che frequentava casa di Suni».
Lei ha 18 anni più di Samaritana.
«Ricordo un incontro con la madre a Losanna. Mi prese da parte e mi disse: “L’età non è un problema. Il guaio è che Samaritana è ricca, e tu sei povero”. In realtà Samaritana visse la nostra miseria economica con l’entusiasmo che solo i benestanti possono metterci. Abbiamo avuto tre figli. Maria, Pietro e Anna. Maria, che aveva gli occhi d’argento, è morta a quattro anni e mezzo. Un dolore e un’esperienza che condividiamo ancora».
In che rapporti è rimasto con Susanna Agnelli?
«Ottimi. Tra l’altro la considero la più dotata della famiglia: intelligente e spiritosa».
Gli Agnelli e la ricchezza. Sua moglie (l’attuale) Ludovica Ripa di Meana ci ha scritto una tragedia: La fine degli A.
«Ha dato tragicità anche a personaggi non eccelsi. E loro si sono pure adontati. Come se Agamennone si fosse arrabbiato con Eschilo. Certo, qualcuno non ne esce benissimo…».
L’Avvocato risulta un padre distratto. Il rapporto col figlio Edoardo…
«La chiave di lettura è che la ricchezza crea un diaframma tra te e la vita. Hai, prima di essere. E in questo gli Agnelli…».
Il tema è piuttosto attuale. Ora Margherita, figlia di Gianni, rivendica la sua fetta di eredità…
«Che cosa mi vorrebbe far dire? Non conosco le carte. Ma questa guerra tra miliardari effettivamente è incomprensibile per chi non sa che mettere in discussione quel che è dovuto per diritto ereditario crea una crisi d’identità profonda: Margherita non sa più chi è, perché non sa che cosa ha».
L’Avvocato…
«A un certo punto, a metà anni Settanta, vista la mia vicinanza al Pci e la mia amicizia col sindacalista Bruno Trentin mi coinvolse anche in alcuni colloqui politici. Ma fondamentalmente mi considerava un esperto di calcio. Sul comodino teneva una sua foto con Togliatti allo stadio. Mi diceva: “Vi conosco a voi coglioni comunisti juventini”. Dopodiché è merito mio se la Juve nel 1972 comprò Josè Altafini».
Come come?
«Dopo una partita con il Lanerossi Vicenza ci ritrovammo a casa Agnelli, io, Gianni, Giampiero Boniperti e l’allora allenatore Cestmír Vycpálek. Agnelli voleva acquistare Maraschi dal Lanerossi, Boniperti voleva prendere Chiarugi dal Milan e Vycpálek preferiva Altafini dal Napoli. Il mio voto, espresso in cecoslovacco, fu decisivo».
Da tifosissimo, lei si vanta di sapere molte formazioni della Juve a memoria. Quella dell’81.
«Zoff, Gentile, Cabrini… Quasi tutta la nazionale che vinse il mondiale di Spagna».
Su cui lei ha scritto un saggio.
«Dov’è la vittoria?: un’opera filologica compilata con furia cieca contro la stampa sportiva che aveva criticato gli azzurri prima della partenza per il Mundial. Dopo mi incazzai pure con Oliviero Beha che parlò di una vittoria truccata».
In tutto ciò, Dante quando esplode nella sua vita?
«Nel 1983. Ero in vacanza a Praiano. Sulla costiera amalfitana. Leggevo le terzine a Ludovica e lei mi disse: «Perché non fai delle letture pubbliche?».
Quella fu la sua sliding door?
«Decisamente sì. Feci una proposta alla Rai. E chiesi di avere la supervisione del maestro della filologia Gianfranco Contini».
Contini accettò subito?
«Ci andai a parlare. Mi disse: «Mi foni», nel senso di fargli sentire come leggevo. Lo convinsi. Abbiamo lavorato insieme per anni. Mi teneva ore sull’etimologia di una sola parola».
Ne è nata una versione della Commedia che è andata a ruba. Oltre che le affollatissime letture pubbliche. Lei conosce Dante a memoria?
«No. Quella di imparare a memoria i versi la considero una mania rurale. Piuttosto, leggendo, seguo il consiglio che mi diede il grande Carmelo Bene: simulare un po’ che sia la prima volta che si affronta un canto. Per condividere il percorso con chi ti ascolta».
Ci sono state subito folle oceaniche?
«Il priore della Duomo di Ravenna, dove ho esordito, mi disse: “Non veniva così tanta gente in chiesa dal funerale del povero Raul Gardini”».
Tutti attenti e concentrati?
«Io rivendico per chi ascolta il diritto alla noia e alla distrazione. È naturale mettere in relazione quel che si ascolta con qualcos’altro che poi ti distrae. Si crea l’ovatta della noia, ma poi si torna ancora più attenti ad ascoltare. È successo pure con il Papa, nel 1997, durante la lettura del XXXIII canto del Paradiso, a Castel Gandolfo».
Woytjla si è distratto?
«Mentre leggevo, ogni tanto vedevo che perdeva il filo. Mi chiedevo: a che cosa starà pensando? Alla fine, mi disse che quella lettura, avvenuta il 1 settembre, gli aveva fatto tornare in mente il giorno dell’invasione nazista della Polonia».
Roberto Benigni lettore di Dante…
«È venuto a casa mia per farsi consigliare prima di una registrazione. Facciamo cose completamente diverse. Lui è un comico. Tra l’altro di quelli che lusingano il pubblico. Io prediligo quelli come Plauto, Molière, Petrolini che il pubblico lo aggrediscono…».
Vabbè ma il Dante benignesco?
«Non mi dispiace come lo legge. Ma credo che il pubblico di Benigni esca dallo spettacolo uguale a quando ci è entrato e pensando che Dante sia attualissimo e un po’ fessacchiotto. Io rivendico il diritto all’inattualità, non la faccio così facile e mi pare che la gente esca dalla mia lettura accorgendosi di essere un po’ meglio di quello che era abituata a credere».
A cena col nemico?
«Col barba di Al Qaeda… Osama bin Laden… Vorrei sapere che gusti ha…».
Sul palco di Sanremo per consacrare Dante alle masse o in tribuna per la Juve in finale di Champion’s League?
«Non offrirei Dante alle masse per nessuna ragione al mondo…».
Non lo ha già fatto?
«Alle mie letture c’erano parecchie singole persone…».
Uhm. Salvi dal rogo: un libro di poesie di Catullo o un video con le cento giocate più belle di Platini?
«Una cassetta con le migliori cento giocate di Catullo?».
Delete. Cancelli un numero dal cellulare: Zinedine Zidane o Michel Platini?
«Cancello Zidane».
Sindaci: Letizia Moratti o Walter Veltroni?
«Via Moratti. Veltroni lo conosco da decenni».
Il post comunista Fausto Bertinotti o l’ex comunista Massimo D’Alema?
«Tengo D’Alema, che ha questo difetto: è intelligente e furbo, ma la furbizia inzuppa la sua intelligenza. Il forzista Giulio Tremonti è un caso simile: la furbizia gli fodera l’intelligenza… E a volte si vede solo la furbizia».
D’Alema intercettato…
«Se intercettassero me uscirebbe roba da prima pagina. Sul Papa, i giudici. Niente… Non esce una riga».
Da ex comunista: i comunisti di oggi?
«Ma perché… ce ne sono? Di veri comunisti non ce ne possono essere, al massimo può essere rimasto lo stesso soffio di pensiero di un tempo, se no si tratta di fregnoni».
Bertinotti ha il vecchio soffio di pensiero o è un fregnone?
«Ha un refolo. Ma è anche molto furbo, ha le sue rendite di posizione».
Oliviero Diliberto?
«Non so se abbia molto soffio di pensiero».
Ma lei che comunista è stato?
«All’Unità ci ho scritto da non iscritto. Ho avuto la tessera dall’aprile al dicembre del 1956».
Lasciò il partito a causa dei carri sovietici in Ungheria?
«No. Perché scoprii che il centralismo democratico era poco democratico e molto centralista».
Le piacerebbe Lapo Elkann presidente della Vecchia Signora?
«No».
Tra Jaki e Lapo?
«Jaki. E’ più timido. Mi dicono che sia anche intelligente. L’immagine di Lapo non mi piace, quei vestiti a righe…».
Lui sostiene di indossare gli abiti del nonno…
«Il nonno aveva un’altra naturalezza».
Cultura generale. I confini dell’Iraq?
«In che senso? Uhm… Siria, Iran… Ah poi il Quwait».
E la Turchia e l’Arabia Saudita. Che cos’è YouTube?
«Boh».
Un sito di ricerca e pubblicazione video.
«Uso il computer solo per scrivere».
Quanto costa un pacco di pasta?
«Non so».
Guardi che faccio come Paratore: la boccio.

LINK:
Sermonti vive nel quartiere Fleming (Roma Nord) insieme con sua moglie Ludovica. Casa stracolma di libri e dischi in vinile. Alle pareti ci sono le foto dei figli: «Risalgono ai tempi in cui me li portavo in viaggio in Europa sulla mia A112». C’è pure una foto di Silvio Sircana: «Lì è con sua moglie, che è la figlia di Ludovica». La foto dello scandalo? «Una porcata degli alleati che volevano liquidarlo». Squilla il telefono. È la Siae. La conversazione è la dimostrazione di quanto Sermonti sia identificato con l’idea di lettura dei classici: «L’Iliade e l’Odissea? No, non le ho mai lette… Ho capito che ci speravate, ma… Vabbè… Se volete attribuitemele e copritemi di denaro».

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